Aggiornamenti normativi importanti sul fronte dell’evoluzione verso l’Europa Digitale. Infatti dall’1 luglio 2016 ha piena efficacia l’eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature), ovvero il regolamento UE n. 910/2014 sull’identità digitale, emanato il 23 luglio 2014, che disciplina in modo nuovo l’identità digitale, la firma elettronica e la posta certificata.
Certamente costituisce uno dei tasselli normativi principali per il mercato unico digitale, rappresentando un importante elemento facilitatore tra privati, aziende e Pubblica Amministrazione, equiparando di fatto il valore legale di alcune operazioni elettroniche in tutta Europa.
Il sito AgID chiarisce: “Un’impresa, ad esempio, potrà partecipare elettronicamente ad un appalto pubblico indetto dall’amministrazione di un altro Stato membro senza rischiare il blocco della sua firma elettronica a causa di requisiti nazionali specifici e/o di problemi di interoperabilità. Analogamente, un’impresa potrà firmare digitalmente contratti con la controparte di un altro Stato membro, senza doversi preoccupare di eventuali diversità interpretative delle norme giuridiche per servizi fiduciari quali i sigilli elettronici, i documenti elettronici o la validazione temporale”.
Il tutto avviene – si legge sempre sulle pagine dell’AgID – per “il principio del mutuo riconoscimento e della reciproca accettazione di schemi di IDentificazione elettronica (e-ID) interoperabili, per il tramite di Prestatori di servizi fiduciari (Trust Service Providers – TSP)”.
Il quadro normativo è invitante e concettualmente coerente. Speriamo però si possa armonizzare nel più breve tempo possibile con il panorama nazionale. Infatti, proprio la scorsa settimana – in Business Continuity: obbligo in Italia, ma serve il provider giusto – abbiamo parlato di qualche defaillance di alcuni provider low cost su servizi di firma elettronica, marcatura temporale e posta certificata. Inoltre, se si dà un’occhiata a DESI – l’Indice di Economia e Società Digitale attraverso il quale è possibile monitorare l’evoluzione degli stati membri dell’Unione Europea sulla base di criteri di connettività, capitale umano, utilizzo di internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali – c’è da chiedersi se il nostro Bel Paese possegga i requisiti essenziali per allinearsi con gli obiettivi di conformità digitale del resto d’Europa.
Nella sezione Digital Single Market del sito della Commissione Europea è possibile consultare grafici di dettaglio circa indicatori afferenti alle aree menzionate nel precedente capoverso. Così ho messo a paragone basic skills and usage. E sapete cosa mi ha veramente sorpreso? Vedere che per il 2016 la Spagna è a neanche un punto percentuale sotto la media europea. Inutile dire che Inghilterra e Germania sono sopra la media di almeno 5 punti percentuali. E l’Italia? Segna un drastico -8%. La stessa cosa succede cambiando indicatore e concentrandosi su use of internet: -4% per l’Italia rispetto alla media europea e per giunta anche con una tendenza lievemente negativa rispetto allo scorso 2015.
In quest’occasione ho riportato solo qualche numero perché, a vederli bene e con occhio più clinico, lo sconforto cresce. A questo punto mi domando quanto ci possa effettivamente riguardare l’eIDAS, quando un italiano su tre non dispone ancora di una connessione a internet. E dei due su tre che la hanno, almeno uno ha pesantemente litigato, in occasione della scadenza fiscale per la dichiarazione dei redditi, con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID).
La crescita ed il cambiamento richiedono sempre uno sforzo. Ed un po’ d’impegno non ci verrà di certo male. Ma tutta questa storia dell’Italia Digitale non sarà forse un cammino a senso unico? Oppure prevede un po’ più di operatività da parte delle Istituzioni, in affiancamento ai grandi sforzi di privati e Pmi che si sono abituati a risolvere come possono, secondo la buona tradizione italiana?