Dopo un braccio di ferro durato settimane, l’FBI è infine riuscita a sbloccare l’iPhone di Sayed Farook senza l’aiuto di Apple. Ma difficilmente finirà qui l’acceso dibattito che ha accompagnato la vicenda.
Il Dipartimento di Giustizia, che ha raggiunto il suo obiettivo grazie a una non meglio specificata ‘terza parte’ – si parla comunque di un’azienda israeliana – ha pertanto chiesto l’annullamento dell’ingiunzione dello scorso 16 febbario per mezzo della quale avrebbe voluto costringere Apple a creare una backdoor che permettesse agli inquirenti di penetrare nel cellulare di uno degli autori della strage di San Bernardino.
Una vittoria per Apple? Non proprio. Per l’FBI, allora? Neanche.
“Ci siamo opposti fin dal principio alla richiesta dell’FBI di creare una backdoor perchè credevamo fosse sbagliata e potesse creare un precedente pericoloso. Come risultato della revoca del Governo, niente di tutto questo è accaduto. Questo caso non avrebbe mai dovuto essere intentato”, ha dichiarato Apple in una nota.
Sottolineando di voler continuare a incrementare la sicurezza dei prodotti da “minacce e attacchi sempre più frequenti e sofisticati“, l’azienda di Cupertino ha ribadito l’importanza della protezione dei dati, della sicurezza e della privacy per gli Stati Uniti e per il mondo. “Sacrificare una cosa per l’altra mette a rischio le persone e i paesi” conclude Apple, dicendosi pronta a portare avanti e a partecipare al dibattito sulle questoni sollevate da questo caso.
Dibattito – quello sulla privacy e la crittografia – che, infatti, sembra destinato a durare ancora a lungo, alimentato dai commenti e dalle prese di posizione che si stanno susseguendo in queste ore.
Cantano vittoria le associazioni in difesa dei diritti degli internauti, come la Electronic Frontier Foundation che si è detta felice della “battuta in ritirata” del Dipartimento di Giustizia nel suo tentativo “pericoloso e incostituzionale di costringere Apple a sovvertire la sicurezza del suo sistema operativo iOS”.
Esprime preoccupazione, invece, Jérémie Zimmermann, cofondatore dell’associazione Quadrature du Net. Per Zimmermann l’utilizzo da parte del Governo di una vulnerabilità della sicurezza nell’iOs “dimostra che quando una delle prime forze di polizia nel mondo ci mette i mezzi, ha la capacità di violare la cifratura dei dispositivi commerciali”.
Sia per l’FBI che per Apple è comunque una vittoria a metà, dicono gli esperti.
L’FBI ha infatti raggiunto il suo obiettivo, ma senza stabilire alcun precedente legale da utilizzare per casi simili in futuro.
Apple, dal canto suo, mantenendo la sua posizione di rifiuto alle richieste dell’FBI ha evitato di dover sottostare all’obbligo di creare una porta di accesso ai dati dei suoi dispositivi, ma così facendo ha anche fatto sapere al mondo che l’FBI, volendo, può entrare ugualmente.
Neanche Apple, insomma, che ha fatto della sicurezza il suo cavallo di battaglia, può dire di poter proteggere da quasiasi incursione le conversazioni e le informazioni dei suoi utenti.
Il rischio, per l’azienda, è che ora la clientela più ‘sensibile’ costituita da politici, dirigenti d’azienda o artisti, passi ad altri dispositivi come il BlackPhone (che blinda le conversazioni rendendole impermeabili a incursioni esterne) o il Boeing Black che, oltre a criptare le chiamate, cancella tutti i dati e rende il cellulare inutilizzabile nel caso in cui qualcuno cerchi di manometterlo.
Rischio che però gli analisti minimizzano. Difficilmente, secondo loro, il lancio del nuovo iPhone SE, il 31 marzo, subirà l’impatto dello sblocco dell’iPhone 5C da parte dell’FBI. anzi. Il rifiuto di Apple d collaborare con le forse dell’ordine, secondo Zimmermann, è stata “una formidabile campagna di comunicazione durata oltre un mese”, durante il quale Apple si è eretta come il cavaliere bianco in difesa delle informazioni e della privacy dei consumatori.