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AI, le offerte di lavoro crescono 3,5 volte più velocemente. Posto assicurato per chi ha le competenze

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I dati di studi e indagini sull’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo e avrà sul mondo del lavoro. Al primo posto le competenze, tra i più giovani e i meno giovani. Averle o meno cambia completamente le prospettive lavorative.

AI e posti di lavoro

L’intelligenza artificiale (AI) sta trasformando non solo il modo di fare business e di fare impresa, ma anche il mondo del lavoro. Bisogna saper utilizzare le nuove tecnologie e a livello mondiale le aziende cercano ormai figure professionali con le giuste competenze.

Secondo la ricerca PwC’s 2024 Global AI Jobs Barometer già oggi i settori con la maggiore penetrazione di AI stanno sperimentando una crescita della produttività del lavoro di cinque volte superiore rispetto ad altri.

Il numero di annunci lavorativi che richiedono competenze specifiche AI è aumentato significativamente, stando allo studio: “per ogni offerta di lavoro che richiedeva competenze specialistiche in AI nel 2012 oggi ce ne sono sette”.

I risultati mostrano anche l’opportunità economica legate a queste professioni che richiedono competenze in AI: in alcuni mercati è previsto un premio salariale medio fino al 25%.

Dal 2016, ben prima che Chat GPT portasse nuova attenzione sul potenziale dell’AI, le offerte di lavoro nell’AI crescono 3,5 volte più velocemente rispetto agli altri lavori.

Fondamentali le competenze AI

Le competenze richieste dalle aziende per le professioni legate all’AI stanno cambiando con un tasso del 25% più veloce rispetto alle professioni meno esposte all’AI, con le vecchie competenze che scompaiono a favore dell’introduzione di nuove competenze.

Dato quest’ultimo confermato anche da un recente Rapporto di LinkedIn e Microsoft secondo cui il 66% dei datori di lavoro non prende in considerazione i curricula di candidati privi di competenze AI, mentre un 71% sceglierebbe addirittura personale meno esperto ma con competenze AI maggiori di cui, al contrario, magari ha esperienza sul posto di lavoro ma minori capacità tecnologiche.

In linea di massima, i settori del lavoro intellettuale stanno sperimentando la crescita più rapida nella quota di ruoli che richiedono competenze in AI. Questo include i servizi finanziari (2,8 volte più alta quota di lavori che richiedono competenze in Intelligenza Artificiale rispetto ad altri settori), i servizi professionali (3 volte superiore), e il settore tecnologia dell’informazione (5 volte superiore)

I dati evidenziati, uniti alla progressiva automazione di competenze meccaniche, analitiche e cognitive di base ad opera dell’AI, mettono sempre più in evidenza la necessità delle imprese di poter contare su risorse predisposte all’apprendimento continuo.

Durante l’anno passato, si è stimato che l’AI abbia contribuito con 15,7 trilioni di dollari all’economia globale, con un aumento del PIL atteso nelle economie locali fino al 26%. L’aumento della produttiva, inoltre, porterebbe benefici indiretti sul miglioramento della ricchezza sociale aggregata e sugli standard di vita degli individui.

AI generativa, la ricerca sulla generazione Z e i Millennial

Ovviamente, l’AI nel proprio lavoro non riguarda solo chi oggi già ha una professione, che sia da qualche anno o da alcuni decenni, ma soprattutto i più giovani, cioè coloro che rappresentano il futuro economico, sociale e culturale del nostro Paese e del mondo intero.

Stando ai dati del nuovo studio globale di Deloitte, “GenZ e Millennial Survey”, condotto su oltre 14 mila GenZ e più di 8 mila Millennial in 44 Paesi del mondo, la Generative AI è ancora poco sfruttata sul lavoro, ma potrebbe contribuire a migliorare il work-life balance o liberare tempo a favore di attività creative e strategiche, se utilizzata nel rispetto di principi etici e a fronte di un’adeguata formazione dei lavoratori.

Interrogati su quali emozioni susciti in loro la Generative AI, il 29% dei GenZ (i nati dal 1995-2010) esprime “incertezza”, il 28% “fascinazione” e il 22% “eccitazione”. Più tiepido il giudizio dei Millennial (i nati tra il 1980 e il 1994), che si dichiarano per il 33% “incerti”, per 21% “affascinati” e per il 17% “confusi”. Ancora poco sfruttata sul lavoro – dichiara di usarla spesso il 16% della GenZ e l’11% dei Millennial –, la GenAI è percepita in maniera diversa tra chi la utilizza molto e chi non ha grande dimestichezza con questa novità. Intervistati sulle potenziali applicazioni della GenAI, secondo il 47% della GenZ e secondo il 39% dei Millennial questa innovazione può aiutare a “liberare tempo e migliorare il work-life balance” – una convinzione che arriva al 73% della Gen Z e al 78% dei Millennial che la usano di frequente.

Formazione adeguata sul lavoro per meno delle metà dei giovani

La GenAI, inoltre, potrebbe aiutare a “liberare tempo che si può usare per lavori più creativii”: lo pensa il 47% della GenZ (78% tra gli utilizzatori frequenti) e il 40% dei Millennial (71% tra chi la usa spesso). Oltre ai vantaggi emergono anche alcuni timori: il 46% GenZ e il 41% Millennial pensa che la GenAI potrebbe “richiedere una riqualificazione professionale e impattare sulle decisioni di carriera”, mentre il 55% della GenZ e il 52% dei Millennial pensa che la GenAI potrebbe “causare l’eliminazione di posti di lavoro”.

Inoltre, meno della metà dei giovani – il 43% della GenZ e il 34% dei Millennial – pensa che il proprio datore di lavoro li stia adeguatamente formando sulle potenzialità, sui vantaggi e sul valore della GenAI.

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