Android finisce sotto la lente dell’Antitrust USA dopo quello europeo. La scorsa settimana i servizi della Concorrenza Ue hanno infatti, inviato a Google la Comunicazione di Addebiti per chiudere il dossier sul sistema operativo mobile dell’azienda aperto il 15 aprile 2015 in parallelo con la spedizione alla compagnia americana dello Statement of Objections riguardante l’indagine antitrust sul mercato della ricerca online di cui si attende ancora l’esito.
Ieri si è poi aperto un nuovo fronte: l’Agenzia Getty ha presentato alla Ue un ricorso contro Google accusata di mostrare nei risultati di ricerca foto in alta risoluzione protette da copyright.
Adesso sono le Autorità alla concorrenza americane ad accendere il faro su Google. Come riporta il Wall Street Journal, si teme che anche negli USA il gruppo abbia potuto abusare della propria posizione dominante sul mercato dei sistemi operativi mobili per privilegiare i propri servizi a danno dei concorrenti.
La Federal Trade Commission (FTC), che già dallo scorso anno aveva cominciato a interessarsi della questione, sta ora allargando la propria indagine. Secondo fonti citate dal quotidiano, negli ultimi mesi sarebbero già state incontrate delle aziende potenzialmente coinvolte per avere informazioni aggiuntive.
La FTC sta valutando questioni simili a quelle sollevate dalla Commissione europea secondo la quale Google avrebbe abusato della propria posizione dominante, imponendo restrizioni ai fabbricanti di dispositivi Android e agli operatori di reti mobili, in violazione delle norme antitrust dell’Ue (Scheda informativa).
Google non è d’accordo e alla Ue ha replicato: “Dimostreremo che Android è un bene per la concorrenza”.
Kent Walker, Senior Vice President & General Counsel di Google, ha commentato: “Android ha contribuito allo sviluppo di un ecosistema rilevante e, ancora più importante, sostenibile, basato su un software open source e sull’innovazione aperta”.
Le due indagini vengono condotte separatamente anche se sono uguali per molti versi e i regolatori potranno condividere le loro informazioni. Questo non vuol dire comunque che giungeranno alle stesse conclusioni.
Bisogna inoltre ricordare che Android è molto più dominante in Europa (80%) che negli USA.
C’è poi un altro precedente.
Negli USA la lunga indagine antitrust su Google per la sua posizione sul mercato della ricerca e della pubblicità online è stata chiusa nel 2013 per mancanza di prove mentre è ancora aperta presso la Commissione Ue dopo l’invio, lo scorso anno, della comunicazione di addebiti.
Intorno a Google si è stretta da tempo la morsa della Ue. Dal diritto all’oblio, all’elusione fiscale, passando per i problemi di concorrenza nella web search e nei sistemi operativi mobili, sono tanti i fronti aperti in Europa.
Ma nel mirino della Ue non c’è solo Google, anche Apple, Amazon e Facebook. Al punto che Washington ha accusato la Ue di ‘protezionismo digitale’.
Un aspetto sul quale è intervenuto il Commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che in un’intervista pubblicata oggi da Repubblica, chiarisce: “Se chiedi a qualcuno perché usa Google o perché compra un iPhone, ti risponderà che è perché funzionano bene, sono buoni prodotti. Nessuno ti dirà che li sceglie perché sono americani. Ma se tutti li scelgono, sui crea una situazione di posizione dominante. Il successo va benissimo, la predominanza sui mercati anche. Ma le congratulazioni si fermano quando un’azienda cerca di bloccare le innovazioni che potrebbero minacciare la propria posizione dominante. Non ci occupiamo solo degli americani, abbiamo e abbiamo avuto sotto esame molti casi europei“.
Vestager interviene anche sul giro di vite della Ue contro l’elusione fiscale per dire, sempre a Repubblica, “I cittadini hanno visto fare ai loro governi cose che sembravano impensabili. I salari sono calati, le tasse sono aumentare; tutto per controllare la spesa. Allo stesso tempo la gente vede che ci sono cittadini e imprese che non contribuiscono a questo sforzo. Ovvio che si sono arrabbiati. E quando hai scandali come quello dei Luxleaks o dei Panama Papers, tutti se ne rendono conto“.