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AI Act, i rischi peggiori delle multe per chi non fa l’alfabetizzazione

Nel precedente articolo mi sono soffermato sul testo dell’AI Act, per mettere in evidenza quali saranno gli obblighi che, a partire dal 4 febbraio di quest’anno, sarà necessario ottemperare. Ma in pratica che cosa sarà necessario fare?

Per garantire la conformità all’Articolo 4 dell’AI Act, i fornitori e gli utilizzatori di sistemi di IA devono adottare un approccio strutturato e personalizzato, volto a sviluppare un livello adeguato di competenze sull’intelligenza artificiale nel proprio personale e in coloro che interagiscono con tali sistemi. Il processo inizia con una valutazione dei bisogni e un’analisi delle lacune, attraverso cui si identifica il livello attuale di conoscenza dell’IA tra le diverse figure coinvolte (tecnici, utenti finali, decisori) e si definiscono le esigenze specifiche legate al contesto operativo (ad esempio, sanità, finanza o pubblica amministrazione).

Questa fase preliminare consente di progettare programmi formativi differenziati, calibrati sulle responsabilità e sul background dei partecipanti: il personale tecnico riceverà una formazione avanzata su sviluppo, interpretabilità dei modelli e mitigazione dei bias, mentre gli utenti non tecnici verranno guidati nell’uso etico degli strumenti, nella comprensione dei limiti dell’IA e nell’interpretazione corretta dei risultati. I decisori, invece, approfondiranno temi come la governance, la gestione del rischio e il quadro normativo. 

Le risorse didattiche devono essere flessibili e accessibili, combinando moduli e-learning, workshop pratici e documentazione chiara (utilizzando, ad esempio, “schede informative” che descrivano funzionalità, scopi e limitazioni dei sistemi che vengono usati). Parallelamente, è fondamentale integrare nella formazione aspetti etici e legali, quali il riconoscimento di discriminazioni algoritmiche, i principi di trasparenza e accountability, e il rispetto delle normative sulla privacy (come il GDPR). Per mantenere le competenze aggiornate, è essenziale promuovere un apprendimento continuo, con sessioni periodiche su evoluzioni tecnologiche, modifiche legislative (ad esempio, aggiornamenti all’AI Act) e certificazioni riconosciute a livello UE. 

Un elemento chiave è il coinvolgimento attivo delle parti interessate, inclusi gli utenti finali o i gruppi impattati dall’IA (come pazienti o clienti). Questi ultimi dovrebbero ricevere informazioni chiare, attraverso campagne di sensibilizzazione o guide semplificate, per comprendere come l’IA influisce sulle loro vite e come esercitare i propri diritti (ad esempio, richiedere spiegazioni o contestare decisioni automatizzate). I feedback raccolti da tali gruppi vanno inoltre integrati nelle policies per migliorare i sistemi e i programmi formativi. 

Per misurare l’efficacia delle iniziative, è necessario adottare strumenti di valutazione come test, simulazioni pratiche o monitoraggio con metriche anche qualitative che permetteranno di avere contezza degli errori e degli abusi più comuni e di ridurli. Le organizzazioni dovrebbero anche collaborare con enti esterni (università, consulenti, organismi di standardizzazione) per accedere a competenze specializzate e aderire a framework riconosciuti.

La documentazione nel processo di formazione svolge un ruolo cruciale: registri delle attività formative, risultati delle valutazioni e report dimostrativi devono essere conservati per dimostrare alle autorità regolatorie l’impegno proattivo nel rispetto dell’Articolo 4.

Sebbene l’AI Act non menzioni esplicitamente sanzioni pecuniarie per carenze nella formazione del personale, le aziende che sottovalutano l’alfabetizzazione sull’intelligenza artificiale si espongono a una costellazione di rischi concreti, spesso più onerosi di una semplice multa. In assenza di competenze adeguate, un algoritmo di reclutamento distorto potrebbe portare a discriminazioni di genere o etnia, aprendo la strada a cause legali per danni morali o materiali. Un sistema di diagnosi medica basato su IA, gestito da personale non formato, potrebbe generare errori interpretativi con conseguenze letali, esponendo l’azienda a responsabilità civile e risarcimenti milionari. Senza contare i casi di violazione del GDPR: un dipendente che non comprende i principi di minimizzazione dei dati potrebbe alimentare un modello con informazioni sensibili non necessarie, innescando sanzioni fino al 4% del fatturato globale.

Ma il rischio più insidioso è quello reputazionale: un incidente legato all’IA  (come un chatbot che fornisce risposte offensive o un sistema di credit scoring accusato di razzismo) può bruciare anni di branding in poche ore. Si pensi allo scandalo di Amazon nel 2018, quando un tool di selezione del personale, addestrato su dati storici distorti, penalizzò sistematicamente i curricula femminili. Oltre al danno d’immagine, l’azienda dovette sospendere il progetto, con perdite stimate in milioni di dollari.

I costi indiretti, tuttavia, possono essere ancora più pervasivi. Un’organizzazione che scopra tardi i limiti del proprio sistema di IA potrebbe dover riconfigurare infrastrutture, ridefinire processi o addirittura ritirare prodotti già sul mercato; operazioni che, in settori regolati come la finanza o i dispositivi medici, richiedono anni e budget imprevisti. Senza una forza lavoro consapevole, persino gli audit obbligatori per i sistemi ad alto rischio previsti dall’AI Act diventano un labirinto: documentazione incompleta, incapacità di spiegare le scelte progettuali o di dimostrare la conformità ai requisiti di trasparenza possono rallentare le certificazioni, bloccando l’accesso al mercato.

In un futuro dove l’IA detta regole e riscrive confini, l’alfabetizzazione non è una competenza accessoria, è condizione di sopravvivenza. Chi oggi investe nella formazione non sta solo scongiurando sanzioni o scandali, ma sta scrivendo il codice sorgente di un’azienda resiliente, capace di navigare l’incertezza algoritmica senza perdere la bussola etica.

Perché nella partita dell’intelligenza artificiale, i veri vincitori non saranno quelli con i modelli più potenti, ma quelli che sapranno trasformare ogni persona coinvolta in un custode consapevole di una promessa: che l’IA, in mani competenti, non sarà mai un’arma di distrazione di massa, ma uno strumento di progresso misurabile, giusto e, soprattutto, umano. Il tempo della compliance passiva è finito: l’era dell’IA richiede sapienza attiva.

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