Presentazione

Amazon Prime Video debutta in Italia con la Ferragni. Ma quali strategie editoriali e investimenti?

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Presentazione con ‘pink carpet’ del documentario ‘Chiara Ferragni unposted’, prima produzione di Amazon Prime Video in Italia: elogio della fatuità del web, ma mancano indicazioni sulle strategie editoriali.

Ieri sera a Roma, in una via della Conciliazione presidiata dalle forze dell’ordine, a poche centinaia di metri dal Vaticano, è stato presentato “in anteprima” (ma non esattamente) il documentario “Chiara Ferragni unposted”, diretto da Elisa Amoruso, prima produzione realizzata in Italia da un “nuovo entrante” nel business dei contenuti audiovisivi veicolati attraverso il web: un “new comer” non da poco, considerando che si tratta di Amazon, ovvero del servizio di video “on demand” lanciato con il marchio Prime Video.

Il documentario è basato sulla vita della “fashion influencerChiara Ferragni e vorrebbe proporre una “analisi” di come il mondo dei “social network” ha cambiato il mondo dei media e del business, ma è sostanzialmente incentrato sull’esperienza personale della “imprenditrice digitale”.
Va segnalato che la commistione tra post dal contenuto redazionale (libero e puro) e post influenzati (eterodiretti) da interessi pubblicitari è un problema crescente nei “social”, di latente rischio confusionale e di (non) trasparenza nei confronti del lettore/fruitore, e proprio il settore della moda sembra essere la frontiera di queste latenti criticità (in argomento, si veda l’articolo di Massimiliano Dona, su “Key4biz” del 20 novembre 2019, “Influencer marketing: la Camera della Moda e la difesa di un settore che vorrebbe restare al di fuori delle regole”). Il film sulla Ferragni è un documentario creativo, oppure un lungo spot su di lei e quindi sui “marchi” che promuove?! È soltanto una… “pubblicità redazionale” elegantemente camuffata? Pubblicità… occulta forse?! O finanche pubblicità… subliminale???

La presentazione è degna di interesse, non soltanto per la cronaca “mondana” (in verità, non s’è osservato – al di là delle evidenti intenzioni dei promotori – un “parterre” esattamente “de roi”), ma perché sintomatica di alcune modalità di “penetrazione” dei mercati nazionali, da parte del gigante del commercio digitale planetario, con strategie che mostrano sintonie con le iniziative di Netflix o Apple+ e simili, ovvero di quelle che possiamo definire senza ombra di dubbio le “nuove majors”. Non è casuale che Netflix sia stata ammessa, nel gennaio di quest’anno, alla corte della Mpaa, la storica associazione dei produttori cinematografici statunitensi (Motion Picture Association of America).

Crediamo, sulla base di una trentennale esperienza di osservazione di queste “coreografie”, che alcuni dettagli siano importanti. Ci limitiamo quindi a segnalare alcuni di questi dettagli: in primis, il documentario è in buona parte girato in lingua inglese, ed Amazon non ha ritenuto opportuno offrire allo spettatore non anglofono i sottotitoli in italiano. Il mercato è globale, no?!, e quindi prevalga senza scrupoli l’inglese ed il suo dominio imperialista, e chi se ne importa delle lingue (e culture) nazionali! Anche il “promo” delle produzioni in corso di Amazon Studios, proiettato ieri sera, è stato proposto tutto in inglese.

Una qualche premessa di scenario appare opportuna. Il braccio operativo di Amazon nell’audiovisivo è stato lanciato nel 2006 con il nome Amazon Unbox, divenuto nel 2011 Amazon Instant Video, nel 2015 Amazon Video, e nel 2018 Prime Video (evidente la volontà di sganciarlo tendenzialmente dal “brand” della casa madre).

Il servizio è offerto, dalla fine del 2016, in oltre 200 Paesi, e dal 2013 distribuisce anche “contenuto originale”, prodotto dalla divisione Amazon Studios. Si ricordi che il braccio operativo nella musica, Amazon Music è offerto invece soltanto in 60 mercati nazionali.

Amazon, 5,4 miliardi di dollari in “original content”, a fronte dei 10,5 di Netflix

Il livello degli investimenti di Amazon è ancora lontano da quelli di Netflix, ma è comunque significativo: se nel 2018 Netflix ha speso (investito) tra i 12 ed i 13 miliardi di dollari Usa in contenuto (di cui un 85 % in contenuti originali), ovvero 10,5 miliardi di euro, si può stimare che Amazon abbia investito circa la metà, ovvero 5,4 miliardi di euro. La previsione per l’anno 2019 è nell’ordine di 6 miliardi di euro.

Si tratta ovviamente di… spiccioli, se si ricorda che il totale dei ricavi di Amazon è stato nel 2018 di oltre 197 miliardi di euro, a fronte dei 13 miliardi di euro di Netflix.

La “fetta” rappresentata dall’Europa sulla “torta” dei ricavi totali è rispettivamente del 15 % per Amazon, a fronte del 26 % di Netflix.

Per quanto riguarda Netflix, si stima che nel corso del 2019 investirà poco meno di 1 miliardo di euro in produzioni realizzate in Europa (ed ovviamente destinate al mercato planetario). Non si dispone di dati relativi a Amazon Studios, ovvero la casa di produzione di Prime Video, per il Vecchio Continente.

Siamo lontani dalla potenza di fuoco di Disney-Fox (12,6 miliardi di investimenti previsti per il 2019) o di Viacom Cbs (10,4 miliardi) o di Nbc-Universal-Sky (8,5 miliardi), ma si tratta di investimenti destinati a modificare lo scenario produttivo cui siamo stati abituati negli ultimi anni.

Da osservare che, al giugno 2019, Netflix vantava ben 276 opere in produzione, a fronte delle 95 di Amazon, delle 35 di Apple, delle 22 di YouTube, delle 10 di Facebook Watch

Va segnalato che se è vero che Netflix è il gruppo che può vantare una filosofia “data analytic driven” nello specifico dell’audiovisivo, certamente non può competere con i “big data” che può trattare Amazon, a trecentosessanta gradi nell’economia digitale, osservatore attento dei consumi di ogni tipo.

“Celebrity Hunted- Caccia all’uomo”, EndemolShine Italia per Amazon: format rivoluzionario?!

Anche Amazon ha puntato i riflettori sull’Italia, avendo deciso di produrre la prima serie “non-fiction” girata per il nostro mercato, ovvero lo show “Celebrity Hunted – Caccia all’uomo”, prodotto da EndemolShine Italy, che verrà distribuito nel 2020, e dovrebbe essere in fase avanzata la trattativa per la produzione di una serie “crime” con Wildside, il 62,5 % delle cui quote è stato acquistato nel 2015 da Fremantle Media. Simpatici accordi tra multinazionali, tra produzione e distribuzione.

Si tratta di un “real life thriller” di 6 episodi, in cui le “celebrità” dovranno scappare da un team di “cacciatori” esperti… Tra i protagonisti, Fedez con l’amico Luis Sal, Francesco Totti, Claudio Santamaria con la moglie Francesca Barra, Costantino della Gherardesca, Diana Del Bufalo e Cristiano Caccamo. Entusiasta Leonardo Pasquinelli, Ceo di EndemolShine Italy: “è un format rivoluzionario, dal linguaggio innovativo, qualitativamente paragonabile a quello delle serie scripted, anche grazie agli elementi della suspense e del thriller. Una sfida unica nel panorama televisivo”. Vedremo…

Tornando alla “anteprima” di ieri sera, il documentario su Chiara Ferragni rappresenta una sorta di prima sortita pubblica, sulla piazza romana, di Amazon Prime Video, ed è interessante proprio per questo.

Accantoniamo per un attimo l’opera in sé, ed osserviamo la coreografia per l’anteprima di ieri sera all’Auditorium Conciliazione: invito trasmesso con Qr Code, e con indicazione di un preciso “dress code” ovvero “elegant attire” (ed in effetti, la gran parte dei partecipanti era esattamente in tiro), sala affollata (però non completamente, in buona parte giovani “follower” della “Diva”) e divisa per settori variamente “riservati” (nessuna preferenza per la stampa ed i media, ma decine di fotografi accalcati a fronte della passerella), ma su tutto prevaleva l’immagine di un lungo “red carpet”, anzi – per precisa volontà della Ferragni – un “pink carpet”… Tra le quasi mille persone che hanno assistito a questa anomala presentazione, oltre al marito della protagonista, un come sempre pimpante Fedez (tra le righe del film, abbiamo percepito un suo atteggiamento discretamente critico rispetto alla compagna), abbiamo notato poche presenze “vip”, se non l’attrice Laura Chiatti e la Sottosegretaria al Turismo (Mibac) Lorenza Bonaccorsi

Quel che ci ha lasciato senza parole è stata la modalità di presentazione: una sorta di intervista alla Ferragni-Barbie condotta da Victoria Wasilewski, giovane tedesca nominata nel maggio del 2017 “Head of Content” di Prime Video per l’Italia (dopo essere stata Senior Content Acquisition Manager per la Germania), la quale ha letto alcune paginette rimarcando l’interesse del gruppo per la realizzazione di contenuti originali, ma – naturalmente – senza alcun cenno sulle produzioni in corso o sulla strategia editoriale o sul livello degli investimenti.

Si ricordi che Netflix ha invece annunciato ad aprile investimenti in Italia per oltre 200 milioni di euro nell’arco di tre anni. Con un italiano non esattamente perfetto, Wasilweski ha decantato la qualità del documentario, segnalando che è stato comunque un inatteso successo anche “in sala”, se è vero che nei 3 giorni di proiezione nei cinematografi (dal 17 al 19 settembre 2019, dopo essere stato lanciato nella sezione “Sconfini” del Festival del Cinema di Venezia) ha registrato ben 160mila spettatori, con un incasso di oltre 1,6 milioni di euro (distribuito in quasi 400 sale). Un successo – oggettivamente – per il magro “box office” italico, comunque sorprendente nonostante i 17 milioni di “follower” che può vantare la Ferragni. Il documentario sarà offerto su Amazon Prime Video dal 29 novembre. “Chiara è il perfetto esempio di imprenditorialità femminile e di donna di successo in grado di coinvolgere ogni giorno milioni di fan in tutto il mondo. Siamo felici di poter fornire ai nostri spettatori uno sguardo esclusivo sulla sua vita affascinante e sul suo lavoro”, ha sostenuto con convinzione Wasilewski.

Da segnalare che il documentario, prodotto da Memo Films e Sapopa, è stato co-prodotto da Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution (e curiosamente reca nei titoli di testa anche la firma di Paolo Del Brocco, Ad di Rai Cinema, tra i co-produttori), e ci si interroga sul senso dell’intervento del “psb” italiano in una operazione così commerciale.

Un mega-spot

Il film, infatti, è una operazione di puro marketing finalizzata ad esaltare la figura della Ferragni come donna imprenditrice di successo. Le sue società The Blond Salad – Tbs Crew e Chiara Ferragni Collection vantano un fatturato di oltre 40 milioni di euro, tra internet puro e linea di abbigliamento, in un mix tra “social” e “moda” e narcisismo esasperato.

Non saremo così severi come il decano della critica cinematografica italiana, qual è Paolo Mereghetti, che ha stroncato sul “Corriere della Sera” l’opera con un giudizio lapidario “sembra un film di propaganda nordcoreano, voto inclassificabile”. Non saremo così crudeli, ma oggettivamente si tratta semplicemente di 85 minuti “patinati” e “leccati”, discretamente noiosi, che propongono una sorta di autobiografia sdolcinata – nella sua monodimensionalità – di una donna “vincente”, secondo le convenzioni del capitalismo digitale. Una sorta di mega-spot (e pure con la pretesa di poter impartire “lezioni di vita”!), una di quelle iniziative che quel geniaccio di Piero Chiambretti, con auto-ironia, avrebbe giustamente definito “markette” (è stato anche il titolo di una sua trasmissione per La7).

Nulla di vagamente infra-psichico o di realmente “intimo” (pare che una proposta di “doc” in tal senso fosse stata sottoposta a Netflix, ma presto bocciata), nulla di vagamente autocritico (un flusso di narrazione autobiografica priva di profondità). Sotto i bei vestiti e dietro il bel faccino, cosa si cela?!

Tutta apparenza, assai poca sostanza, sembra mostrare spudoratamente questo documentario autocelebrativo.

Elogio della fatuità (e vacuità) della “influencer”. E del web – se così lo si interpreta – ovvero di una delle sue tante sub-culture, che meritano essere esplorate approfonditamente.

Ed abbiamo anche dovuto assistere ad una Ferragni che sale in cattedra per spiegare come si deve reagire di fronte agli attacchi degli “haters”. E d’altronde qualche giorno fa, su Sky la “Barbie italica” impartiva, in un’intervista a Tg24, altre lezioni in materia: la possibilità di chiedere un documento o il codice fiscale a chi si iscrive su una piattaforma “social” per contrastare il fenomeno degli odiatori: “potrebbe essere una delle soluzioni, perché il fatto che sei facilmente raggiungibile ed è facile capire chi tu sia, rende le persone molto meno vogliose di cospargere gli altri di odio. Quindi potrebbe essere una buona soluzione”. Ferragni dixit.

Riteniamo che le strategie delle nuove multinazionali dell’immaginario dovrebbero essere studiate al meglio, perché è in gioco – veramente – la nostra identità culturale nazionale, così come un approccio critico nella lettura della realtà.

La Rai, in questo, dovrebbe svolgere un ruolo essenziale, primario, trainante, anche di baluardo contro i nuovi “conquistadores” dell’immaginario, ruolo che purtroppo si ritrova soltanto in una minima parte dei suoi programmi. E nel mentre Viale Mazzini coproduce e promuove “Chiara Ferragni unposted”…

Clicca qui, per vedere il trailer ufficiale di “Chiara Ferragni unposted”, presentato in anteprima all’Auditorium Conciliazione di Roma il 19 novembre 2019.

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