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Apple, prezzi troppo alti nello store: la Corte Suprema Usa dà il via libera alle class action

I clienti di Apple negli Usa potranno avviare delle class action contro l’azienda produttrice degli iPhone: è quanto ha stabilito la Corte Suprema degli Stati Uniti. Le app presenti sullo Store ufficiale dell’azienda, si sostiene nel ricorso, potrebbero essere rivendute a prezzi più contenuti, se gli sviluppatori non fossero costretti a utilizzare obbligatoriamente lo Store ufficiale di Apple, con una commissione del 30% sulle vendite.

La sentenza che ha visto i giudici dividersi sulla decisione. Cinque i voti a favore, quattro i contrari, adesso c’è il via libera per presentare le cause nei tribunali contro i prezzi delle app, che i ricorrenti sostengono essere troppo alti e fuori mercato, come evidenziava già il ricorso iniziale, presentato inizialmente nel 2011 alla Corte Federale della California.

Azioni in calo

La decisione apre alla possibilità per i consumatori di fare ricorso contro le politiche di Apple, una prospettiva che – anche se ancora la strada giudiziaria potrebbe essere lunga – ha avuto una ripercussione anche sulle azioni dell’azienda di Cupertino, ieri scese del 5,8%. Un calo azionario arrivato nello stesso giorno in cui i mercati azionari erano già in terreno negativo per gli sviluppi relativi alla guerra dei dazi tra Usa e Cina. Apple, inoltre, starebbe orientando sempre di più il proprio business sulla fornitura di app e servizi, che rappresentano ormai un terzo del giro d’affari, mentre la vendita di iPhone e altri dispositivi sta registrando un rallentamento.

Risarcimenti dai tribunali

Il giudizio della Corte Suprema, con la sentenza scritta dal giudice Brett Kavanaugh, non è entrato nel merito della questione – se la politica di rivendita nello store sia o meno un comportamento illegittimo – ma se i ricorsi per risarcimento dovessero avere un esito positivo, una volta tornato nei tribunali Usa, “le somme pagate in più dai consumatori da quando è iniziato il monopolio di Apple, potrebbero valutarsi in miliardi di dollari”, afferma Mark Rifkin, legale che ha seguito i ricorrenti. Nella sentenza, però, Kavanaugh sostiene che la tesi portata avanti da Apple – e cioè che il diritto a fare ricorso sia una esclusiva degli sviluppatori, non dei semplici acquirenti – “aprirebbe la strada per tutti i rivenditori che operano in monopolio, che potrebbero strutturare le loro transazioni con altri produttori e fornitori in maniera da eludere i reclami dei consumatori ed eludere l’effettiva applicazione delle norme antitrust”.

Apple gioca in difesa

In un comunicato Apple gioca già in difesa e sostiene che “siamo sicuri che vinceremo alla prova dei fatti e che il nostro Store non può essere considerato un monopolio sotto alcun punto di vista”. Secondo la compagnia, i possessori di iPhone sono da considerare acquirenti indiretti e i maggiori costi sarebbero solo una scelta da addebitare agli sviluppatori. “Gli sviluppatori stabiliscono il prezzo che vogliono proporre per le app e Apple non ha alcun ruolo in questo – ha fatto sapere ancora l’azienda – La maggior parte delle app sullo Store sono gratuite e Apple non ne ricava nulla”.

In Ue sotto accusa Apple Music

Di recente anche in Ue Apple è finita nel mirino per una presunta posizione monopolistica: secondo il Financial Times, La Commissione per la concorrenza e il mercato nelle prossime settimane potrebbe lanciare un’indagine dopo una denuncia di Spotify, il servizio di musica in streaming. Anche in questo caso si chiede di pagare una sovrattassa del 30% ai fornitor di app, che sarebbero così svantaggiati rispetto al servizio interno Apple Music, in diretta concorrenza con applicazioni simili.

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