Lo scorso 27 di gennaio ANSSAIF ha inaugurato il nuovo anno, organizzando un incontro per riprendere la discussione sul tema del terrorismo. L’evento si è articolato in due momenti principali. Il primo, con l’intervento del Dott. Umberto Saccone – lo ricordiamo, Presidente e Senior Partner della società di consulenza Grade, già Senior Vice President Security del gruppo ENI – ha riguardato l’interazione delle cogenti normative circa il dovere di protezione dei dipendenti e ha messo in luce l’incompatibilità delle stesse con i modelli basati sul common law.
Il secondo, in collegamento con Milano, guidato dal Dott. Leonardo Procopio – membro del direttivo ANSSAIF, ex Business Continuity & Crisis Managar BNP Paribas Personal Finance – ha fornito un aggiornamento circa la percezione delle Banche sul tema e le contromisure prioritarie al vaglio.
Saccone ha ribadito, con la consueta chiarezza che contraddistingue i suoi interventi, l’interazione che intercorre tra l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza dei dipendenti, derivante dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.lgs 81/08), e l’importanza di mettere a punto procedure e controlli adeguati, finalizzati a mitigare il rischio e costituire un impianto esimente valido per l’organizzazione, qualora si dovesse verificare un incidente (D.lgs 231/01 – Responsabilità Amministrativa delle Organizzazioni).
Poi è sceso un po’ più in dettaglio, prendendo in considerazione il caso del rapimento per finalità terroristiche. Secondo l’ordinamento italiano – fondato sul modello civil law – è assolutamente vietato negoziare qualsiasi forma di pagamento di riscatto, in quanto considerata come finanziamento, ovviamente illecito.
Il problema si è però venuto a configurare per alcuni gruppi nazionali, quando hanno incaricato società di consulenza estera per la redazione delle procedure del modello organizzativo. Il contrasto con il diritto di matrice britannica ha prodotto, in alcuni casi, dei passaggi quasi surreali, tutti incentrati sulle modalità di valutazione del riscatto, sulla raccolta dei fondi necessari, sulle tempistiche e sull’eventuale valutazione del livello di corruzione delle autorità dei paesi nei quali si verifica il reato.
E’ pur vero che anche in Italia qualche escamotage al riguardo c’è. Nel momento in cui intervengono i servizi segreti e appongono sul fascicolo il segreto di Stato, non v’è né certezza, né la possibilità di escludere eventuali trattative circa il pagamento del riscatto.
Da Milano, come riferisce Procopio, fortunatamente arriva qualche notizia rassicurante. Le forze dell’ordine riportano che le banche sembra attualmente non siano nel mirino dei terroristi.
Ma non per questa ragione possono abbassare la guardia. Soprattutto in virtù della funzione centrale che ricoprono nelle attività preventive di intelligence. Infatti attraverso l’analisi della movimentazione dei conti correnti e delle richieste di finanziamento è possibile ricavare interessanti indizi circa l’eventuale preparazione di attentati.
Inoltre, da un analogo incontro ANSSAIF, tenutosi a Milano, emerge che i gruppi bancari internazionali stanno già provvedendo ad una revisione delle procedure di incident management, specificando anche le operazioni di risposta ad attacchi diretti e indiretti diversificate in funzione della minaccia che si materializza.
Sono anche al vaglio nuove misure autorizzative per le missioni all’estero in base al livello di rischiosità attribuito al paese di destinazione, in stretta collaborazione con le agenzie di viaggio. Infine è alta l’attenzione verso le attività finalizzate a promuovere la consapevolezza e lo svolgimento delle esercitazioni, anche attraverso simulazioni di intrusione fisica.
Conclude l’evento Anthony Cecil Wright, il presidente ANSSAIF, in modo pragmatico. I piani di gestione delle emergenze richiedono significative revisioni a fronte dei nuovi scenari che man mano si configurano. E non solo per assicurare la continuità del business delle organizzazioni eventualmente colpite, ma soprattutto per garantire la sicurezza delle persone. Un passo falso nella procedura e in tanti potrebbero pagarne le conseguenze. E qualora non vi fosse danno fisico, il panico potrebbe lasciare un segno indelebile, forse più grave di una ferita profonda, la cui convalescenza potrebbe non aver mai fine.