Il Parlamento Ue continua la sua azione contro lo strapotere di Google che nella web search controlla in Europa una quota di mercato che supera il 90% (dati comScore) contro il 75% degli USA.
E mentre il gruppo americano continua a guardare al futuro e svela al Mobile World Congress di Barcellona le proprie ambizioni sul mercato mobile, Strasburgo torna all’attacco con un nuovo documento.
Dopo aver fatto approvare a larga maggioranza a novembre scorso la risoluzione che chiede lo spacchettamento dell’azienda americana, l’Europarlamento torna a fare pressioni sulla Commissione Ue perché agisca “con urgenza” e raggiunga “risultati tangibili” per porre fine al trattamento preferenziale di cui gode Google.
La relazione, già approvata dalla Commissione economica, avrà il via libera dell’Aula nella sessione di Strasburgo, la settimana prossima.
Serve che la Commissione trovi una soluzione, ammonisce la relazione, “se vuole che la sua strategia sull’agenda digitale resti credibile”.
La grande marcia contro il gigante di Mountain View è guidata dall’europarlamentare di centro Ramon Tremosa, autore insieme al tedesco Andreas Schwab della risoluzione di novembre.
“Da troppo tempo Google nuoce ai consumatori“, dice senza mezzi termini Tremosa, aggiungendo: “Il nostro compito è fermare le pratiche sleali e ripristinare le condizioni di concorrenza”.
Per risolvere la questione, i parlamentari europei hanno proposto la scissione delle attività di Google, da un alto quelle di ricerca dall’altro i servizi commerciali.
L’Antitrust Ue non ha ancora chiuso il dossier per sospetto abuso di posizione dominante aperto cinque anni fa.
La questione è tornata centrale dopo il voto del Parlamento. Anche se la risoluzione non è vincolante, alla Commissione Ue è stato mandato un chiaro segnale a solo un mese dal suo insediamento.
E mentre il nuovo Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager non ha ancora messo sul tavolo tutte le carte, Google ha sbarrato la strada e non ha commentato la richiesta di smantellamento proveniente da Strasburgo.
Google ha fatto o no ricorso a pratiche sleali per avere raggiunto in Europa siffatte dimensioni?
Devia o no il traffico a vantaggio dei propri servizi?
Queste domande restano ancora senza risposta.
L’indagine su Google è stata aperta a novembre 2010 e, nonostante la presentazione di tre proposte da parte del gruppo, ancora non è stata chiusa.
Gli impegni di Google sono stati respinti dalla Ue perché ritenuti insufficienti dai competitor per ristabilire condizioni eque sul mercato.
Il nodo è il posizionamento dei link dei servizi rivali sulle pagine di ricerca, che resta appannaggio esclusivo di Google.
Anche gli ultimi rimedi, presentati a settembre, non rassicuravano del tutto i competitor ai quali Google rispondeva che “monetizza come meglio crede gli spazi sulle proprie pagine e non può cedere gratuitamente ai suoi concorrenti ciò che fa pagare agli inserzionisti”.
David Drummond, VP di Google, ha indicato che il miglior giudice resta il consumatore che può sempre scegliere di “cambiare motore di ricerca gratuitamente e senza difficoltà”.
Il Commissario alla Digital Economy, il tedesco Günther Oettinger, ha fatto sapere che entro l’estate sarà presa una ‘decisione equilibrata’ sul caso.
Va da se che dopo cinque anni di indagine ci si aspetta che la Commissione Ue intervenga con una soluzione esemplare.
Bisognerà vedere quali rimedi la Commissione potrà negoziare e quali sanzioni finanziarie…
Un eventuale multa potrebbe arrivare fino a 6,6 miliardi di dollari.
Google ha anche problemi antitrust in altri Paesi. Dossier simili sono stati aperti in India e Brasile e presto si potrebbe aggiungere il Canada.
La società americana realizza il 56% del proprio fatturato fuori dagli Stati Uniti, per cui una sanzione peserebbe fortemente sul proprio bilancio. Senza parlare del precedente giuridico che si creerebbe e delle possibili complicazioni per il lancio dei nuovi servizi.
In attesa, gli occhi continuano a restare puntati su Bruxelles.