Dopo aver parlato, la scorsa settimana, della necessità di innalzare il livello di consapevolezza generale su informazioni diffuse o fruite attraverso il web e sulle autorizzazioni al trattamento delle informazioni personali prestate (AssetProtection. Isterismo di massa per privacy e sicurezza), questa settimana ripercorreremo un iter simile, concentrandoci però su fenomeni più tipici dei social network.
E nell’affrontare questo percorso, sarebbe gradito anche un atteggiamento più responsabile da parte di quei professionisti della compliance e dell’informazione che, quando sentono parlare di social media proletari, fanno un sorrisetto beffardo. Facebook, in particolare, resta la piattaforma sociale con il maggior numero di utenti al mondo e pertanto gli spetta una posizione di riguardo quando si analizza il contesto.
Più volte sono comparsi sulle bacheche degli utenti alcuni post che hanno presto assunto un carattere virale, diffondendosi a macchia d’olio senza che il filtro del buon senso o della curiosità abbiano potuto frenarne la crescita. Mi riferisco in particolare a due questioni: la prima riguarda la presunta attivazione di un canone per l’utilizzo (quindi a pagamento), mentre la seconda si riferisce a supposti cambiamenti repentini delle condizioni generali di utilizzo o dei trattamenti compiuti con le informazioni personali dei propri utenti.
La prima questione, rivelatasi totalmente infondata, ancora una volta riguarda gli aspetti dell’etica dell’informazione. E’ un dovere che, come abbiamo già ricordato, investe non solamente la stampa (cartacea o digitale che sia) ma tutti coloro che attivano un canale per parlare al mondo. E poco importa quando si discute di un presunto canone per seguitare a fruire di un servizio accessorio – cosa che di per sé appare più come un diritto del proprietario che come una violazione – ma certamente la faccenda si fa più grave quando si leggono i titoli di bufale colossali, che per altro si propagano di post in post, come “carne bovina infetta da AIDS”.
Il secondo fenomeno sul quale mi vorrei concentrare è invece quello per il quale si raccomanda la pubblicazione nella propria bacheca di autodichiarazioni restrittive (ed in alcuni casi anche intimidatorie) rispetto alle condizioni sottoscritte in fase di attivazione del profilo personale. Suonano più o meno così: io sottoscritto, a far data da oggi alle 10.00, ora italiana, dichiaro che non autorizzo… oppure dichiaro che…
Per fortuna la rete diffonde anche spunti intelligenti, come quello che arriva da un utente il quale comunica: Avviso agli studenti di informatica giuridica Chi tra voi ha pubblicato sul suo profilo una sorta di autocertificazione a tutela della privacy è pregato di chiudere per sempre l’account Facebook – per evitare di procurare danni a persone o cose -, lasciare la facoltà di giurisprudenza ed iscriversi a Scienze degli Snack al Formaggio. Andiamo male ragazzi, molto, molto male.
Nonostante una considerevole porzione di utenti nutra un reale timore per l’utilizzo improprio, e con finalità commerciali, dei propri dati personali, sarebbe il caso che concentrasse maggiormente l’attenzione su giochini e quiz vari di terze parti. Queste applicazioni vengono spesso autorizzate dagli utenti ad agganciarsi ai propri profili Facebook, senza neanche leggere l’informativa al trattamento delle informazioni personali. E la questione ancor più divertente e che, facendo un po’ d’attenzione, gli utenti si renderebbero conto che è esplicitamente dichiarato, in conformità con le vigenti normative per la privacy, che i titolari del trattamento useranno i dati personali degli interessati per le finalità più disparate.
Alla luce dei fatti c’è da chiedersi se lo sviluppo digitale, che in termini economici tarda a dare segnali positivi, in termini culturali non sia stato troppo violento, considerando anche che tuttora le autorità competenti, in alcuni casi, fanno fatica a capire come comportarsi.