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AssetProtection. Scuola e cultura: l’eterno dilemma fra essere e apparire

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Riflettendo sul tema della responsabilità sociale di impresa, degli aspetti di sostenibilità (per le persone) correlati, sui bilanci immateriali e sui sistemi per configurarli, percepisco che sia ancora fortemente vivo un dubbio basilare. E’ la conoscenza in sé a costituire un valore intangibile, indistintamente dal suo contenitore – le persone -, oppure sono proprio le persone, con il sistema culturale e valoriale intrinseco di cui sono soggettivamente dotate, a rappresentare il valore?

 La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Me lo chiedo perché, se così fosse, in considerazione del fatto che questa rubrica si occupa di salvaguardia dei beni, è opportuno che anche in questa sede ci si preoccupi di analizzare il contesto nel quale si genera la cultura degli individui, ripartendo dall’organizzazione della scuola e della famiglia in relazione al modello di società nel quale attualmente viviamo.

Sono di recente entrato in contatto con un testo che, seppur in contrasto con le nuove teorie pedagogiche e scolastiche, mi trova d’accordo in molte costatazioni, circa le quali ripropongo alcuni passaggi fondamentali. Paola Mastrocola è l’autrice di ‘Togliamo il disturbo – saggio sulla libertà di non studiare’, edito nella prima stampa nel febbraio del 2011 da Ugo Guanda Editore.

Sono due – spiega Mastrocola – gli elementi più evidenti che contraddistinguono il modello societario (e di riflesso scolastico) dei nostri giorni: la personalizzazione e l’identità. Ad una prima distratta occhiata si direbbe che entrambi possano essere considerati fattori cardine di uno sviluppo positivo imperniato sul valore della persona, addirittura quasi seguendo una direttrice neo romantica. Eppure purtroppo così non è.

Le tecniche commerciali e di marketing sviluppatesi negli ultimi anni circa la proposta di prodotti hanno ben compreso da un lato la necessità dell’individuo di apparire (prima ancora di essere) unico nel suo contesto e stato sociale, dall’altra la volontà di non sforzarsi troppo per diventarlo. Così vengono offerti alla massa tutti prodotti uguali, di cui piccole varianti che possono essere scelte in fase di acquisto forniscono l’illusoria sensazione di aver personalizzato il prodotto finale. Allo stesso modo, la scuola sembra si muova sempre più verso un’offerta formativa simile, in alcuni casi scadente, insufficiente, fornendo personalizzazioni nelle attività extra-scolari o di nuove materie che in qualche modo la rendono sempre più attraente come estensione dello stato sociale delle singole famiglie ma incapace di generare le solide fondamenta per la Cultura (con la C maiuscola) oppure fornire una preparazione adeguata al mondo del lavoro.

In secondo luogo la necessità sempre maggiore di evidenziare lo status sociale raggiunto – forse perché le precedenti generazioni hanno fatto in alcuni casi sacrifici al limite del pensabile per garantirci la possibilità di studiare e di accedere a lavori prestigiosi – rende prioritaria la configurazione dell’immagine di sé (secondo un modello identity directed) piuttosto che dimostrare ciò che si è attraverso le azioni compiute (modello task directed).

Allo stesso modo anche l’ambiente scolastico non è più una guida per fare bensì si conforma ad un luogo (come il centro commerciale) all’interno del quale si socializza affermando l’essere qualcuno.

In sostanza Mastrocola afferma che “Oggi che le masse avrebbero bisogno di una scuola di élite, noi facciamo loro una scuola di massa, popolare, inclusiva, ma immiserita nei contenuti, alleggerita di cultura e apparentemente superdotata di mezzi tecnologici”.

Esiste poi un ultimo fattore che rende impossibile la crescita oppure la variazione in una direzione più costruttiva del modello scolastico. Ed è il vincolo della misurazione. Seppur considerata il fondamento della fase di controllo del ciclo di Deming in ambito di modelli organizzativi e sistemi di gestione, appare un’attività estremamente limitante quando si tenta di rapportarla al modello delle competenze sul quale negli ultimi anni la scuola molto riflette. Se da un lato prova quindi a misurare quanto l’offerta formativa possa generare competenze spendibili a breve e medio termine in un contesto lavorativo, dall’altra dovrebbe domandarsi se sia anche possibile (e opportuno) misurare come lo studio dei versi di Dante influenzi la cultura e la possibilità di prepararsi ad acquisirla, influenzi la felicità della vita nell’esercizio delle proprie scelte nel momento in cui si sono acquisiti gli strumenti (culturali) necessari per esercitarle, garantisca anche una funzione sociale, attraverso la maturità dei singoli individui, prima ancora di una funzione squisitamente professionale.

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