“The ability to produce original and unusual ideas, or to make something new or imaginative”
La definizione di creatività per il Cambridge Dictionary.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rapida crescita delle possibili applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Se nel portare a termine operazioni ripetitive, matematiche e semplici ha ormai superato in velocità ed efficienza le nostre possibilità fisiche, in altre applicazioni più creative, “umane”, definire il punto in cui è arrivata è più difficile.
È una domanda a cui molti pensatori e addetti ai lavori stanno cercando di dare una risposta: riusciranno strumenti di machine learning e IA a sviluppare pensieri critici rispetto al mondo che li circonda e creare qualcosa che sia, senza ombra di dubbio, creativo e vivo?
Oggettivamente non è una domanda semplice. Possiamo, però, ragionarci analizzando gli utilizzi in cui l’IA oggi è più efficiente dell’uomo in ambiti che si potrebbero definire creativi.
Ognuno di noi ha cominciato ad approcciarsi ai misteri del mondo tramite i meccanismi del gioco e l’IA non è stata da meno. Dalla celebre partita a scacchi fra Deep Blue (IBM) contro il campione del mondo di scacchi, nel 1997, fino ad arrivare alle ultime vittorie di AlphaGo (Google) contro i migliori giocatori di GO – altro famosissimo gioco di strategia – nel 2016, il contesto è molto cambiato.
La tecnologia si sta evolvendo e sta imparando ad affrontare sfide sempre più difficili; basti pensare che Go è migliaia di volte più complesso del gioco degli scacchi; in poche parole, abbiamo assistito in 20 anni ad un miglioramento dell’IA paragonabile a milioni di anni di evoluzione naturale per essere vivente.
Nel 2016 Lee Sodol, campione del mondo di Go, dopo essere stato sconfitto da AlphaGo ha affermato: “mi ha fatto mettere in discussione la creatività umana”. In quell’occasione, forse per la prima volta, la maggior parte degli addetti ai lavori ha concordato sul fatto che una macchina fosse riuscita a reagire in maniera creativa a stimoli ricevuti in tempo reale.
Ma per quanto possa essersi dimostrato creativo, AlphaGo non ha fatto altro che diventare il migliore nel suo campo, ignorando però tutto ciò che ne era al di fuori.
All’inizio dell’articolo abbiamo riportato la definizione di creatività proposta dal Cambridge Dictionary. In riferimento al caso pratico che abbiamo appena proposto, che cosa differenzia la creatività messa in mostra da AlphaGo rispetto a ciò che comunemente si intende per creatività umana?
La questione non è così semplice. In generale si potrebbe dire che, siccome il machine learning funziona se viene indirizzato e addestrato in un contesto chiuso, questo va a collidere con l’essenza stessa della creatività umana, sintetizzabile nell’espressione “out of the box”. Allo stesso tempo, però, anche l’umanità è creativa in un singolo contesto, quello delle sue esperienze, anche se molto più ampio di qualsiasi palestra programmatica con cui un’IA si sia mai confrontata.
Inoltre, la creatività umana dipende in larga misura anche dalle emozioni: lo stato mentale in cui si trova il soggetto influenza le scelte, le opzioni e la prospettiva sul mondo. La stessa idea creativa comunicherà poi ai riceventi, molte volte, le emozioni dell’autore, guidando le loro reazioni verso una nuova visione del mondo. Questa è probabilmente la base su cui si fonda il concetto di artisticità.
Può un’intelligenza artificiale raggiungere lo stesso obiettivo? In un primo momento potremmo dire di no, ma se consideriamo la possibilità che un’opera o un prodotto nato a-emozionale possa suscitare emozioni di valore e arricchire chi lo riceve, la questione cambia.
Ad esempio, per un giocatore di Go vedere giocare un’IA che mette in campo mosse geniali, inaspettate – e qualche esperto del gioco direbbe bellissime – è emozionante.
È impossibile dare un risposta semplice a una domanda così complessa. Nessuno è mai riuscito a definire cosa si intenda per intelligenza e creatività umana, tanto meno è possibile definire se l’IA le possieda entrambe, in qualche modo. Sicuramente le macchine non potranno mai essere uomini e forse sbagliamo, proprio per questo motivo, a voler comparare algoritmi e neuroni, cercando punti di contatto tra realtà biologicamente diverse.
In fin dei conti, abbiamo creato macchine e intelligenze artificiali per fare le cose che non siamo in grado di fare, o che non vogliamo più fare. Se mai diventeranno creative tanto o più di noi, probabilmente sarà perché non saremo più in grado di farci guidare dalla nostra immaginazione.