In questo articolo mi fermo a parlare di IoT, ossia di sensori ed attuatori connessi in rete a sistemi informatici.
Le prospettive di sviluppo sono eccellenti; infatti, secondo le stime del McKinsey Global Institute, già fra 10 anni si potrebbe avere un giro di affari annuo di 11,1 trilioni di dollari. Con benefici ad iniziare da una riduzione di oltre il 50% dei costi per il trattamento di malattie croniche ed un possibile fatturato nel campo della salute di 1,6 trilioni, per non parlare di impieghi come quelli per la ottimizzazione dei processi produttivi (3,7), per le smart cities (1,7), lo shopping (1,2), gli ambienti di lavoro (0,9), ecc.
Rispetto alle applicazioni orientate ai consumatori, secondo McKinsey, saranno invece le applicazioni B2B a creare maggior valore.
Ottimo, ma domandiamoci: si intravvedono problemi?
Il rapporto afferma che, se quell’impatto stimato si avvererà o meno in quell’intervallo di tempo ipotizzato, dipenderà da molti fattori, inclusa la discesa nei costi della tecnologia e dal generale livello di accettazione da parte dei consumatori e lavoratori (infatti, una buona parte dei ricavi deriveranno anche dall’aumento della produttività).
Il livello di accettazione da parte del cittadino, come sappiamo, dipende da tanti aspetti; un peso notevole lo ha la fiducia nella tecnologia e nello strumento offerto.
Lo stiamo verificando con il ritardo italiano nei confronti della tecnologia digitale.
La riluttanza italiana non si può spiegare solo in termini di ignoranza nei confronti degli strumenti; è vero che le persone hanno paura dell’”ignoto” e, quindi, una opportuna campagna di informazione e formazione digitale ha assolutamente la priorità.
Ma sapere come funziona uno smartphone non basta: bisogna insegnare a sfruttare le opportunità che offre, e contemporaneamente far capire i rischi; si deve indurre i cittadini ad avere una mentalità “risk prone”, conscia dei possibili rischi ma anche capace di immaginare e scoprirne di nuovi.
Dobbiamo infatti ricordare che, inventata una nuova misura di sicurezza, i criminali ed i “furbacchioni” si inventano subito dopo nuovi modi per superarla.
Deve cambiare la mentalità.
Se tutto ciò è vero per telefonini e computer, per ATM e POS, cosa dire per i sensori ed attuatori dentro casa? Infatti, ora sono collegati anche i frigoriferi, le lavatrici, la Smart Tv, e la stampa riporta che sono loro a catturare informazioni personali e a divulgarle, ovvero, ad agire da Botnet!
Recentemente si parla anche di richieste di riscatto rese possibili anche a causa del proprio televisore!
E non finisce qui!
Come sappiamo, vi sono evidenze che l’automobile può accelerare improvvisamente o sterzare dove non dovrebbe!
Allora, come la mettiamo con la preoccupazione di McKinsey che afferma che il successo o meno di IoT dipende “dal generale livello di accettazione da parte dei consumatori e lavoratori”?
La gran parte della stampa correttamente riporta, assieme al crimine avvenuto o a quello possibile, anche le cause: da un “buco” nel software acquistato, a comportamenti dell’utilizzatore quali l’assenza di un anti-malware, il mancato aggiornamento della password o la non esecuzione delle istruzioni ricevute all’atto della installazione.
Ciò però non toglie la preoccupazione.
Il cittadino, è normale che si chieda: “Chi me lo fa fare di crearmi questi problemi? Oltretutto la novità ha un costo! Qualcuno mi obbliga?”.
E quindi attende.
Soluzione?
Creare una corretta cultura del rischio nel cittadino, agendo in tutte le sedi e a tutti i livelli: dalla scuola (i “nuovi digitali”), alla Università, nelle piccole e medie aziende, nella PA, ai nonni. Una giusta sensibilità alle opportunità ed ai rischi richiede tempo ed è quindi indispensabile non perdere tempo.
Ciò che è soprattutto importante far capire ai cittadini è che una minaccia può presentarsi sotto varie forme (ad esempio, un attacco alle nostre informazioni riservate ed ai nostri soldi, anche chiamato phishing, può avvenire via email, via telefono, via lettera, o davanti all’uscio nelle vesti un operaio del gas, od altro) e bisogna saperle riconoscere.
ANSSAIF ha messo a punto una metodologia e la sua applicazione è iniziata con i ragazzi e le ragazze delle scuole medie inferiori; in considerazione del successo avuto con il campione sperimentato, si sta mettendo a punto una metodologia per i giovani degli ultimi anni della scuola (licei, istituti tecnici). Entro giugno avverrà la sperimentazione ed i risultati comunicati all’AGID (Competenze digitali).
Le metodologie via via realizzate saranno a disposizione di associazioni, Enti, Istituzioni interessate alla somministrazione sul territorio nazionale.
Noi restiamo disponibili a supportarle.