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Apple vs. FBI. Proposta francese: ‘Multa da 1 mln alle aziende che non collaborano alle indagini’

Apple

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Certo, a un’azienda che nel 2015 ha fatturato 234 miliardi di dollari, un’ammenda da 1 milione di euro potrà solo il solletico. Ma ci prova lo stesso il deputato francese Yann Galut, che ha appena depositato un emendamento per costringere società come Apple e Google a collaborare in casi di lotta al terrorismo. Chi dovesse rifiutare di collaborare, secondo la proposta del deputato socialista, rischierebbe una multa da 1 milione di euro.

“Siamo di fronte a un vuoto normativo sul tema della crittografia dei dati, che provoca il blocco indagini giudiziarie”, ha spiegato Galut in un’intervista.

“Questi grandi gruppi come Apple e Google, estremamente potenti, non possono che essere costretti facendo leva sul versante finanziario”, ha aggiunto, denunciando la “totale malafede” di queste aziende “che dicono di voler difendere la privacy ma non esitano a sfruttare i dati dei loro utenti per i loro fini commerciali”.

Si parla, in ogni caso, non di uno spionaggio di massa (come è usanza negli Usa e come è stato svelato dallo scandalo Datagate) ma di singoli casi autorizzati da un giudice.

In Italia, ad esempio, dopo un lungo iter burocratico, la procura di Palermo ha ottenuto l’accesso ai server di Facebook nell’ambito dell’indagine sul super latitante Matteo Messina Denaro, riconosciuto come il latitante più pericoloso d’Europa. L’imprendibile boss e i suoi affiliati e parenti, a quanto pare, oltre che con i pizzini, comunicano anche attraverso le chat di Facebook, nascondendosi ovviamente dietro falsi profili.

Alla base della decisione del social di Mark Zuckerberg – che pure si è schierato con Apple ritenendo giusta l’opposizione alla creazione di una backdoor per accedere al cellulare del terrorista autore della strage di San Bernardino – c’è sempre l’ordine di un giudice: una rogatoria ottenuta dopo mesi e una montagna di documenti che la procura palermitana ha solertemente predisposto per ottenere l’accesso. C’è chi può obiettare che comunque si tratta di ambiti tecnologici diversi, essendo Facebook un servizio e l’iPhone un prodotto e, nello specifico, il prodotto di punta della principale azienda mondiale per capitalizzazione. La stessa Apple ha collaborato con l’FBI per quanto ha riguardato l’accesso all’account iCloud di Syed Farook, se non fosse che gli inquirenti hanno fatto l’errore di reimpostare la password vanificando ogni ulteriore tentativo di effettuare un backup dei dati dell’account. Da qui la necessità di arrivare all’ordine del giudice che ha scatenato il caso.

I social network, in ogni caso, sembrano essere più collaborativi delle altre società della Silicon Valley, come dimostra la decisione di Twitter di chiudere 125 mila account legati al terrorismo islamico, e quella di Facebook di creare una squadra ad hoc concentrata sull’identificazione dei profili che sostengono o promuovono gruppi terroristici.

Decisioni legate a un forte pressing del Governo dopo la strage di San Bernardino, in seguito alla quale obama ha inviato nella Silicon Valley i massimi esponenti dell’FBI, dell’antiterrorismo e dell’intelligence, per chiedere ai social network di aiutare l’amministrazione a “interrompere i percorsi di radicalizzazione della violenza” e “identificare i modelli di reclutamento” dello Stato Islamico.

E’ di oggi, inoltre, la notizia – riportata dal Corriere della Sera – secondo cui l’iPhone 5 di Alexander Boettcher, imputato a Milano per le aggressioni con l’acido, è stato forzato grazie all’aiuto di una società israeliana che ha elaborato un software in grado di aggirare i sistemi di sicurezza del dispositivo, che montava il sistema operativo iOS8.

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