La brutta storia dell’app che vieta la libertà di espressione dei lavoratori
L’universo Amazon è in subbuglio, non solo perché i suoi dipendenti dell’impianto di Staten Island a New York hanno dato vita ad un sindacato ufficiale tutto loro (la prima volta in assoluto che un’organizzazione sindacale si attiva all’interno della Big Tech di Seattle), ma anche per le critiche che sono piovute sulla sua nuova app di messaggistica interna dedicata ai propri lavoratori.
Si tratta della Amazon Worker Chat App in fase di sviluppo che, secondo The Intercept, potrebbe finire al centro di critiche molto dure per il divieto di utilizzo di alcune parole considerate dall’azienda inappropriate ad un ambiente di lavoro armonioso.
Sindacato, schiavitù, prigione, fatica, piantagione, i servizi igienici o bagno, odio, molestie, stupido, ingiustizia, diversità, razzismo, uguaglianza, minacce, violenza e anche vaccini: ecco alcune delle tante parole che secondo la testata saranno vietate dall’applicazione aziendale.
Amazon si difende sia ritenendo le critiche esagerate, visto che il servizio è ancora in fase di sviluppo e sarà migliorato, sia sostenendo che il management ha sempre agito nell’interesse dei dipendenti, perché quest’app di messaggistica (messaggi “Shout-Outs”) serve nelle intenzioni degli sviluppatori a creare migliori condizioni di lavoro (a livello psicologico, di relazioni e culturale).
La difesa di Amazon e il glossario del padrone
I lavoratori potranno inviarsi apprezzamenti l’un l’altro, felicitarsi per un buon turno o una buona performance, per segnalare problemi e chiedere aiuto, insomma tutto quello che serve per costruire una comunità di lavoratori positiva e fiduciosa nel futuro.
Ammesso che siano liberi di esprimersi e di parlare anche dei problemi legati al lavoro e all’organizzazione del lavoro, dei turni massacranti o della poca sicurezza, di denunciare eventuali minacce o aggressioni, di criticare comportamenti discriminatori e linguaggi di odio.
L’azienda rimanda indietro le accuse, in sostanza, ricordando che molto spesso i messaggi sono offensivi e aggressivi a partire dal linguaggio, andando oltre il tema o l’argomento in sé. Per questo è necessario, a detta del management, integrare nell’applicazione un filtro per evitare brutte parole.
Se poi tra queste ci finiscono termini come sindacati, protesta, stipendio e ingiustizia, sembra solo un qualcosa di occasionale, una svista.
Quello del glossario padronale (per usare un termine in voga qualche decennio fa) è un problema che i lavoratori del XXI secolo dovranno affrontare in molte situazioni diverse, soprattutto all’interno delle Big Tech.
Amazon ha spiegato, con un suo portavoce, che l’unico obiettivo dell’azienda è evitare attriti tra lavorator, eliminando anche quelle parole che in una chat sono considerate “divisive” e che quindi alzano la tenzione, impedendo a tutti di costruire un ambiente di lavoro più armonioso e pacifico, quindi più produttivo.
Un programma pilota (tra termini censurati e un nuovo glossario padronale) dovrebbe essere lanciato alla fine di questo mese.
A New York nasce il primo sindacato dentro Amazon
Tornando alla notizia di Staten Island, l’Amazon Labour Union è di fatto riuscita a sconfiggere una Big Tech da 1,5 trilioni di dollari, peraltro una delle più potenti, che nel solo 2021 ha speso 4,3 milioni di dollari in consulenti antisindacali.
Il tutto nasce due anni fa, quando Christian Smalls, un lavoratore del magazzino Amazon di Staten Island, a New York, è stato licenziato dopo aver organizzato una protesta per chiedere migliori condizioni lavorative e più sicurezza in piena pandemia da Covid-19.
Secondo il giornale The Vice, i vertici Amazon, durante un incontro ufficiale, a cui sembra avesse partecipato anche l’ex CEO Jeff Bezos, avrebbero ripetutamente denigrato Smalls: perché nero, non particolarmente intelligente e non molto produttivo.