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AssetProtection. Come scegliere una certificazione di Project Management (seconda parte)

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Facciamo seguito al precedente articolo, apparso su questa rubrica il giorno 8 novembre ‘AssetProtection. Ecco come scegliere una certificazione di Project Management (prima parte)‘, per suggerire una scelta tra i vari standard. Non essendo plausibile percorrerli tutti, forniamo un set di indicatori e fattori che possono guidare i lettori nella scelta di certificazione più funzionale alle esigenze di ciascuno.

1) Livello di investimento economico: i vari percorsi non prevedono lo stesso investimento in merito al costo del corso di preparazione, costo di esame e costo di manutenzione della certificazione stessa. Esula dallo scopo del presente articolo fornire indicatori economici di dettaglio a riguardo, anche in base alla velocità con cui il mercato propone nuove offerte, ma invitiamo a condurre un’approfondita analisi di benchmark per comparare i costi delle certificazioni, prendendo in considerazione la diversificazione nella composizione degli stessi.

2) Disponibilità temporale: anche in questo caso, l’effort richiesto per i vari percorsi è diversificato. Su questo fattore, possiamo fornirvi alcune indicazioni specifiche. Per l’acquisizione della certificazione:

3) Aree geografiche in cui si gestiscono i progetti. Se si opera in Gran Bretagna, la scelta dovrebbe ricadere sulla certificazione PRINCE2; si tenga presente che, nelle gare pubbliche in UK, sono sempre più richiesti project manager certificati sul metodo.

Se si gestiscono progetti internazionali che vedono il coinvolgimento di partner/organizzazioni in USA, la scelta dovrebbe ricadere sulla certificazione PMI-PMP. Nel contesto italiano, la diffusione delle varie certificazioni risulta più omogenea e quindi tale fattore risulta poco significativo per la scelta. Non vanno escluse, da questo punto di vista, anche certificazioni “locali” quale quella proprietaria giapponese estremamente diffusa (JPM). Il fattore culturale, dato anche dalla geografia dei contesti organizzativi e progettuali, è infatti centrale per compiere la scelta più efficace come risultati e maggiormente utile per il personale percorso professionale.

4) Tipo di organizzazione e settore: a seconda che il contesto sia pubblico o privato, e nell’ambito del privato focalizzato su differenti settori, le certificazioni richieste o maggiormente utilizzate sono diverse: ad esempio, per i contesti di pubblica amministrazione sono documentati molti casi di successo in letteratura ove si è applicato PRINCE2; al contrario, per il Terzo Settore, non si hanno storie di successo con tale metodo, data la caratteristica focalizzazione del framework sulla giustificazione commerciale continua e sui benefici misurabili spesso in termini economico-finanziari delle iniziative progettuali. Ancora, in ambito “industry”, l’utilizzo di personale qualificato PMI-PMP o IPMA è piuttosto significativo; in particolare, nell’impiantistica è molto presente personale certificato IPMA, mentre nel settore “Oil&Gas” l’orientamento è su personale certificato PMI-PMP. Nel settore del Terziario avanzato, invece, non emergono dati che orientino le scelte in modo strategico. Infine, per le start-up di impresa, si predilige il ricorso al metodo PRINCE2 o a un robusto approccio Agile.

5) Cultura organizzativa & ambiente cliente/fornitore: la stabilità dell’ambiente cliente/fornitore e l’estrema strutturazione organizzativa, in cui siano chiari i capitolati, i ruoli, le responsabilità, i meccanismi decisionali, i processi di delega e relativa escalation, costituiscono un prerequisito fondamentale per l’applicazione del metodo PRINCE2; gli stessi fattori di cultura organizzativa sono importanti, benché non prescrittivi, per l’applicazione degli standard PMI e IPMA; sicuramente, per l’applicazione dell’approccio PMI, è necessario operare in contesti progettuali di medio-lungo termine, a carattere internazionale, con un elevato dimensionamento delle risorse e con budget significativi. In assenza o riduzione di fattori di stabilità della struttura organizzativa e dell’ambiente cliente/fornitore, la migliore scelta dovrebbe ricadere su un percorso di certificazione Lean/Agile.

6) Standard e politiche aziendali e Project Management System: un driver fondamentale nella scelta del percorso professionalizzante è senza dubbio l’aderenza ad eventuali standard e politiche aziendali relative alle prassi di project management, tecnicamente chiamate “Project Management System”; ad esempio, se si operasse in un’organizzazione che ha codificato un approccio al governo dei progetti, basato sul “PMBOK”, sarà inevitabile orientarsi verso la certificazione PMI-PMP; nel caso invece fosse stato sviluppato un framework non del tutto riconducibile ad uno specifico standard, si consiglia di puntare sul percorso IPMA, per assicurarsi l’acquisizione di un ampio e traversale bagaglio di competenze, tale da renderlo spendibile in qualunque sistema proprietario di project management dell’organizzazione.

7) Dimensioni del progetto: le dimensioni del progetto possono influire su alcuni framework in modo negativo; ad esempio, progetti molto grandi e dislocati su più nazioni obbligano ad avere team virtuali che mal si coniugano con approcci agili, per i quali è obbligatoria la “co-location” delle risorse. Viceversa, si trovano in letteratura molti esempi di applicazione di metodi agili, come SCRUM, in progetti di dimensioni ridotte.

8) Maturità e dimensionamento del team: questo fattore può essere ostativo per alcuni framework, come ad esempio approcci agili, dove i migliori risultati si ottengono con team composti da una decina di risorse di alto profilo professionale. Potrebbe essere viceversa preferibile un approccio PRINCE2 che favorisce la creazione di una robusta struttura progettuale con ruoli e responsabilità ben definiti, e che contribuisce a migliorare l’efficacia della comunicazione intraprogettuale, offrendo una serie di template documentali per la condivisione delle scelte e degli stati di avanzamento del progetto.

9) Natura del progetto (prodotto o servizio): anche questo fattore supporta il processo decisionale relativo al tipo di certificazione più utile per il proprio contesto professionale: la tipica focalizzazione sui prodotti, propria di PRINCE2, è maggiormente efficace quando il progetto deve rilasciare prodotti tangibili, concreti, specifici e misurabili. Diversamente, se si opera prevalentemente su progetti abilitanti servizi, potrebbero risultare più naturali gli approcci PMI e IPMA.

10) Ambito del progetto: Progetti di tipo IT sono molto spesso gestiti con successo con approcci agili come ad esempio SCRUM o Extreme Programming. Per progetti di ricerca scientifica collaborativi, dove la pianificazione è estremamente volatile, perché magari una certa fase tecnica può avvenire solo a fronte di un dato risultato precedente sperato, può essere maggiormente efficace l’adozione dell’approccio PMI o, addirittura, di uno standard di program management. Ancora, se impegnati prevalentemente in progetti di ricerca individuali o, con un piccolo team da gestire, potrebbe essere più vantaggioso investire sulle competenze del project manager utilizzando un approccio IPMA.

11) Ciclo di vita del progetto: il ciclo di vita del progetto influisce sicuramente sulla facilità ed efficacia di applicazione di un metodo rispetto a un altro, ad esclusione di IPMA che non presenta particolari vincoli in tal senso. PRINCE2 è pensato per cicli di vita caratterizzati da fasi e rilasci successivi; sebbene siano possibili adattamenti in tal senso, essi risulterebbero particolarmente pesanti da implementare. L’approccio PMI offre una certa flessibilità rispetto all’organizzazione del ciclo di vita del progetto, ma oltre ad essere più generico nella strutturazione del ciclo di vita progettuale rispetto a PRINCE2, il suo utilizzo può risultare più impegnativo (sul piano dell’effort e dei relativi costi di implementazione per il progetto) data l’articolata e complessa struttura del framework. Infine, gli approcci agili prescrivono un ciclo di vita di progetto tipicamente organizzato in “stage and gate”.

12) Predisposizione personale. Quale ultimo fattore in esame, ma non per questo meno importante, riteniamo debba essere presa in considerazione sia la matrice mentale sia l’approccio individuale all’apprendimento. Chi preferisce un approccio “teologico” alla disciplina, che necessita di una visione sistematica e approfondita a un tempo (anche se talvolta meccanicistica), potrà meglio orientarsi verso la certificazione PMI-PMP. Chi, differentemente, preferisce un approccio più “umanistico”, al di fuori di codifiche per flussi logico-deduttivi, potrà optare per il repertorio di competenze IPMA, anche fortemente orientate ad approfondire le abilità “soft” (comunicazione, leadership ecc.). Ancora, chi necessita di un approccio più pragmatico e rapidamente applicabile potrà orientarsi verso PRINCE2. Infine, l’approccio agile è consigliato per coloro che possiedono già solide basi, competenze ed esperienze in project management.

Nell’impossibilità di percorrere tutte le diverse rotte di questa affascinante e, quanto mai in evoluzione, disciplina, suggeriamo di condurre un’analisi comparativa tra i diversi standard che sia in grado di valutare e bilanciare i diversi indicatori/fattori discriminanti che abbiamo illustrato, nell’augurio di aver contribuito ad avviare qualche “progetto” di crescita personale.

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