Differenti studi, alcuni più accreditati altri più discutibili, riconducono tutti a due evidenze allarmanti: siamo esposti ad una quantità di informazioni impossibili da processare in modo corretto e, come ovvia conseguenza, l’impiego del tempo per razionalizzarle ed organizzarle è sproporzionato rispetto a quello impiegato per raggiungere gli obiettivi prefissati, facciano riferimenti alla sfera professionale oppure della vita privata. Ne consegue una terza evidenza: il livello di insoddisfazione generato da una sensazione di accumulo ingestibile cresce in modo direttamente proporzionale all’esposizione alle informazioni.
Su queste basi David Allen ha messo a punto e registrato la metodologia Getting Things Done, fondata sul concetto secondo il quale «la mente è fatta per avere idee, non per conservarle». L’obiettivo è quello di avere la «mente come l’acqua»: quando non è sollecitata è in uno stato di completa calma, ma quando viene stimolata da qualche input reagisce creando nuove idee, come un sasso che colpisce la superficie. Inoltre, la GTD si contrappone alle tradizionali metodologie di time e project management smantellando un concetto fondamentale: non è possibile gestire il tempo, bensì solamente gli oggetti che vi si includono, valutando attentamente anche il contesto nel quale poi si è tenuti a realizzare le attività pianificate.
L’applicazione si articola in cinque fasi fondamentali: cogliere, chiarire, organizzare, riflettere ed agire.
Step 1 – Cogliere
In questa fase è opportuno favorire una transizione importante: passare dalla cattiva prassi di lasciarsi distrarre, tentare di elaborare nel momento oppure anche semplicemente memorizzare gli input-informazioni alla buona prassi di affidarne ad uno strumento (non importa se si fa riferimento ad un software oppure alla carta e penna) la memorizzazione, per poi rielaborarli successivamente.
Step 2 – Chiarire
In questo secondo momento è necessario applicare un processo decisionale che si articola in modo semplice. Per ogni input archiviato, se è funzionale ai propri obiettivi e se si è in grado di eseguire un’azione efficace ad esso relazionata nei successivi due minuti, allora è opportuno procedere. In alternativa bisogna rimandare oppure, se possibile, delegare. Se invece non è immediatamente funzionale ai propri obiettivi, l’input può essere cestinato, archiviato oppure incubato (quando ancora non si è deciso cosa fare).
Step 3 – Organizzare
In questa terza fase è necessario valutare come il contesto nel quale si è chiamati a svolgere l’azione pianificata possa influenzarne l’efficacia. L’obiettivo è proprio quello di pianificarne lo svolgimento nel posto e nel momento in cui è più probabile che sia efficace. Alcuni esempi di contesti possono essere persone, posti, momenti della giornata con caratteristiche distintive, ecc.
Step 4 – Riflettere
Periodicamente è necessario adottare una visione più strategica. Con lo sguardo dall’alto bisogna revisionare la attività programmata per comprendere se l’organizzazione è stata veramente funzionale agli obiettivi pianificati. Nel caso si evidenziasse un gap, è possibile correggerlo ripianificando le priorità.
Step 5 – Agire
Nell’esercizio della scelta di fare o non fare, in base all’applicazione degli step precedentemente chiariti, è possibile mantenere la mente sgombra dalla preoccupazione dell’organizzazione oppure dagli improvvisi allarmi di cose da fare all’ultimo, concentrandosi su una ed una sola attività alla volta, evitando anche le inutili dispersioni di tempo procurate dal tanto “blasonato” multitasking.
Se la sicurezza delle informazioni riguarda anche gli aspetti connessi alla loro disponibilità e se è vero che – come più e più volte abbiamo chiarito – è un aspetto che ha un impatto significativo anche nella dimensione sociale, è quindi confermato a tutti gli effetti che l’argomento è pertinente alla sicurezza.