Per le recente festività natalizie sono fioccati, come di consuetudine, una gran quantità di regali, specie per bambini e adolescenti. E chissà quanti di questi saranno stati telefoni cellulari. Il termine stesso è ormai arcaico, posto il fatto che la telefonia è diventata marginale rispetto alla vastissima gamma di attività che è possibile compiere tramite uno smartphone: servizi on-line di ogni genere, social network, videogame ed altro. Inoltre c’è anche da considerare che il telefonino non è più oggetto di interesse per la sua utilità, in quanto mezzo di comunicazione, ma costituisce, anche per i giovanissimi, una vera e propria chiave d’accesso nella società; pena la possibile emarginazione dai gruppi.
Più dell’85% delle connessioni ad internet avviene tramite smartphone, ma il fatto che questo strumento sia utilizzato con estrema disinvoltura dai nativi digitali, non giustifica il fatto che lo gestiscano in totale autonomia. Al contrario, l’elevata competenza di cui dispongono, unitamente ad un basso livello di percezione dei rischi connessi, dovrebbe rappresentare un centro d’interesse prioritario per genitori e insegnanti. Succede però che molti adulti si sentano particolarmente preparati in ambito tecnologico, tanto da sminuire oppure, peggio ancora, ignorare del tutto, l’importanza di una partecipazione continuativa ad attività informative specifiche che non hanno sempre a che vedere con misure tecnico-preventive. Infatti, sebbene esistano anche rischi di carattere tecnico, l’attenzione dovrebbe ricadere sul potenziale comunicativo di questi strumenti, collegati a filo corto con le più disparate insidie: bullismo e pedofilia sono solamente due aree macroscopiche di centinaia di attività socialmente pericolose oltre che in molti casi illegali. Un capitolo a parte andrebbe poi aperto sui danni che l’abuso di videogiochi e social network possono produrre sul normale sviluppo cognitivo e sociale di giovani individui, relegandoli in una realtà parallela priva di adeguati stimoli cognitivi e sociali.
E’ ovviamente chiamata in causa, nella gestione di questo difficile scenario, anche la scuola. Ma siamo certi che allo stato attuale possa effettivamente contribuire in modo fattivo, viste le competenze di cui dispone il corpo docenti? Sono scarsi (se non nulli) i fondi stanziati e pochi i progetti specifici in grado di delineare solide direttrici per configurare un’adeguata cyber education.
In quest’ambito un ruolo fondamentale è attribuito anche alle associazioni. A questo proposito rammentiamo che ANSSAIF ha partecipato agli incontri programmati dal MOIGE presso gli istituti aderenti all’iniziativa sul territorio nazionale, anche con la collaborazione della Polizia Postale, con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza circa gli argomenti sopra trattati. L’iniziativa ha riscosso successo, ma si è purtroppo registrata l’impossibilità di avere un dialogo diretto anche con i familiari stretti degli alunni.
Da ultimo concorre all’incertezza sui passi da compiere l’assenza di un framework strutturato di indagine preventiva, rilevazione delle problematiche e pianificazione sulle azioni correttive da mettere in campo, inclusa una gestione fattiva e tempestiva in caso di necessità, di pericolo. Ad esempio non si può credere che, per una questione tanto delicata come questa, sia accettabile seguitare ad utilizzare generici indicatori qualitativi; è piuttosto urgente riflettere con dati ben organizzati alla mano.
Ma è difficile che qualcuno se ne prenda la responsabilità. Le competenze implicate per realizzare un simile salto in avanti sono articolate e certo la vastità di discipline chiamate in ballo per una gestione armonica non rende le cose più semplici. Si consideri inoltre che un framework, specie in fase di rodaggio, è facilmente criticabile e quindi troppo vulnerabile perché qualcuno sia disposto ad esporsi alla pubblica gogna. Ma bisogna anche ricordare che qualsiasi motore di gestione è fatto per essere migliorato ciclicamente ed in modo continuativo. E’ quindi auspicabile che il primo passo venga compiuto quanto prima grazie ad una sinergica collaborazione tra Stato, Università e associazioni. E perché scartare un eventuale coinvolgimento del settore privato? In fondo gli studenti di oggi saranno i collaboratori di domani. Qualche gruppo lungimirante potrebbe intravvedere opportunità di investimento a lungo termine.