Quando si parla di soldi, le più consuete considerazioni di matrice demagogica sono due. La prima, influenzata dal mito di Robin Hood, riguarderebbe la distribuzione della ricchezza; la seconda, le lungaggini burocratiche e gli interessi degli istituti bancari.
I punti di forza promossi circa le valute virtuali, che ne hanno generato e consentito la diffusione, non sono poi così lontani dalle considerazioni di cui abbiamo appena parlato. Innanzi tutto il valore del Bitcoin, attualmente la moneta virtuale più utilizzata, viene determinato e gestito senza l’intervento e la supervisione di un ente centrale, bensì attraverso un algoritmo di valutazione automatica fondato sugli effettivi scambi.
Non è soggetto alla svalutazione, poiché l’immissione sul mercato di nuova moneta è programmata sulla base di un piano secolare (fino al 2121). Le operazioni di scambio, contrariamente a quanto succede per le valute ufficiali, avvengono in forma pubblica ma anonima: tutti sanno che il profilo x ha una determinata quantità di Bitcoin, ma non si sa a quale persona fisica oppure organizzazione corrisponda il profilo x.
Infine il Bitcoin non è soggetto, nelle fasi di scambio, a lunghi tempi burocratici ma semplicemente all’elaborazione e aggiornamento, che in alcuni casi si risolve in pochi minuti, della catena dei blocchi, un registro informatico che identifica in modo univoco i singoli pezzi emessi e ne storicizza i passaggi di mano.
Allora, se è tutto rose e fiori, perché Banca d’Italia è stata così dura nel determinare alcune considerazioni al riguardo? Nei provvedimenti di carattere generale delle autorità creditizie, con specifico riferimento alla Comunicazione del 30 gennaio 2015 circa le Valute virtuali, è riportato il parere espresso dall’Autoritaria Bancaria Europea: “I rischi individuati superano i possibili benefici che […] potrebbero fornire ai loro utilizzatori, anche considerando i vantaggi in termini di costi e tempi di transazione e di inclusione finanziaria”. Parallelamente l’EBA specifica anche che i rischi correlati alle valute virtuali riguardano “attività di riciclaggio e altre condotte criminali”. Infine Banca d’Italia fa anche riferimento agli “obblighi previsti dalla vigente disciplina in materia di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo”.
Ed è su quest’ultimo passaggio che vorrei soffermarmi. Possiamo desumere quindi che le preoccupazioni condivise dalla Banca d’Italia non si concentrino sul timore di dover competere con un sistema valutario innovativo, bensì con uno perfettamente predisposto – in virtù dei meccanismi di scambio e assenza di controllo – a favorire ogni genere di attività illecita potenzialmente a danno non solo dei privati e dei merchant, ma dell’intera collettività.
A tal proposito, ciò che non viene invece reclamizzato circa le monete virtuali è il favorevole utilizzo per attività di finanziamenti illeciti e riciclaggio, i tipici meccanismi di sostegno alle organizzazioni criminali, rendendone quasi impossibile l’individuazione, se non a fronte di movimentazioni colossali di valuta.
La Russia dichiara che i missili impiegati nelle recenti operazioni belliche contro la Siria, sono idonei anche per l’armamento nucleare. L’IS avrebbe avviato campagne di reclutamento di chimici, fisici ed esperti ingegneri informatici. Significa che si sta muovendo per mettere a punto ordigni non convenzionali (armi batteriologiche) e sta preparando scorribande in rete, resta da definire se per violare aree virtuali sicure, per andare a caccia di Bitcoin con cui finanziare gli altri progetti, oppure entrambe le cose.
In questo contesto, non così distante dalla Terza Guerra Mondiale, è certamente fondamentale riflettere in modo profondo sul meccanismo di scambio delle valute e sui controlli applicati in questo ambito, per fare in modo che non via sia terreno troppo fertile per attività tanto disastrose.