SOMMARIO: 1. Autorità Amministrative Indipendenti. – 2. Competenze e prerogative dell’AGCOM in un contesto evolutivo di mercato e di tecnologie. – 3. Alcune criticità nell’assolvimento delle funzioni di competenza da parte di AGCOM. – 4. Conclusioni.
1. Autorità amministrative indipendenti
La regolazione di alcuni settori nevralgici della vita economico-sociale del Paese è affidata alle Autorità Amministrative Indipendenti (AAI). Le AAI sono generalmente, nell’ordinamento italiano, quei soggetti o enti pubblici, istituiti con legge, cui viene attribuita la mission di garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, e assegnate, senza peraltro il sigillo di una chiara e piena legittimità costituzionale1 ma solo una legittimazione di 2° grado tratta dal potere legislativo, funzioni prevalentemente amministrative in ambiti considerati sensibili o di alto contenuto tecnico (concorrenza, privacy, comunicazioni ecc.), tali da esigere una peculiare posizione di autonomia e di indipendenza nei confronti del Governo.
A seconda delle funzioni e del ruolo rivestito le AAI si distinguono in Autorità di vigilanza e di regolazione e in Autorità di garanzia dei diritti e libertà fondamentali.
Le Autorità indipendenti si sono sviluppate in Italia soprattutto negli anni Novanta del XX secolo e sono definite e disciplinate dalle singole leggi istitutive.
Di regola sono sottratte al controllo politico (come avviene per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato), sebbene siano previsti poteri di indirizzo del governo in casi particolari e specificamente disciplinati, come avviene, ad esempio, per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e come dimostra il caso delle Linee guida sulla procedura d’asta per l’assegnazione delle frequenze per il 5G condotta da AGCOM.
Una spinta alla creazione di autorità amministrative indipendenti con compiti di regolazione è stata determinata dai processi di liberalizzazione di vari settori economici imposti agli Stati membri dall’Unione Europea unitamente a una tutela più efficace della concorrenza.
I componenti di una AAI sono nominati con procedure che escludono l’intervento dell’autorità di governo, o lo prevedono in procedimenti in cui è preminente il ruolo svolto dagli organi parlamentari.
Le AAI rispondono per la loro attività solo al Parlamento e la loro indipendenza dagli altri poteri dello Stato, riferibile almeno al loro funzionamento, garantisce al loro ruolo di arbitraggio nel settore regolato una maggiore imparzialità (cd. neutralità) rispetto agli interessi in gioco, spesso tra loro contrastanti.
Un classico conflitto di interessi, tuttora perdurante, seppure in modo meno eclatante, è quello dello Stato a un tempo proprietario di infrastrutture o detentore di partecipazioni in società e lo Stato regolatore.
Alla tutela del consumatore nei riguardi di pratiche commerciali sleali (valga per tutte la pubblicità ingannevole) è particolarmente sensibile AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), detta usualmente Antitrust, la prima AAI istituita circa 30 anni che svolge le funzioni di garante del “fair trading”, nel riconoscimento del legislatore che dalla domanda di beni e servizi espressa dall’utente finale dipende la virtuosità del ciclo economico dalla produzione al consumo, e il benessere di ciascun cittadino.
Nonostante non siano riconducibili ad un modello di carattere generale, le Autorità presentano alcune caratteristiche comuni, come l’autonomia organizzativa e regolamentare, e la potestà normativa, sanzionatoria e di risoluzione e aggiudicazione di conflitti (che ha fatto parlare talvolta di competenze “quasi giurisdizionali”), come nel caso di AGCM.
Con riferimento in particolare a quelle AAI preposte alla regolazione dei servizi pubblici, la legge n. 481/95 s.m.i, che le ha normate, introducendo nel quadro istituzionale l’Autorità per l’Energia, Reti e Ambiente (ARERA), predispone un nuovo sistema di tutela degli interessi pubblici legati all’esercizio di determinate attività economiche, resosi necessario al tempo in cui imperava la privatizzazione di imprese di pubblica utilità, al fine di scongiurare il pericolo del passaggio da un monopolio pubblico a un monopolio privato.
In particolare per la prima volta2 “un rilievo primario alla promozione e alla salvaguardia degli interessi di utenti e consumatori di servizi pubblici e la previsione di specifici strumenti di intervento rivestono forma legislativa e si inseriscono in un disegno organico di regolazione delle public utilities“.
E’ da desumere, pertanto, che l’autorità di settore deve salvaguardare gli interessi legittimi del consumatore o più in generale dell’utente, svincolandone la tutela dal monitoraggio delle dinamiche concorrenziali, che deve rappresentare sostanzialmente un diverso ed ulteriore fronte della sua quotidiana attività.
E’ proprio questo ruolo delle AAI regolatrici delle “public utilities” su cui pone il focus il presente articolo, ritenendolo fondamentale e preminente su tutti gli altri ad esse attribuiti.
2. Competenze e prerogative dell’Agcom in un contesto evolutivo di mercato e di tecnologie
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), istituita dalla l. n. 249/1997, è un’Authority amministrativa indipendente che opera per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona e la tutela della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche (anche radiotelevisive)3 e postali.
La legge istitutiva dell’AGCOM le assegna i compiti seguenti, che, in estrema sintesi, secondo quanto dichiarato dalla stessa Autorità nel proprio sito, sono:
- assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato;
- garantire la tutela dei consumi di libertà fondamentali degli utenti;
- tutelare il pluralismo e della libertà di espressione (nel campo dei media).
Similmente al modello convergente di FCC e OFCOM, è affidata a AGCOM la regolamentazione e la vigilanza non solo nel settore delle TLC, ma anche in quelli dell’audiovisivo, dell’editoria e delle poste.
AGCOM risponde al Parlamento al pari di altre Autorità ed è strutturata nei seguenti organi:
- Presidente;
- Commissione per le infrastrutture e le reti;
- Commissione per i servizi e i prodotti;
- Consiglio, che formula pareri e proposte ad AGCOM, Parlamento e Governo, per l’ audiovisivo;
- Consiglio nazionale degli utenti (V. art. 1(28) l. istitutiva AGCOM), costituito da esperti di categorie varie, tra cui quelli designati dalle Associazioni degli utenti.
Ciascuna commissione è un organo collegiale composto dal Presidente e da quattro Commissari, mentre il Consiglio comprende il Presidente e tutti i Commissari. Il Presidente è nominato con DPR, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con il Ministro delle Comunicazioni.
I compiti della Commissione Servizi e Prodotti, della Commissione Infrastrutture e Reti e del Consiglio sono indicati all’art. 1, comma 6 della legge istitutiva dell’Agcom (la n. 249 del 1997).
La suddetta legge prevede che sia attribuita al Consiglio qualsiasi competenza non espressamente attribuita alle Commissioni. Ciò ha portato, nel tempo, a trasferire, tramite lo strumento previsto all’art. 34 della delibera n. 223/12/CONS, diverse funzioni e competenze al Consiglio, relativamente a tematiche di rilevante interesse generale. Spetta così al Consiglio decidere in materia di conflitto di interessi, di diritti audiovisivi sportivi, di tutela del consumatore, di servizi postali e, come previsto dalla recente delibera n. 315/12/CONS, in materia di pluralismo informativo e par condicio e di sondaggi.
AGCOM raccoglie l’eredità non solo della legge n. 481/95, ma anche della l. n. 223/90, istitutiva del Garante per la radiodiffusione e l’editoria, riguardante la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
AGCOM assolve ai suoi compiti d’istituto in un contesto caratterizzato da cambiamenti socio-culturali e conseguenti fasi della Rivoluzione digitale, nonché da continue trasformazioni negli assetti delle imprese e dei mercati, attraverso: 1.interventi di regolazione, vigilanza e sanzionatori nei confronti dei gestori dei servizi; 2. promozione del dibattito pubblico su modalità d’offerta dei servizio, a seguito anche di innovative tecnologie in corso di implementazione; 3. attività di studio e indagine conoscitiva (es. seminari, workshop) 4; 4. delega ai Comitati Regionali Comunicazioni (CORECOM) in tema di controversie tra operatori e utenti.
AGCOM ha iniziato la sua attività al tempo in cui erano già in fase avanzata i processi di liberalizzazione nel settore delle comunicazioni elettroniche5 e la fase attuale (dal 2001 in poi) ha per contesto un assetto di mercato di matura competitività, che vede, peraltro, la presenza di operatori integrati e globali.
Con riferimento ai compiti assegnatile dalla l. n. 481/95, le “policies” regolatorie dell’Autorità non sono più rivolte al controllo ex ante dei prezzi applicati agli utenti finali (il cosiddetto regime “price cap”6e7, istituito in passato per le tariffe al traffico telefonico e al canone d’abbonamento). Il price cap non è neppure più lo strumento di controllo dei prezzi all’ingrosso (“wholesale”) per l’interconnessione (terminazione e transito) con la rete dell’operatore dominante (SMP), Telecom Italia, e di accesso alla sua rete in rame e fibra ottica, essendo state adottate metodologie di calcolo basate su LRIC, ossia “Long Run Incremental Cost”.
Un’altra misura innovativa nel settore delle TLC, è stata la ridefinizione nell’ultimo decennio del perimetro dell’obbligo di fornitura del servizio universale (USO8, “Universal Service Obligation”) in senso riduttivo (es. esenzione, a certe condizioni, dell’”incumbent” dalla messa a disposizione del pubblico di cabine telefoniche9) ed espansivo (es. “accesso efficace ad Internet”10 a banda larga11 da rete fissa ad Internet).
Inoltre si sono intensificate le attività di vigilanza e controllo, ad es. riguardo a comportamenti collusivi, e comminate sanzioni con maggior frequenza agli operatori di reti o servizi di comunicazioni elettroniche.
Si fa osservare, peraltro, in tema di USO, che la velocità di 2 Mb/s (in download) della connessione fissa broadband12, proposta da AGCOM al MISE13 con la Delibera n. 253/17/CONS14, quale obbligo da imporre all’operatore su cui ricade tradizionalmente l’USO, ossia Telecom Italia (oggi TIM), per l’esiguità del broadband, non risponde alla finalità di una piena cittadinanza digitale di cui ogni cittadino dovrebbe legalmente fruire nell’attuale Società dell’Informazione, che ha ormai assunto i connotati di una “gigabit Society”, secondo la locuzione introdotta dalla Commissione dell’Unione Europea.
A tale riguardo, si sottolinea che il S.U. e nello specifico l’accesso broadband da postazione fissa ad Internet costituisce un diritto di ogni cittadino, che lo Stato deve garantire, indipendentemente dalla indisponibilità, nel momento in cui ne fa richiesta, di infrastrutture broadband di rete e/o sul mercato di una connessione a velocità minima tuttavia atta a soddisfare le sue esigenze (“accesso efficace”). Una siffatta offerta all’utente, non solo in termini di disponibilità, ma anche di condizioni economiche, è inevitabilmente soggetta a logiche e regole di mercato, nonostante i contributi finanziari dello Stato per gli investimenti.
Ad esempio, è innegabile che nessun operatore, salvo che sia stato designato come erogatore del S.U., né è incentivato a costruire la rete NGAN (Next Generation Access Network) in aree che richiedano spese elevate d’investimento, né si preoccupa di rispettare il principio dell’abbordabilità (“affordability”) dei prezzi proposti per i servizi offerti, che, peraltro, si sono abbassati, grazie alla competizione, fino a stabilizzarsi, ma non fino al livello di sostenibilità per fasce d’utenza con ISEE, diciamo inferiore a 20.000 €.
Anche con l’aggiudicazione del bando governativo “Piano BUL (Banda Ultra-Larga) aree bianche”, approvato nell’aprile 2019 a seguito della Decisione Aiuti di Stato SA 41647 (N/2016) della Commissione UE, il programma di cablaggio dell’operatore finirà con l’escludere migliaia di unità immobiliari e nemmeno prenderà in considerazione l’allaccio alla rete delle cosiddette “case sparse”.
La soluzione del problema del “Digital Divide” che investe zone italiane con particolare orografia e le aree rurali non può essere affidata unicamente al mercato, dando rassegnatamente per inevitabile che utenze residenziali o business ne soffrano, e non , invece, ad una disposizione di legge.
Pertanto, è da prevedere che aree residuali del Paese non beneficeranno di una connettività broadband/ultrabroadband “efficace”, il che è inaccettabile, perché lesivo di un diritto fondamentale ad usufruire di un servizio di pubblica utilità paragonabile all’elettricità, all’acqua e così via.
In Italia il “broadband USO” non codificato in legge, prevedendo il Codice delle Comunicazioni elettroniche ancora e solo l’USO relativo al servizio telefonico su rete fissa e alla banda stretta e AGCOM, lo depotenzia e ne svilisce il contenuto morale nella delibera succitata, assimilandolo in maniera riduttiva a strumento integrativo dei piani governativi a banda larga e ultra-larga.
Per contro, come riferisce la stessa Autorità, Paesi quali la Spagna, la Svezia, la Finlandia e Malta hanno adottato una legislazione nazionale che include la connessione a Internet a banda larga nell’obbligo di servizio universale, seppur garantendo velocità minime di connessione differenti.
Nel marzo 2018, il governo britannico ha introdotto nella legislazione il “broadband USO” per dare alle famiglie e alle imprese che ne abbiano titolo (“eligible”) il diritto di richiedere una connessione broadband a prezzo abbordabile che consenta un accesso “efficace” ( “decent” per Ofcom) ad Internet. A tal riguardo ha stabilito una velocità in download di 10 Mb/s e in upload di 1 Mb/s e altre specifiche tecniche, tra cui tempo di latenza e “the capability to allow data usage of at least 100 gigabytes per month”.
E’ da notare che per la prima volta nelle condizioni di offerta del S.U compare un vincolo sul volume di traffico. Evidentemente in U.K. si ritiene che in media un utente che acceda con bit rate di 10 Mb/s ad un insieme minimo di servizi che gli consenta la partecipazione sociale ed economica alla società, ossia quelli specificati nell’ALL. V del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche, svolga un traffico dati al mese certamente inferiore a 100 GB/mese, e s’intende garantirgli allora l’applicazione di una tariffa “flat” almeno finché egli non superi tale limite.
Si fa notare che anche l’organismo comunitario IMCO (Internal Market and Consumer Protection) nello studio del 2017 “Optimal regulatory model for TLCs services in the EU” propone per il Servizio Universale entrambi i requisiti per il 2020 e precisamente 9,6 Mb/s e 26 GB/mese.
Ofcom nel suo documento etichettato come statement “Delivering the Broadband Universal Service. Designating Universal Service Providers and setting conditions” del 6 giugno 2019, ha implementato la suddetta disposizione legislativa, sviluppandone i criteri da questa fissati di legittimità della richiesta – che può essere inoltrata dal 20 marzo 2020 in poi – e di affordability, tra cui l’indisponibilità di rete o mancata offerta sul mercato di connessioni secondo le caratteristiche tecniche ed economiche del “broadband USO”, il non superamento di 3.400£ quale costo sopportato dal gestore per la connessione, -salvo il caso che l’utente sia disposto a pagare la differenza rispetto al costo standard della medesima-, ed infine il prezzo minimo nel mercato della connessione superiore a 45 £/mese.
3. Alcune criticita’ nell’assolvimento delle proprie funzioni da parte di Agcom
L’azione regolatoria dell’Autorità si basa su alcuni pilastri, tra cui il pluralismo d’informazione, la tutela del diritto d’autore, la promozione della concorrenzialità dei mercati rilevanti, il contrasto a posizioni dominanti, la regolamentazione dell’uso dello spettro radioelettrico insieme al MISE con la consulenza offerta dalla fondazione Bordoni (FUB) ed infine la tutela dei diritti dei consumatori.
La AGCOM memore di quanto sia nevralgica la “consumer protection”, ha attribuito la relativa funzione direttamente al Consiglio, che svolge in tal senso un’intensa attività normativa e che negli ultimi anni ha introdotto ulteriori e nuove concrete misure volte a rafforzare la protezione dell’utente finale, tra cui:
1. Conciliaweb, ossia una piattaforma web accessibile sul sito di AGCOM, su cui l’utente può inoltrare istanze di conciliazione di controversie sorte con il gestore, istituita con la delibera n. 203/18/CONS; 2.Motore di comparazione dei prezzi di telefonia ed accesso ad Internet attivabile sul sito web di AGCOM, istituito con la delibera n. 203/18/CONS; 3. Broadband map (Delibera n. 71/16/CONS), un Sw in formato Open data che permette ad un utente di sapere –fino al livello di numero civico-, se un qualsiasi punto del Paese è coperto da una infrastruttura di accesso ad Internet.
Peraltro in molti altri casi si è posto il problema previsto dalla legge l. 14 nov. 1995 e s.m.i., del bilanciamento, non sempre facile, degli interessi legittimi dell’insieme degli offerenti i servizi pubblici regolati in un contesto da rendere e mantenere concorrenziale, e degli interessi dell’utente finale, ed allora può non essere affatto scontato, come negli esempi suelencati, individuare gli interventi regolatori ottimali da mettere in campo.
In effetti non è sempre chiaro quale debba essere la politica regolatoria che meglio tuteli l’utente finale, non solo nel breve periodo, obiettivo primario di ogni Autorità di regolazione e vigilanza, una volta valutati i benefici e i costi che si rifletterebbero sull’intera catena di stakeholder.
Non sempre può essere appropriato, inoltre, lasciare esclusivamente agli incentivi di business e alle dinamiche concorrenziali nel mercato delle infrastrutture di reti di comunicazioni elettroniche e dei servizi da queste ultime supportati, il soddisfacimento della domanda su base tendenzialmente universalistica.
A questo riguardo è da osservare che gli investimenti statali nella realizzazione di reti a banda larga e ultra-larga, quali quelli di Open Fiber che sta cablando in fibra (tecnica FTTH) l’intero paese grazie alle risorse finanziarie CDP, potrebbero far insorgere effetti distorsivi sulla competizione, ma, essendo avulsi da logiche di mercato, mirano a soddisfare la domanda di connettività a Internet a velocità elevate di ogni cittadino e impresa italiana, ovunque sia la loro ubicazione geografica e quindi al loro benessere15.
Peraltro la sussistenza di un mercato imperfetto non implica necessariamente l’intervento regolatorio, dal momento che quest’ultimo potrebbe dar luogo a conseguenze negative ancora peggiori di quelle prodotte dalla concorrenza imperfetta. Esistono del resto anche strumenti come la co-regolazione o l’autoregolazione.
Il principio base cui ispirare la scelta di intervenire nei mercati regolati, dovrebbe essere quello dell’astensione dalla regolazione, salvo il caso in cui l’impatto eventualmente negativo della policy regolatoria sull’esplicazione delle forze di mercato e/o sulle politiche industriali dei soggetti regolati non sia sovracompensato dai benefici da essa apportati, tra cui una maggiore competitività tra essi. Inoltre i benefici e gli effetti negativi sugli stakeholder dovrebbero essere ponderati tenendo conto dei relativi rischi della loro occorrenza, intendendosi per rischio una funzione a due variabili, ossia la probabilità del verificarsi dell’evento infausto e l’impatto sugli interessi fondamentali degli stakeholder.
Per valutare la correttezza e, in seconda battuta, i benefici netti di una sua decisione, AGCOM, almeno nei casi di una certa importanza in cui gli interessi in gioco si collocano in posizione conflittuale, dovrebbe avvalersi, by design, dello strumento dell’Impact Assessment16, che valuta costi e benefici scaturenti dalla sua decisione considerata l’intera catena del valore.
Un esempio autorevole di adozione dell’Impact Assessment nella regolazione dei servizi di comunicazione elettronica viene dal Regno Unito in cui Ofcom17, l’Autorità di settore, ne ha definito la struttura, l’approccio e le condizioni giustificative di ricorso a tale strumento sulla base delle Linee Guida da essa emanate il 21 luglio 2006 “Better Policy Making”. Da allora Ofcom lo utilizza nella maggioranza delle sue decisioni di policy, secondo il principio della proporzionalità.
Secondo Ofcom l’Impact Assessment dovrebbe figurare nella delibera del Regolatore e essere condotto già in fase di progettazione dell’intervento di regolazione (V. Fig. 1) e non ridursi ad una mera procedura burocratica, bensì rappresentare l’elemento core del processo di definizione della policy regolatoria.
Nel corso del suddetto percorso vanno esaminate le tre opzioni possibili di policy: astensione dall’intervento regolatorio; intervento e calcolo del suo impatto sui vari gruppi di stakeholder in termini di costi e benefici valutati ex ante, ricadenti su ciascuno di loro; rimozione di una regolazione preesistente.
Ofcom struttura il processo di Impact Assessment in 6 fasi: 1. definizione dei termini della policy regolatoria e identificazione degli interessi dei consumatori; 2. definizione dell’obiettivo di policy; 3. identificazione delle opzioni di policy; 4. identificazione degli impatti sui differenti tipi di stakeholder18; 5. identificazione di ogni impatto sulla competizione; 6. valutazione degli impatti e quantificazione dei rischi collegati e scelta dell’opzione migliore.
Ma occorrerebbe anche una procedura di follow up della policy regolatoria adottata con una valutazione ex post dei suoi effetti, da cui scaturisca logicamente il suo mantenimento ovvero una sua correzione o cancellazione cui far seguire, se del caso, una nuova fase di pianificazione della policy nella medesima materia, che inneschi iterativamente valutazione ex ante, implementazione, monitoraggio e quindi ritorno al follow up. In effetti ogni processo di regolamentazione risulta di natura ciclica per il quale ben si presta la modellizzazione secondo il ciclo di DEMING PDCA (“PLAN DO CHECK ACT), come nel caso dei processi industriali nell’ottica del Total Quality Management, TQM.
E’ tener presente che l’Impact Assessment in UK è previsto in capo ad Ofcom da un obbligo di legge e precisamente dal Communication Act 200319.
Tornando all’ Italia, manca un approccio di regolazione strutturato, come ad esempio l’Impact Assessment, che, né la legge istitutiva delle Autorità per la regolazione dei servizi pubblici, né la l. 249/97 che istituisce l’AGCOM prevedono. sebbene il Codice delle Comunicazioni elettroniche all’art. 13 comma 8 disponga che l’Autorità si doti, conformemente alle indicazioni recate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2000, attuativa della legge 8 marzo 1999, n. 50, di forme o metodi di analisi dell’impatto della regolamentazione. Il successivo comma dispone che ogni atto di regolamentazione dell’Autorità rechi l’analisi di cui sopra, così da essere sufficientemente motivato.
Per quanto attiene agli orientamenti finalistici delle politiche di regolazione, il summenzionato Codice prevede all’art. 13 (4) la tutela dei consumatori tale da far loro trarre “il massimo beneficio in termini di scelta, servizi e qualità” ma la inserisce nell’ambito più generale del principio cardine della promozione della concorrenza nella fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica.
L’Autorità nell’adempiere a quanto disposto dal Codice, sembra muoversi, con le sue delibere, ora verso la tutela di un gruppo di stakeholder, ora verso quella di un altro, talora influenzata da interessi meramente ideologici, non focalizzati sulla protezione concreta di consumatori o cittadini.
Nelle delibere di AGCOM prevale un taglio marcatamente giuridico e si avverte un eccesso di autoreferenzialità, attraverso il richiamo alla normativa preesistente e alle azioni da essa precedentemente messe in campo.
Basti considerare la Delibera n. 225/19/CONS, che istituisce una consultazione pubblica riguardo ai temi del blocco delle chiamate e alla trasparenza nella fatturazione. L’Autorità propone un nuovo testo la cui la ricostruzione, peraltro impervia, è possibile solo attraverso i rimandi frequenti tra la 225 e le annose Delibere n. 418/07/CONS e n. 381/08/CONS, che configurano per giunta una quasi circolarità. Sarebbe stato auspicabile da chi scrive che l’Autorità impiegasse lo strumento giuridico della rifusione.
Inoltre manca quasi sempre nella problematica trattata, il richiamo a teorie economiche imprescindibili nel campo della regolamentazione, che integri le pur pregevoli, ma tendenzialmente scolastiche, quasi asettiche, analisi tecniche.
Su molte questioni, specialmente quelle attinenti alla tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori, le delibere dell’AGCOM non risultano sufficientemente incisive e, conseguentemente, troppe volte AGCOM deve tornare ad affrontare la medesima tematica.
Debole e comunque fortemente ritardataria continua ad essere ad es. l’azione di AGCOM nel contrastare le cattive, perverse pratiche commerciali, che i gestori non sembrano voler minimamente dismettere, tra le quali è da menzionare la discriminazione tra vecchi e nuovi cliente penalizzante per i primi, la scarsa trasparenza dell’offerta dei servizi, talora degenerante in pubblicità ingannevole, l’attivazione di servizi a valore aggiunto, specialmente nella telefonia mobile, senza il consenso del cliente20.
La soluzione non dovrebbe essere ricercata da AGCOM nella legislazione, peraltro non sempre disponibile, ossia in leggi dello Stato o in delibere della medesima, che pur non mancando di un contenuto tecnico risentono negativamente di un taglio giuridico tale da pregiudicarne l’efficacia, ma soprattutto in principi di correttezza commerciale e criteri consolidati di economia della regolamentazione che in ogni altro settore l’Autorità ad esso preposta tende a far rispettare.
Con ciò non si vuol negare l’importanza del Codice delle Comunicazioni elettroniche, emanato con il D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 259 s.m.i., che reca una normativa nazionale per il settore dei servizi e del mercato delle telecomunicazioni e delle radiocomunicazioni.
Anche il Codice del Consumo, Decreto legislativo del 06/09/2005 n. 206, raramente citato, peraltro, nelle delibere di AGCOM potrebbe essere uno strumento di grande utilità in molte questioni.
Il problema che qui si vuole sottolineare è che la fonte legislativa, essendo basata su principi di carattere generale, peraltro legittimi, è poco adeguata al dettaglio tecnico della materia e incapace di tener nel debito conto la rapida evoluzione tecnologica del settore oggetto di regolazione.
Inoltre AGCOM dovrebbe sempre tener presente che sussiste un forte rapporto di asimmetria nella relazione tra cliente e fornitore del servizio di comunicazione elettronica, a tutto svantaggio del primo.
Il ribilanciamento del rapporto e la funzione istituzionale di difesa degli interessi del consumatore richiederebbero che AGCOM si schierasse per default dalla parte del consumatore/utente finale ogni volta che gli interessi del consumatore e del provider confliggano.
Un’esemplificazione dei criteri seguiti da AGCOM è la sua delibera n. 487/18/CONS di ottobre 2018 “Linee guida sulle modalita’ di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione”, che concludeva il lungo iter di una consultazione pubblica.
Essa affronta l’annosa problematica dei costi di uscita (spese di dismissione e di trasferimento dell’utenza di servizi di comunicazione elettronica) nel caso di recesso anticipato, senza tutelare sufficientemente il diritto del consumatore a fruire delle migliori condizioni presenti sul mercato a parità di servizio offerto, per mancato intervento regolamentare sulle forme di penalizzazioni economiche, fatte scaturire da pseudo clausole contrattuali, imposte al cliente dall’attuale gestore per restringere la sua capacità di scelta.
Oltre a non applicare principi elementari di regolazione, che mirano all’eliminazione, al fine di tutelare l’interesse generale dei gestori operanti sul mercato o potenziali e dei consumatori attuali o futuri, di ogni barriera all’offerta e alla domanda dei servizi, la Delibera citata disattende anche l’art. 80 del Codice delle Comunicazioni elettroniche che stabilisce (4-quater) che l’Autorità provveda affinché i contratti conclusi tra consumatori e imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica non impongano un primo periodo di impegno iniziale superiore a 24 mesi e che sia offerta dai gestori agli utenti la possibilità di sottoscrivere un contratto della durata massima di dodici mesi e che (4-quinquies) le condizioni e le contratte modalità di esercizio del diritto di recesso non agiscano da disincentivo al cambiamento di fornitore di servizi.
Che il consumatore debba pagare, anche oltre il periodo minimo contrattuale, i costi che l’operatore, a suo dire, sosterrebbe per dismettere o trasferire l’utenza, è un’eresia economica (mi si passi questa locuzione).
L’AGCOM, al contrario, ammette la legittimità21 dei costi di disattivazione di cui sopra, limitandosi a stabilire che entro i successivi mesi a partire dall’entrata in vigore della delibera, i gestori debbano fornire la prova, si spera con sufficiente analiticità e chiarezza, della congruità dei costi di disattivazione sostenuti di cui sopra, da anni imposti all’utente senza giustificazione alcuna e senza che l’Autorità finora l’abbia chiesta ai gestori.
Del resto in tutto questo tempo bastava richiamarsi al Codice delle Comunicazioni elettroniche per dichiararne l’illegittimità. Infatti esso all’art 70, comma 1, let. f), punto 3 ammette implicitamente i suddetti costi rubricandoli, peraltro, come commissioni dovute al gestore,-non originate quindi da contabilità dei costi sostenuti per l’erogazione del servizio-, e giustificandoli solo nel caso di recesso anticipato dal contratto da parte dell’utente.
L’illegittimità dell’imposizione di costi di disattivazione oltre il periodo minimo di impegno contrattuale è sancita in modo anche più chiaro dall’art. 105 comma 3 del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (European Electronic Communications Code, EECC)22 , che aggiorna e sostituisce le 4 direttive del 2002 (Direttiva quadro, Direttiva Autorizzazione, Direttiva Accesso, Direttiva Servizio Universale) e s.m.i in sede di revisione del quadro regolamentare del 2009.
Il suddetto Codice è entrato in vigore il 20 dicembre 2018 e gli Stati membri hanno tempo fino al 21 dicembre 2020 per trasporlo nei loro ordinamenti nazionali.
Una norma del comma 3 dispone, che, nel caso di contratto a durata determinata per servizi di comunicazione elettronica che preveda la proroga automatica, l’utente finale, dopo tale proroga, ha il diritto di risolvere il contratto in qualsiasi momento con un preavviso di massimo un mese, determinato dagli Stati membri e senza incorrere in alcun costo eccetto quelli addebitati per la ricezione del servizio durante il periodo di preavviso.
La successiva innovativa norma del medesimo comma della Direttiva EECC -che è da auspicare, a seguito di recepimento, possa presto trovare accoglimento nelle delibere dell’AGCOM-, al fine di garantire all’utente, divenuto pienamente svincolato contrattualmente, l’assistenza e la consulenza volta a consentirgli la scelta del servizio al prezzo più conveniente presso il gestore attuale o un altro sul mercato, stabilisce che, prima della proroga automatica del contratto, i fornitori informino l’utente finale, in modo chiaro e tempestivo e su un supporto durevole, circa la fine dell’impegno contrattuale e in merito alle modalità di risoluzione del contratto. Inoltre, è ivi previsto che i fornitori offrano contestualmente consulenza agli utenti finali in merito alle migliori tariffe relative ai loro servizi e forniscano tale informazioni almeno una volta all’anno.
Si tratta di un’enfatizzazione di un tipo di regolazione noto come “disclosure regulation” qui previsto a carattere impositivo (“mandatory disclosure”) dalla Commissione dell’UE in sostituzione della tradizionale regolamentazione fortemente interventista, alla quale sembra riferirsi una parte della delibera n. 225/19/CONS che apre ad una consultazione pubblica, insistendo più sulla trasparenza informativa cui il gestore si attenga che non sulla messa a disposizione di un’informativa intelligente, che non lasci adito a dubbi, tempestiva, in grado di aiutare il consumatore, che spesso è indotto a fare valutazioni non corrente, a non raccogliere tutte le informazioni rilevanti, a prendere decisioni errate, a fare la scelta migliore sul mercato non solo in termini di prezzo ma anche di rispondenza alle sue reali esigenze.
Alle disposizioni del comma 3 si è, invece, già pienamente allineata Ofcom, che continua a tener conto della normativa comunitaria anche nel periodo attuale di implementazione della Brexit, con il suo Statement “ Helping consumers get better deals. Statementon end-of-contract notifications and annual best tariff information” pubblicato il 15 maggio 2019, in cui si stabilisce che una volta che sia spirato il periodo contrattuale minimo (12, 18 o 24 mesi), il cliente è libero di stipulare un accordo contrattuale migliore con il gestore attuale o sottoscriverlo con un altro gestore, senza dover sostenere alcun pagamento23.
Ofcom vi dispone che, a partire dal 15 febbraio 2020, i gestori di servizi a banda larga, telefonia fissa, mobile e pay TV devono informare con SMS, E-mail o lettera i loro clienti residenziali ed affari, entro un intervallo dai 10 ai 40 giorni prima, dell’approssimarsi della scadenza del periodo contrattuale minimo.
L’informativa deve includere la data di scadenza contrattuale, i servizi offerti e le relative tariffe fino a tale data e le eventuali variazioni dei medesimi con associate tariffe applicate oltre il periodo contrattuale minimo, nonchè il tempo di preavviso cui l’utente è tenuto ad attenersi se intende recedere dal contratto. Contestualmente il gestore deve fornire ai propri clienti le informazioni sulle migliori tariffe applicate ai vari tipi d’utenza, tra cui i nuovi clienti, in modo che il cliente attuale, che troverebbe di solito non poche difficoltà a conoscerle navigando sul sito del gestore, possa rendersi conto della convenienza del piano tariffario a suo tempo sottoscritto e dell’opportunità, nel caso ciò non fosse, di passare ad altri piani tariffari per servizi standalone o bundled del medesimo gestore o in alternativa della migrazione ad un diverso gestore.
Una volta che sia terminato il periodo contrattuale minimo, il cliente è libero di sottoscrivere un piano tariffario a condizioni economiche migliori con l’attuale gestore o di passare ad altro gestore, senza dover pagare, in nessuno dei due casi, alcun costo di attivazione di nuova offerta o di disattivazione del servizio.
I clienti che non recedono dal contratto successivamente allo spirare del periodo contrattuale minimo hanno il diritto di ricevere informazioni almeno annualmente delle migliori tariffe applicate dal proprio gestore.
Ofcom giustifica l’imposizione in capo al gestore degli adempimenti in tema di notificazione con il fatto che il mercato, indipendentemente dall’essere concorrenziale in tutto o in parte, non lavora necessariamente in senso favorevole al consumatore.
Peraltro è proprio la natura concorrenziale del mercato ad essere la condizione imprescindibile perché il consumatore possa trarre vantaggio delle migliori condizioni d’offerta disponibili per l’acquisto di servizi di comunicazione elettronica. Ma perché ciò avvenga occorre che sia eliminata ogni barriera all’accesso a queste condizioni di sottoscrizione più vantaggiose ed è quindi indispensabile che l’utente possa esprimere una scelta informata, grazie ad un servizio non solo comunicazionale, ma anche a carattere consulenziale resogli disponibile dall’attuale gestore.
Non si muove certamente in tal senso la summenzionata Delibera del nostro Regolatore, non solo per quanto riguarda l’avallo dei costi di disattivazione ma anche con l’approvazione della restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti pretesa dal gestore.
Si tratta per questi ultimi di schemi tariffari lanciati sul mercato dai gestori, al fine di incentivare l’adesione sul mercato ai servizi offerti, altrimenti da loro valutata insoddisfacente, che offrono condizioni economiche agevolate per una prima parte del periodo contrattuale, rispetto a quelle applicate successivamente.
In caso di recesso unilaterale richiesto dal cliente scattano meccanismi di recupero crescente, con andamento lineare, a carico del cliente delle agevolazioni accordate fino ad allora. L’importo da restituire, commisurato agli sconti tariffari fruiti, sarebbe massimo così per il recesso avvenuto allo spirare del periodo promozionale e si manterrebbe tale per il successivo sottoperiodo fino alla scadenza del primo periodo contrattuale, come pretendeva il gestore, mentre avrebbe un andamento lineare decrescente fino ad azzerarsi a tale data, secondo la correzione imposta dall’AGCOM. Senza contare che il consumatore è tenuto a pagare i costi di disattivazione se recede dal contratto nel periodo di validità delle tariffe promozionali o successivamente prima della scadenza della durata minima contrattuale.
Lo scrivente è del parere che non sia una pratica commerciale corretta l’imposizione avallata da AGCOM, in aggiunta ai costi di disattivazione, del rimborso delle riduzioni tariffarie accordate dal gestore in base a politiche di MKT nei riguardi di tutta l’utenza potenziale e non del singolo utente ai fini dell’incremento della domanda, grazie alla sua elasticità alla diminuzione dei prezzi, e quindi del volume dei ricavi.
In nessun settore del consumo vengono imposti vincoli contrattuali in capo al consumatore che aderisce ad offerte che prevedono l’applicazione di sconti sul prezzo di listino. Valga quale esempio per tutti la fornitura di energia elettrica e di gas, sottratta al vincolo della restituzione degli sconti fruiti eventualmente in bolletta e tariffata in ogni periodo di fatturazione secondo le condizioni economiche sottoscritte dal cliente in sede contrattuale.
Perchè l’AGCOM non interviene proibendo questi contratti poco corretti che il gestore propone al consumatore?
5. Conclusioni
E’ discutibile il pieno assolvimento o meno di AGCOM, pur riconoscendo le grandi difficoltà di esercizio delle sue funzioni regolatorie, della funzione di garanzia di interessi legittimi del consumatore e più in generale dell’utente, sia esso un utilizzatore nel mercato retail o in quello “wholesale” attribuitale dalla legge n. 481/1995. Le considerazioni svolte nei punti precedenti hanno come riferimento l’utente finale, che, particolarmente nel caso di utente residenziale, appartiene ad una categoria d’utenza che richiede, come ben si comprende, una ben maggiore protezione.
La suddetta tutela, accanto alle azioni di vigilanza e di intervento (anche sanzionatorio) sull’assetto competitivo del mercato e sul suo mantenimento, che ne costituiscono condizioni imprescindibili e che, comunque, soggiacciono a un altro ordine di garanzia rivolto al mercato nella sua interezza, rappresenta il pilastro di ogni policy regolatoria.
A modesto avviso dello scrivente, una ragione del mancato o parziale assolvimento di un compito così sfidante risiede nel fatto che l’AGCOM argomenta in punto di diritto, basandosi nell’elaborazione dei suoi atti deliberativi quasi esclusivamente sulla legislazione primaria e su precedenti sue delibere, senza l’applicazione di strumenti di teoria economica aventi per target il benessere del consumatore24.
La conduzione dell’analisi dei mercati rilevanti, che pure si avvale di strumenti teorici di valutazione degli assetti di mercato, e l’adozione dei “remedies” nel caso di accertamento di posizione dominante, seppure meritevole, non sembra apportare automaticamente tangibili benefici all’utente finale.
Senza contare il rischio di sovrapposizioni alle funzioni di AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), che è istituzionalmente preposta alla valutazione di assetti concorrenziali o non.
Anche se queste misure non risultassero dettate dall’analisi di un mercato, non per questo AGCOM dovrebbe ritenersi esentata dal perseguire compiti di regolazione rivolti alla tutela dell’utente finale.
Il concetto base che qui si sostiene è che la regolazione non debba limitarsi a favorire gli assetti competitivi ed efficienti dei mercati rilevanti, ma estendersi alla tutela del cittadino-utente.
Ad esempio, indipendentemente dall’assetto di mercato, potrebbero sussistere comportamenti di un gestore in violazione del “fair trading” nei riguardi dell’utenza, come nel caso esemplificato più sopra della messa in atto di politiche di MKT punitive, che evidentemente AGCOM non può esimersi dal condannare, al contrario di quelle che incentivano il consumo, in un certo senso premianti verso il consumatore, che andrebbero favorite e sostenute.
Sarebbe certamente auspicabile lo svolgimento da parte di AGCOM di analisi di IMPACT ASSESSMENT per le questioni che coinvolgono notevolmente gli stakeholder, sull’esempio di OFCOM.
Il non far ricorso a innovative teorie economiche25, nemmeno nel caso di interventi regolatori più sensibili per gli interessi in gioco, che ispirino policies regolatorie che tutelino l’utente in modo ottimale ad esempio consentendogli di operare la migliore scelta, libera e informata, dei servizi e dei relativi prezzi presenti sul mercato e l’acquisizione di un maggior potere contrattuale in virtù anche di importanti dati informativi resi disponibili alla sua conoscenza26, potrebbe deprivare di efficacia e di incisività le delibere, facendo sì che l’Autorità sostanzialmente rischi di venir meno ad uno dei precipui suoi compiti istituzionali.
Per contro l’azione regolatoria di Ofcom, che rimane peraltro un modello di non facile imitazione, nella misura atta a mantenere proprie anche oggettivamente apprezzabili peculiarità, sia essa intenzionale o non, da parte delle altre Authorities di settore dell’Unione, ma che offre spunti utili e interessanti, è rivolta proprio al conseguimento verso le finalità suddette27.
In particolare l’approccio seguito da Ofcom nei riguardi dell’implementazione del “Broadband USO”, disposta dal Governo britannico con fissazione della velocità downstream a 10 Mb/s, di bilanciamento tra tutela del diritto di ogni consumatore ad ottenere una connettività adatta a prezzi sostenibili –salvo il caso di costo della connessione particolarmente oneroso in capo al gestore-, ma non fortemente divergenti da quelli di mercato o a tariffe agevolate nel caso sia vulnerabile o a basso reddito per accedere ai servizi online più comuni ed eliminazione, anche in questo modo, di effetti distorsivi della concorrenza, rappresenta a giudizio dello scrivente una “best practice”
In Italia manca invece una disposizione di legge che istituisca il servizio universale a banda larga definendone i vari aspetti, forse, si potrebbe ipotizzare, perchè è ancora lontana la scadenza del recepimento del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche, e la delibera AGCOM n. 253/17/CONS sul Servizio Universale che ne fissa la velocità a 2 Mb/s, -lontanissima dai target fissati dall’Agenda digitale europea per il 202028, di cui a breve la verifica del conseguimento-, senza peraltro l’indicazione di una strategia per la sua implementazione, appare inefficace e destinata a una rapida inattualità.
Da quanto sopra discende che la trasparenza tariffaria pervicacemente da anni perseguita da AGCOM è da considerare come solo uno degli aspetti, seppure rilevanti, della politica informativa di assistenza e consulenza nei riguardi dell’utente finale avente diritto, tra gli altri, a fruire dei servizi essenziali di comunicazione elettronica, in cui si sostanzia la relazione del gestore con quello, e l’Autorità dovrebbe mirare ad imporre o comunque a favorire e anche disciplinare con propri interventi e misure detta politica.
Note
[1] V. Intervento prof. Zeno Zencovich al Convegno ISIMM sulle Autorità Amministrative Indipendenti del 23 ottobre 2018
2 G. Napolitano, Autorità indipendenti e tutela degli utenti, in Giornale di Dir. Amm.vo, n. 1/1996, pag. 14 ss.
3 V. definizione di “servizi si comunicazione elettronica” in art. 2 del “Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche” ( DIRETTIVA (UE) 2018/1972 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’11 dicembre 2018)
4 Non è più messa in risalto una sezione del sito istituzionale AGCOM che ne tratti
5 L’intervento più importante è stata l’apertura alla concorrenza della fornitura dei servizi di telefonia vocale a partire dal 1° gennaio 1998.
6 Lo si deve all’economista britannico Stephen Littlechild, per il quale esso era uno strumento necessario da utilizzare finchè non si affermasse la concorrenza. A questo scopo usava la metafora “hold the fort” (tenere il forte). In maniera più formale affermava: “Profit regulation is merely a <<stop-gap>> [ripiego/soluzione transitoria] until sufficient competition develops”.
Il regime del “price cap” fu applicato per la prima volta in U.K. a British Telecom nel 1984 e fu poi esteso alle altre Utilities man mano che esse venivano privatizzate.
7L’istituto del “price cap”, in Itaia, sussiste ancora nella regolazione dei servizi in concessione. Ad es.( V. VI Rapporto annuale ART del 25 giugno 2019) le tariffe dei pedaggi delle concessioni autostradali sono basate sulla formula RPI – X, con RPI tasso di inflazione e X guadagno di produttività a cadenza quinquennale.
8 L’USO può essere definito come l’imposizione, ad uno o più operatori di rete, di assicurare l’accesso alla rete e l’erogazione tramite questo di un pacchetto minimo di servizi con prefissati gradi di qualità a tutti gli utenti che ne facciano richiesta, ad una tariffa abbordabile (ossia accessibile al consumatore in relazione al suo reddito o reso tale tenuto conto di sue esigenze sociali particolari), indipendentemente dalla loro ubicazione geografica.La sostenibilità in termini di costo per un qualsivoglia utente, anche se non vulnerabile o anziano a basso reddito, è un requisito caratterizzante la prestazione di servizio universale, che naturalmente deve essere di qualità accettabile e conforme al progresso tecnologico. All’operatore sul quale ricade l’obbligo va rimborsato il costo netto di fornitura del servizio universale.
La razionalità del Servizio Universale risiede nel suo porsi come “safety net” laddove le sole forze del mercato non siano sufficienti a garantire su base universalistica un set minimo di servizi di comunicazioni elettroniche con i caratteri di cui sopra e nel prevenire in tal modo svantaggi sociali ed economici derivanti dalla marginalizzazione di fasce d’utenti.
9 Il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Direttiva comunitaria 2018/1972) inoltre ridefinendo il perimetro degli obblighi elimina servizi ormai obsoleti, come i telefoni pubblici a pagamento, gli elenchi abbonati e il servizio di consultazione degli elenchi.
10 Così definito ed imposto dalla Direttiva comunitaria n. 2002/22/CE su Servizio Universale e diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazioni elettroniche come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE.
11 Il nuovo quadro regolatorio comunitario delle TLC del 2009, che modifica le 5 Direttive comunitarie del 2002 (2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE, Direttiva 2002/58/CE), dà facoltà agli Stati membri, nell’ambito del Servizio Universale, di imporre all’operatore che ne è incaricato, l’accesso efficace a larga banda ad Internet. A conferma dell’inclusione della banda larga nella portata del Servizio Universale, nella comunicazione COM/2011/0795 la Commissione consente agli Stati membri l’imposizione di una specifica velocità di connessione, purchè essa sia usata:
i) da almeno la metà delle famiglia;
ii) da almeno l’80% delle famiglie che dispongono di una connessione alla banda larga.
Peraltro i suelencati criteri sono stati modificati e resi meno stringenti dalla DIRETTIVA (UE) 2018/1972 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’11 dicembre 2018 che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 21 dicembre 2020). Il testo della direttiva costituisce una rifusione delle Direttive2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE, che hanno subito profonde modifiche nel tempo, abrogandole. L’art. 84(3) del codice stabilisce ogni Stato membro definisce la larghezza di banda per un adeguato accesso ad Internet tale da supportare un insieme minimo di servizi elencati nell’Allegato V (E-mail; uso di motori di ricerca; istruzione, formazione e ricerca di lavoro, stampa e news online; utilizzo reti professionali, home banking; accesso a servizi dell’amministrazione digitale; utilizzo di social networks e di instant messaging; chiamate e videochiamate di qualità standard), tenuto conto della larghezza minima di banda di cui dispone la maggioranza dei consumatori e di una relazione sulle migliori prassi seguite dai vari Stati, che il BEREC (Body of European Regulators for Electronic Communications) appronterà entro il 20 giugno 2020.
12 Peraltro oggi (gennaio 2020) inesistente nell’offerta commerciale proiettata verso l’ultrabroadband o addirittura con la disattivazione dell’ADSL verso la fibra e piuttosto rara nelle connessioni utilizzate dal pubblico.
13 Nell’esercizio di un potere essenzialmente consultivo e di segnalazione nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
14 Peraltro, nel documento allegato alla Delibera sottoposto a consultazione pubblica, era stato evidenziato che per velocità ben superiori a 2 Mb/s sono soddisfatte le due condizioni sub i) (14 M.di su 24 M.ni di famiglie) e ii) di cui alla nota 8. Di conseguenza, l’Autorità aveva ivi proposto, svolte alcune elaborazioni, l’introduzione dell’accesso a banda larga ad una velocità di connessione almeno pari a 7 Mbps, ma in sede di decisione finale, accogliendo le obiezioni di alcuni operatori, che avevano sostenuto che il S.U. sarebbe una sovrapposizione agli sforzi di cablatura sia nelle aree redditizie, sia, grazie all’intervento finanziario dello Stato, anche in quelle a fallimento di mercato, aveva ripiegato su 2 Mb/s.
15 Il problema è però che Open Fiber è un operatore “only wholesale” e che quindi la domanda retail sarà soddisfatta dagli operatori privati, secondo le regole di mercato, e non certo da Openfiber e quindi di nuovo occorre una regolazione ex-ante od ex-post dell’offerta al pubblico solo se non venga accertata –cosa non certamente facile- la presenza di operatori SMP, ossia in posizione dominante. Inoltre l’offerta sul mercato di connessioni veloci ed ultraveloci rischia di fagocitare la diffusione della connessione base broadband del servizio universale, a meno che quest’ultimo non sia imposto per legge con i caratteri atti a definirlo in maniera univoca, come, da anni, hanno fatto molti paesi dell’UE, ma non ancora l’Italia.
16 La necessità per AGCOM di dotarsi di uno strumento quale l’Impact Assessment per la conduzione di analisi ex ante ed ex post della regolamentazione adottata, è stata ribadita dal Presidente della Camera on. Fico nel corso del convegno sul tema delle Autorità indipendenti organizzato da ISIMM nell’ottobre del 2018.
17 Ofcom è l’Autorità di regolazione indipendente per i provider di servizi di comunicazione elettronica nel Regno Unito e quindi non solo nel settore delle TLC (regolato precedentemente da Oftel) in base al Communication Act del 2003.Regola i settori TV, radio e video on demand, le TLC fisse e mobili, i servizi postali e lo spettro radio su cui operano i dispositivi wireless.
Inoltre la sua missione è di evitare che gli utenti finali subiscano truffe dai gestori o che siano assoggettati a cattive pratiche commerciali. Ciò con riferimento soprattutto alle persone vulnerabili o più deboli.
I compiti di cui sopra le vengono assegnati dal Parlamento e la sua priorità dichiarata è la cura degli utenti, talora messa in atto promuovendo la competizione tra le compagnie regolate.
18 Gli stakeholder sono: cittadini e consumatori; piccoli affari; grandi utilizzatori; emittenti TV; operatori TLC; società manifatturiere di apparati.
19 In particolare la Section 7 dello “Act” stabilisce che Ofcom deve condurre e pubblicare l’Impact Assessment nei seguenti casi:
- quando Ofcom propone di fare qualcosa connessa allo svolgimento delle proprie funzioni.
- Ofcom avverte l’importanza della sua proposta, per una delle seguenti ragioni:
- comporta un significativo cambiamento delle attività di Ofcom
- ha un impatto grave su persone che svolgono business, operanti nei mercati regolati di Ofcom.
- ha un impatto di particolare gravità sul pubblico in generale di UK.
20 E’ apprezzabile, peraltro, l’istituzione da parte di AGCOM del N.V. 800442299 dedicato ai servizi premium non richiesti attivo h24 tutti i giorni della settimana.
21 Nella proposta di delibera l’Autorità aveva ritenuta ingiustificata l’applicazione di tali costi all’utente finale, ma prese in esame le osservazioni dei soggetti che avevano partecipato alla consultazione, aveva poi cambiato idea.
22 Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018.
23 “early termination charges will be payable up to the date the fixed commitment period ends”
24 V. Pigout “welfare economics”, ossia economia del benessere applicata ai servizi pubblici.
25 Ad es. “behavioural insights” (lett. intuizioni comportamentali). Si tratta di un toolkit di base della regolazione economica fondata sull’analisi dei comportamenti dell’utente- consumatore o del soggetto regolato .“Nudge regulation” , ossia l’insieme degli strumenti di regolazione, prevalentemente basate sulle intuizioni comportamentali tratte dall’analisi del processo decisionale del cittadino/utente/soggetto regolato, che i poteri pubblici o le Autorithies mettono in pratica per la promozione con “spinta gentile” (“nudge”) di scelte che essi ritengono virtuose nell’interesse dello stesso decisore.
26 comunicati dal gestore nel documento di fatturazione periodico, secondo quanto disposto da AGCOM, o in ulteriori documenti inviati all’utente nei momenti topici di gestione contrattuale (es. approssimarsi della scadenza del periodo minimo fisso di contratto), e disponibili su un portale dedicato agli utenti, curato da AGCOM.
27 Nello Statement “Helping consumers get better deals” del 15 maggio 2019, Ofcom afferma: <<We want customers be able to take advantage of the wide choice of services available and shop around with confidence, so that they can get the best deals for their needs>>.
28 i) copertura >30 Mb/s per il 100% dei cittadini UE;
ii) tasso di penetrazione dei servizi a velocità >100 Mb/s, almeno per il 50% delle famiglie europee
Articolo a cura dell’Ing. Luigi Prinzi, socio CDTI Forum