Uno strano fenomeno di vera e propria “rimozione” caratterizza il cinema italiano in questo periodo: l’effetto “C’è ancora domani” sembra produrre una ubriacatura di entusiasmo (il film supererà i 30 milioni di euro di incasso al botteghino, a ieri 30 novembre era a quota 25,4 milioni), allorquando i dati di mercato (dell’intero mercato, al di là dell’imprevisto boom di Cortellesi) non sono confortanti, soprattutto per quanto riguarda la quota dei film “made in Italy”.
In effetti, non si tratta di “schizofrenia”, ma di vera e propria rimozione, per “overdose” di entusiasmo: anche in quel di Sorrento, durante le “Giornate Professionali del Cinema” organizzate da Anec (esercenti) ed Anica (produttori e distributori, con la sovvenzione del Ministero della Cultura (e nessuno sembra domandarsi che senso abbia che simili iniziative non siano finanziate dall’industria stessa, invece che essere sovvenzionate dalla mano pubblica…), di cui abbiamo già scritto mercoledì scorso (vedi “Key4biz” del 29 novembre 2023, “A Sorrento l’edizione n° 46 delle “giornate Professionali di Cinema””), l’effetto-Cortellesi pare abbia travolto ogni senso di razionalità.
Ci sono decine e decine di titoli di film italiani in attesa di uscire in sala, i listini dei distributori sono ingolfati, il collo di bottiglia dell’esercizio è evidente… e nessuno sembra preoccuparsene più di tanto.
Una delle conseguenze perverse dell’uso (e abuso) del tanto decantato “tax credit” si possono identificare tre dinamiche: una sovrapproduzione di titoli che non trova sbocco sul mercato “theatrical” (e nemmeno sulle televisioni e le piattaforme), un incremento dei costi di produzione in tutte o quasi le fasi del processo realizzativo (un processo inflattivo), un arricchimento insensato di alcune grosse società di produzione controllate da gruppi multinazionali (stranieri)…
I segnali di questo rischio “bolla” c’erano, da anni, ma soltanto qualcuno li evidenziava, venendo additato come jettatore, restando voce fuori dal coro degli entusiasti, che continuavano a ballare sul “Titanic”, tra “red carpet” in improbabili festival ed ostriche e champagne (per lo più a spese del contribuente).
Manca ancora un sistema di monitoraggio critico del mercato ed una adeguata valutazione di impatto dell’intervento della mano pubblica: prevale nebbia
Non sono mai state messe in atto azioni di adeguato monitoraggio dell’evoluzione sia del mercato (il database della società di rilevazioni del “box office” Cinetel – controllata da Anec ed Anica – non è di pubblico dominio e vi si accade a caro prezzo; le elaborazioni Siae sono sempre a livello macro ovvero aggregato e non consentono analisi in profondità) sia dell’intervento pubblico (il Ministero finanzia una “valutazione di impatto”, affidata da anni sempre alla stessa struttura – Università Cattolica di Milano e Ptsclas spa – che non ha mai rilevato criticità, forse per non disturbare il “Manovratore”).
Da qualche mese, da quando il Ministro Gennaro Sangiuliano ha preso coscienza della deriva in atto, anche la sempre iper-ottimista Sottosegretaria Lucia Borgonzoni ha frenato l’entusiasmo…
La “Legge di Bilancio” 2024 prevede una riforma sia del “tax credit” sia delle “commissioni” ministeriali chiamate ad assegnare i cosiddetti “aiuti selettivi” (abbiamo affrontato la questione nel nostro intervento su queste colonne di martedì scorso), ma la vera verità di queste correzioni di rotta emergerà con i decreti di attuazione, e ci vorranno ancora due o tre mesi.
Da segnalare che martedì scorso 28 novembre, la storica Anac ovvero l’Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici (presieduta da Francesco Ranieri Martinotti) ha ritenuto di manifestare una pubblica presa di posizione sul “caso Cortellesi”, ovvero sulla polemica (in buona parte infondata) sul sostegno pubblico al film, che c’è stato – eccome (oltre 3 milioni di euro) – ma sotto forma di “tax credit” (a fronte di un costo di produzione di oltre 8 milioni), e non come “aiuto selettivo” (non essendo stato ammesso al contributo per film “difficili”)…
Sostiene Anac: “l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici fin dal dibattito preliminare all’approvazione della Legge del 2016 ha posto l’accento sul ruolo che i sostegni selettivi possono avere per la produzione di cinema italiano indipendente, improntato ai nuovi linguaggi e alle storie innovative, pertanto ritiene opportuno intervenire sulla discussione apertasi in riferimento alla mancata attribuzione del contributo a ‘C’è ancora domani di Paola Cortellesi. L’Anac ha sempre sostenuto che i sostegni selettivi debbano essere considerati come uno strumento trainante dei progetti e non siano accessori come è accaduto finora”.
La tesi è radicale, perché in effetti la parte prevalente dell’intervento della mano pubblica nel settore cinematografico e audiovisivo viene gestita ormai attraverso uno strumento qual è il “tax credit”, che consiste in una sostanziale subordinazione dello Stato rispetto alle logiche di Mercato, con processi di assegnazione che sono prevalentemente meccanici, se non automatici, che non entrano nel merito della “qualità”, intesa come vocazione alla ricerca, sperimentazione, innovazione.
L’uso e abuso del “tax credit” ha contribuito a far crescere più “prenditori” che “imprenditori”, nel sistema cinematografico italiano. Il capitale di rischio è quasi inesistente, quasi tutto si basa sul sostegno pubblico
Attraverso il ruolo centrale assegnato al “tax credi” la “Legge Franceschini” del 2016 ha deciso di “rafforzare l’industria”, seguendone gli umori (anche quelli malati, ahinoi).
Una “industria”, peraltro, quella cinematografica italiana, che storicamente non ha mai brillato per una grande vocazione al rischio, inteso come investimento proprio.
La battuta sui cinematografari italiani come prevalentemente “prenditori” piuttosto che “imprenditori” sarà rozza e finanche becera, ma contiene elementi di verità. “Verità” che non è possibile conoscere a fondo, perché le elaborazioni della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero (Dgca Mic) ancora oggi non consentono di comprendere, sul totale dei costi di produzione delle opere, quanta sia la parte effettivamente coperta dal capitale proprio ovvero l’apporto di capitale di rischio delle imprese (abbiamo denunciato questa carenza, da molti anni, ma la Dg continua a pubblicare un report, pomposamente intitolato “Tutti i numeri del cinema italiano”, che occulta l’informazione sull’effettivo investimento di rischio delle imprese).
L’intervento dello Stato è quindi succube del mercato, e delle sue distorsioni.
Anac sostiene che va “cambiato il senso con il quale lo Stato ha deciso di assegnarli. Gli attuali decreti attuativi prevedono, da parte di chi fa la richiesta, la presentazione dei contratti con il distributore, con il broadcast, con gli attori e con l’eventuale co-produttore straniero. Vale a dire: si considera fondamentale per il progetto la valutazione già effettuata da terzi con logiche che spesso non coincidono con l’idea di aiutare nella fase embrionale i progetti estranei alle logiche prevalenti del mercato”.
Anac conferma la nostra tesi: lo Stato “aiuta” dopo aver verificato che un’opera è già accolta (teoricamente) dal Mercato. “Mercato” inteso, in questo caso, come pre-disponibilità di alcuni “player” della filiera cinematografico-audiovisiva.
Le connivenze nella costruzione di un “castello di carte”
Questi soggetti finiscono per essere conniventi nella costruzione di un “castello di carte”, che arricchisce gli operatori (le società vedono i fatturati crescere, i sindacati gongolano perché c’è “piena occupazione”…), ma che poi si scontra con l’assenza – spesso – di un effettivo sbocco di mercato (il mercato vero).
Al “castello di carte” in fase pre-produttiva e produttiva (troppi film prodotti, la gran parte dei quali finisce nel vuoto cosmico), si accompagna poi, in taluni casi, un altro “castello di carte” in fase di consuntivazione al Ministero dei costi sostenuti, ma su queste dinamiche malate (con giri di fatture artefatte e ruoli impropri delle banche che traducono in contanti i crediti di imposta pretendendo pesanti commissioni…) stanno già indagando sia la Guardia di Finanza sia le Procure della Repubblica.
L’Anac chiede una inversione di rotta, rispetto al “senso” del sostegno pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo: “noi riteniamo che debba accadere il contrario, vale a dire che il sostegno sia assegnato a progetti che gli esperti considerano validi sostenendoli con la propria valutazione positiva, segnalandoli in tal modo agli operatori della filiera. Una sorta di bollino di qualità accompagnato dal primo sostegno finanziario. Il produttore una volta ottenuto il selettivo potrà valersi di ciò per trattare da una posizione più forte con i suoi interlocutori e trovare gli ulteriori finanziamenti. Naturalmente la qualità della valutazione dipende dalla qualità degli esperti che va elevata il più possibile”.
E qui Anac tocca un altro punto dolente, le mitiche “commissioni” ministeriali, sostenendo che “sceneggiatori, registi, produttori, critici distributori e anche esercenti devono impegnarsi a migliorare la qualità delle scelte mettendosi a disposizione delle commissioni”.
La questione è delicata, anche perché, a causa di una scelta scellerata dell’ex Ministro Dario Franceschini, le commissioni sono state finora formate da esperti non remunerati: una assurdità incredibile, soprattutto in una attività sensibile quale è la valutazione dell’intervento pubblico a sostegno della cultura.
Abbiamo manifestato il nostro convinto plauso nei confronti della scelta del Ministro Gennaro Sangiuliano, che ha deciso di dotare le 2 nuove commissioni (una per i “selettivi” e l’altra per la “promozione”) di un budget rispettivamente di 500.000 e 200.000 euro, così finalmente consentendo un emolumento per compensare l’impegno lavorativo dei commissari (vedi anche, su questi temi, “Key4biz” del 25 ottobre 2023, “Cinema, il Ministro Sangiuliano riforma le “commissioni” ministeriali chiamate ad assegnare milioni di contributi pubblici”).
Come verranno formate le nuove commissioni ministeriali?
Sarà fondamentale comprendere “come” verranno formate le commissioni, da quanti esperti, come selezionati…
Abbiamo auspicato una procedura pubblica, ovvero una pubblica “call” a presentare le candidatura ed una analisi valutativa comparativa dei curricula.
Ed abbiamo già sostenuto su queste colonne che almeno una parte di questi esperti possano (debbano) essere scelti dal Ministro sulla base di “rose di candidati” espressi dalle associazioni professionali del settore (autori, produttori, tecnici, critici, ecc.), come avveniva in lontani tempi: qualcuno teme il rischio di (sempre latente) “consociativismo”, ma crediamo che una scelta di questo tipo possa comunque stimolare maggiore pluralismo espressivo, dialettica artistica, e quindi democrazia culturale.
Ovviamente le “commissioni” dovrebbero fare riferimento ad una griglia di indicatori che ponga un qualche limite al margine di discrezionalità dei commissari, rinnovando il cosiddetto “reference system”: per esempio, uno sceneggiatore esordiente andrà valutato diversamente da uno sceneggiatore che ha scritto film che magari hanno vinto una discreta quantità di premi nei festival (dando per scontata una selezione dei festival stessi, dato che ne esistono di “serie A” e B e finanche di “serie C”)…
Anac interviene poi su una questione non meno delicata, che abbiamo denunciato tante volte anche su “Key4biz”, l’esigenza di assegnare priorità alle imprese medio-piccolo, e soprattutto a quelle italiane.
Serve rivendicare un sano “sovranismo culturale”, ovvero la tutela di una cultura nazionale che non sia suddita del globalismo delle multinazionali dell’immaginario ovvero delle vecchie e nuove “major”, ora conglomerate multimediali centrate sull’economia digitale.
Uno dei fattori del “sovranismo culturale” – concetto che riteniamo non debba essere monopolizzato dalla cultura di destra – è rappresentato dalla “italianità” (sostanziale, non formale) delle imprese di produzione: una società di produzione controllata da una multinazionale straniera non può (e non deve) essere considerata “italiana”.
Sostiene l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici: “per un principio etico e di solidarietà, infine, l’utilizzo dei selettivi dovrebbe essere prioritariamente riservato alle piccole e medie imprese di produzione. Pensare infatti che le mini-major del cinema italiano, che possono già contare sul credito d’imposta per decine di milioni, aspirino anche alle limitate risorse del selettivo, ci sembra scorretto e inopportuno”.
Queste tesi dell’Anac meritano essere prese in seria considerazione, e forniscono senza dubbio un contributo utile alla gestazione delle nuove regole annunciate dal Ministro della Cultura. Nuove regole che sono in gestazione, ma di cui trapela assai poco dalle stanze ministeriali: perché non viene invece stimolato, nelle prossime settimane, un pubblico dibattito?!
Va segnalato che, molto curiosamente, nonostante fossero annunciati in programma, né la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni né il Direttore Generale Nicola Borrelli sono apparsi in quel di Sorrento: dinamica più unica che rara.
Che forse temessero il fuoco incrociato di domande da parte degli operatori?!
Intanto, se non si prende in considerazione il film di Cortellesi, i film italiani in sala sono a quota 11 % del “box office”
Attendiamo i risultati del week-end imminente…
Facciamo riferimento ai dati certi dell’ultimo “fine settimana cinematografico”, ovvero da giovedì 23 a domenica 26 novembre 2023 (fonte: Cinetel), numeri che abbiamo in parte già proposto su queste colonne, e che sono oggettivamente sconfortanti.
I dati in sintesi. Il totale degli spettatori cinematografici nei 4 giorni considerati (23-26.11.2023) è stato di 1.307.257. Di questo totale di 1,3 milioni di biglietti venduti, 611.690 sono andati a favore di film di nazionalità italiana, con una corrispondente quota del 46,8 %. Un dato incoraggiante, ma…
Se si esclude il titolo esplosivo di Cortellesi (che da solo ha assorbito 462.375 spettatori), la quota di film italiani (di tutti gli altri 85 film italiani in circolazione) crolla clamorosamente e si assesta a soltanto 149.315 spettatori, corrispondenti all’11,4 % del totale. Di fatto, il film di Cortellesi assorbe il 35,4 % del totale del “box office” a fronte dell’11,4 % di tutti gli altri film italiani.
Secondo i dati Cinetel di ieri (giovedì 30 novembre), tra i primi 10 titoli, si registravano 44.640 biglietti per “C’è ancora domani”, ma il 2° titolo italiano era in quarta posizione, “Cento domeniche” di Antonio Albanese (uscito una settimana fa) con 5.783 biglietti, “Diabolik – Chi sei?” di Marco e Alberto Manetti (uscito ieri) con 5.206 biglietti, l’horror “Home Education – Le regole del male” di Andrea Niada (uscito ieri) con 4.152 biglietti; “La guerra dei nonni” di Gianluca Ansanelli (uscito ieri) con 3.256 biglietti; “Palazzina Laf” di Michele Riondino (uscito ieri) con 2.613 biglietti… Senza dubbio interessante osservare che 7 dei 10 primi titoli per quantità di spettatori è “made in Italy”, ma l’effetto-traino di Cortellesi non sembra così vigoroso (e non andiamo oltre nell’elenco dei titoli e dei rispettivi andamenti…). Cortellesi veleggia ancora, a quota 44.640 spettatori soltanto ieri, a fronte del totale di 21.010 degli altri 6 film italiani ieri nella classifica dei primi 10…
C’è da preoccuparsi. Seriamente.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.