La comunicazione, si sa, è uno degli argomenti caldi di questo decennio. La sempre crescente diffusione dei social media, che in modo estremamente democratico (forse troppo?) concedono la possibilità proprio a tutti di essere autori, contribuisce a posizionare l’argomento sotto i riflettori. Anche le aziende, PMI comprese, si sono lanciate in evoluzioni mirabolanti, che in alcuni casi sono risultate costruttive, in altri decisamente rovinose.
La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.Ma qualcuna di queste aziende (specie le più piccole) si è posta il problema di gestire la comunicazione con le parti interessate in caso di emergenza? Quando ad esempio la terra trema sotto i piedi oppure quando un muro d’acqua investe gli uffici, che si fa? Il numero di telefono di quell’unico fornitore strategico, che potrebbe dare aiuto per rimanere a galla subito dopo il disastro, è solo nell’intranet aziendale? Ma se i server sono sott’acqua? Possibile che nessuno abbia pensato a scriverlo a penna e metterlo nel portafogli?
La questione centrale è proprio questa: se da un lato la comunicazione è principalmente interpretata, e conseguentemente ben strutturata, come una continua opportunità di ampliare il portafoglio clienti, è anche un elemento cardine, da strutturare in modo altrettanto puntuale, nella gestione delle emergenze. A tal proposito le norme volontarie sono chiare: nella HLS (Struttura di alto livello delle norme ISO) è stato previsto uno specifico set di requisiti (il 7.4) che riguarda appunto le comunicazioni. Nei singoli requisiti si richiede di prendere in considerazione e descrivere gli aspetti correlati, secondo la logica delle 5w giornalistiche. Ma l’obiettivo ultimo è proprio quello di descrivere le comunicazioni (interne ed esterne) nei casi difformi rispetto alle situazioni normalmente attese.
Come premesso, i processi di comunicazione includono un grande potenziale, a volte estremamente benefico, ma altre volte fortemente distruttivo. Proviamo ad immaginare per un attimo le conseguenze di una comunicazione superficiale in caso di incidente o crisi sugli investitori, sui dipendenti ignari della situazione effettiva dell’azienda per cui lavorano, sui clienti. Scapperebbero tutti a gambe levate, ed è in quel caso che si verificherebbe il vero disastro. E’ per questa ragione che l’elemento cardine nelle procedure messe a punto dovrebbe riguardare l’attribuzione delle responsabilità di comunicare qualcosa a qualcuno.
Di contro, una comunicazione curata potrebbe essere in grado di tramutare una situazione di emergenza in una grande opportunità per l’organizzazione: “Nonostante tutto… Noi abbiamo garantito….!”.
E’ un argomento che merita certamente una riflessione condotta con metodo, come suggeriscono le norme con un approccio risk-based thinking, e che non può in ogni modo essere affidata al caso. Sembra che nella società contemporanea si sia radicato un valore, quello dell’istantaneità, così forte ed apprezzato che a volte ci impedisce persino di guardare più in là del nostro naso, vivendo e lavorando come se non ci fosse un domani. Ed è così facendo che ci assicuriamo la rovina. Quindi, cari manager, al lavoro!