Security

AssetProtection. Quali suggerimenti possono dare gli esperti di Sicurezza ai giovani?

di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria) |

Alcuni consigli che potrebbero essere utili ai giovani sul comportamento da tenere per affrontare in modo corretto e positivo il lavoro

Alla fine della conversazione, tenuta ai nostri soci dal professor Luigi di Marco, riguardo alla metamorfosi dei manager, ci è venuta l’idea – sfruttando quanto ha detto il relatore – di fornire alcuni consigli, che potrebbero essere utili ai giovani sul comportamento da tenere per affrontare in modo corretto e positivo il lavoro; inoltre, un parere su possibili opportunità di lavoro nel settore che ci occupa.

Ciò soprattutto nell’ottica di aprire un dialogo fra noi, i genitori ed i giovani.

 La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Chiediamo ai giovani di pensare al comportamento, ossia a ciò che gli americani chiamano “soft skill”: ciò in contrapposizione agli aspetti tecnici (“hard”); infatti, alla “conoscenza” ci pensano gli Istituti scolastici e le Università, e successivamente si possono acquisire con un po’ di fatica; alle “abilità” nel fare il lavoro, serve soprattutto l’esperienza in azienda. Invece acquisire un comportamento giusto, per affrontare un mondo sempre più complesso, non è facile né rapido.

Riassumo i principali consigli:

  • autostima, sia per intraprendere delle nuove attività, sia per poter rafforzare l’empatia necessaria a stabilire e mantenere il  contatto con gli altri.
  • Insieme all’autostima e all’empatia, serve consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza.
  • Nei rapporti con gli altri, è necessario anche un buon autocontrollo.
  • Bisogna essere imprenditori di se stessi, nel senso che bisogna comprendere che cosa si vuol fare come attività lavorativa, costruirsi un proprio obiettivo ma saper cogliere le opportunità, cercare di innovare, guardare avanti cercando di migliorare continuamente, aggiornandosi.
  • Si deve saper vivere il presente. Bisogna essere ottimisti e diffondere positività a chi ci è vicino. Non c’è del resto un vecchio detto: ”a cuor contento il ciel l’aiuta”?

I giovani che stanno leggendo questo articolo si domanderanno: “sappiamo come sia buono essere positivi, ma questa è pura teoria! Il problema oggi è il lavoro, trovare un lavoro!”. E aggiungerebbero: “ciò che è carente e lo sarà sempre di più è proprio il lavoro!”.

Consci di ciò, ne abbiamo parlato anche in occasione dell’incontro. Il prof. Di Marco ha menzionato la sicurezza alimentare come nuovo settore ove servono più specialisti ed ha fornito diversi esempi, dove una politica sulla sicurezza alimentare e la presenza di tecnici, possono ridurre le conseguenze disastrose, come quelle recentemente subite anche in Italia dal mondo agricolo.

Ma desidero aggiungere che la sicurezza in senso ampio (sicurezza informatica, Safety, business continuity, crisis management, eccetera) rappresentano un’area dove già servono, ma serviranno sempre di più nel tempo, degli specialisti. Ma mentre il lato tecnico lo si impara attraverso corsi – ne esistono tanti -, così come consultando e studiando validi testi, è la mentalità, il come si approcciano i problemi della sicurezza e l’analisi dei rischi, che invece richiede tempo; è necessaria una abitudine, una tendenza all’attenzione di questi aspetti.

Il suggerimento pertanto che noi, che ci occupiamo della sicurezza da molti anni, vogliamo dare ai giovani è questo: incominciate a pensare al risk management da oggi, indipendentemente dai vostri studi, dal tipo di lavoro che state svolgendo, dalle vostre aspettative di attività future professionali; pensate agli aspetti della sicurezza nei riguardi già di quello che state facendo e della vostra vita quotidiana.

Sicurezza vuol dire cercare di evitare possibili problemi che hanno conseguenze negative sulla nostra vita, o, comunque, di limitarne l’impatto qualora dovessero avvenire. Non stiamo solo parlando di come reagire ad una scossa tellurica (ricordiamo che l’Italia è sismica), né ad una slavina che sta per colpire la nostra casa, ma pensiamo anche a possibili rischi che possono avere conseguenze pericolose od antipatiche.

Mi riferisco, ad esempio, ad evitare disguidi che ci facciano arrivare ad un appuntamento in un ritardo inaccettabile, quale ad esempio in occasione di un colloquio di lavoro o ad un esame. Pensare a come reagire se accanto a noi una persona si ferisce, o inghiotte qualcosa che gli fa male, o gli va di traverso nella trachea e rischia di soffocare.

Pensare prima, ragionare su come reagire, e comunque su come ridurre la possibilità che avvenga qualcosa di indesiderabile a noi od alle persone a noi vicine. L’approccio suggerito è il seguente: stabilire quali sono i possibili rischi, analizzarli e decidere come gestirli. In questo ambito, una metodologia sta assumendo sempre più rilevanza: la Business Continuity, anche chiamata “continuità operativa”; essa ha introdotto un nuovo modo di approcciare la sicurezza: ha ricordato che, molti fra coloro che hanno ragionato esclusivamente in termini di probabilità di accadimento di un determinato evento malevolo, e non hanno quindi predisposto degli appositi piani, si sono dovuti successivamente mordere le mani.

La Business Continuity ha insegnato alle organizzazioni a porsi una domanda alla quale dare una risposta indipendentemente dalla probabilità di accadimento: “Qualora dovesse accadere che, per un fatto inatteso io non riesca a fornire un servizio o prodotto rilevante per un lasso di tempo prolungato, potrei accettarne le conseguenze?”.

Se la risposta è negativa, allora bisogna fare qualcosa, in via preventiva, e/o all’atto del verificarsi; in alternativa accettare il rischio o trasferirlo a terzi (ad es.: stipulando una polizza assicurativa; cedendo l’attività in outsourcing; ecc.).  In poche parole, ci si concentra sull’impatto, sulle possibili conseguenze, in genere crescenti al trascorrere del tempo. La minaccia può essere una qualsiasi (quanto spesso era inattesa, imprevista!): si ragiona sulle conseguenze di un guasto, o di una interruzione, una rottura, ecc.. In base alla gravità dell’impatto si prendono le dovute decisioni. Questo approccio costituisce una parte importante della gestione del rischio, area questa che sta trovando sempre più ampio spazio nelle aziende assieme alla “compliance”.

Suggeriamo quindi ai giovani di iniziare ad approcciare la propria sicurezza e “continuità” con l’approccio tipico delle metodologie di risk assessment e di business continuity (identificazione del possibile rischio, sua analisi, valutazione dell’impatto qualora si verifichi, decisione su come trattarlo); ad esempio, eseguire tali valutazioni prima di uscire di casa per un evento importante. Oppure, per predisporsi ad eventi catastrofici, si può scaricare dal sito del DHS americano il “family disaster plan” e redigerlo: ciò ai fini di utilizzarlo qualora si debba abbandonare precipitosamente la propria abitazione.

Successivamente, una volta nel mondo del lavoro, applicare la metodologia alla propria attività nell’azienda, in tal modo ponendosi anche in condizione di poter fornire la propria collaborazione agli addetti ai lavori ai fini del continuo miglioramento della continuità aziendale.

Nei prossimi giorni, alcuni soci di ANSSAIF andranno nelle scuole, in base ad un progetto del MOIGE, per parlare dei “rischi digitali” ai genitori. Cercheremo di cogliere anche in questa occasione il momento più adatto per fornire alcuni piccoli suggerimenti, quali quelli citati in questo articolo, e, auspichiamo, quelli che i lettori di questa testata giornalistica vorranno sottoporci.

La mentalità di attenzione alla sicurezza nasce da lontano e l’ideale sarebbe che questo Paese affrontasse seriamente questi aspetti tramite una continua educazione dei suoi cittadini, come già avviene in altre nazioni più avanzate.

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