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Agenda climatica Usa, Brexit, Spionaggio in Germania, Maduro, Francia

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Usa, la Casa Bianca all’attacco dell’agenda climatica di Obama

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Il presidente Usa, Donald Trump, ha compiuto ieri un altro passo, uno dei piu’ controversi, nell’agenda di deregolamentazione promossa durante la campagna elettorale dello scorso anno. Il presidente ha firmato una ordinanza esecutiva che revoca alcuni tra i decreti al centro dell’agenda climatica del suo predecessore, Barack Obama. “La mia amministrazione porra’ fine alla guerra al carbone”, ha affermato ieri il presidente, rispolverando uno slogan che pero’ – sottolinea la stampa Usa – convince poco gli esperti, secondo cui la crisi del settore minerario, e dell’industria del carbone in particolare, e’ dovuta piu’ a fattori come il boom del gas naturale da scisti, che alle politiche ostili della precedente amministrazione. L’ordinanza firmata da Trump autorizza una revisione formale del Clean Power Plan varato dall’ex presidente Obama, che obbliga le utility statunitensi a ridurre entro vent’anni le emissioni di CO2 del 32 per cento rispetto ai livelli del 2005. Col suo decreto, Trump ha anche revocato i regolamenti varati dal Council on Environmental Quality, che poggiano su stime governative dei costi sociali di carbone, metano e ossido di diazoto; revocato infine il bando alla concezione di appezzamenti federali per le attivita’ minerarie varato dall’amministrazione Obama lo scorso anno. Gli obblighi imposti alle utility, dunque, sono di fatto ancora in vigore, e la Casa Bianca stessa ha avvertito che la loro revoca effettiva richiedera’ “un po’ di tempo”. In realta’, il decreto di Trump si scontrera’ quasi certamente con una bordata di azioni legali da parte dell’opposizione democratica e delle associazioni ambientaliste, che hanno gia’ promesso battaglia. “Alla fine le corti rimetteranno le agenzie in riga”, ha tuonato il senatore democratico Sheldon Whitehouse, “ma quest’ordinanza e’ comunque un grande spreco di tempo ed energie, compiuto per blandire una industria sporca e i fanatici di destra negazionisti dei mutamenti climatici”. La revoca delle ordinanze presidenziali varate da Obama pone anche dubbi in merito agli impegni sul fronte della lotta ai mutamenti climatici assunti dagli Usa lo scorso anno a Parigi, ritenuti difficilmente conseguibili dagli esperti anche con i regolamenti attualmente in vigore. Fonti della Casa Bianca hanno sottolineato ieri che il presidente Trump non ha ancora stabilito se mantenere o meno gli impegni assunti dalla precedente amministrazione a livello internazionale.

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Regno Unito, May attiva la Brexit ed esorta il paese a unirsi

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, ha firmato la storica lettera che da’ il via all’iter di uscita dall’Unione Europea, dopo 44 anni di appartenenza. La procedura ufficiale avra’ inizio oggi pomeriggio a Bruxelles, con la consegna a mano della notifica da parte dell’ambasciatore britannico Tim Barrow al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. La prima ministra, dopo una riunione di gabinetto nella mattinata, parlera’ alla Camera dei Comuni, esortando i Brexiter e i Remainer a unirsi: “Quando siedero’ al tavolo dei negoziati nei prossimi mesi rappresentero’ ogni persona di tutto il Regno Unito – giovani e anziani, ricchi e poveri, citta’, paesi e frazioni – e, si’, anche quei cittadini dell’Ue che hanno fatto di questo paese la loro casa”, dichiarera’. Theresa May ha apposto la sua firma alla notifica di uscita ieri pomeriggio, nella sala riunioni della residenza di Downing Street, con la bandiera nazionale al suo fianco. Ha poi avuto colloqui telefonici con la cancelliera della Germania, Angela Merkel; il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker. I quattro leader hanno concordato sul fatto che un’Ue forte e’ nell’interesse di tutti e che e’ importante avviarsi alle trattative con spirito costruttivo e positivo per far si’ che il processo di uscita sia ordinato. Il documento, di sei pagine, nella notte ha attraversato la Manica a bordo di un treno, nelle mani dell’ambasciatore Tim Barrow. Probabilmente i diritti dei cittadini comunitari saranno il primo tema all’ordine del giorno. Un editoriale non firmato del giornale progressista ed europeista, attribuibile alla direzione, si esprime proprio su questo punto, invitando il governo a proteggere i cittadini dell’Ue: sarebbe moralmente e politicamente ripugnante cercare di contrattare sul futuro di persone che hanno arricchito il paese. L’editoriale del conservatore e antieuropeista “The Telegraph” condivide un ideale “brindisi” con tutti coloro che hanno sognato questo momento. “The Independent” accoglie con “sollievo” l’avvio dell’iter, dopo una lunga attesa, e invita il governo a perseguire un risultato che sia accettabile per un’opinione pubblica divisa e per il parlamento. “The Times”, altra testata conservatrice, parla del “Rubicone della Gran Bretagna” ed esorta i negoziatori di entrambe le parti a essere lungimiranti e a pensare alle future generazioni che li giudicheranno. L’editorialista del “Financial Times” Martin Wolf sottolinea che c’e’ bisogno di compromessi perche’ si arrivi a un accordo, che e’ una necessita’: in sintesi, “I brexiter devono perdere affinche’ la Brexit riesca”. Per il popolare “Mirror”, infine, la posta in gioco e’ altissima: tutti, a prescindere da come si sono espressi nel referendum, hanno interesse nel raggiungimento della migliore intesa possibile. Guardian; https://www.theguardian.com/politics/2017/mar/28/theresa-may-to-call-on-britons-to-unite-as-she-triggers-article-50

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Brexit, come si svolgeranno i negoziati nei prossimi due anni

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Che cosa succede dopo l’attivazione da parte del Regno Unito della clausola di uscita dall’Unione Europea? Il quotidiano britannico “The Times” elenca una serie di tappe e di temi. Domani Downing Street pubblichera’ un “libro bianco” sui cambiamenti legislativi che la Brexit richiedera’. Venerdi’ il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, inviera’ ai 27 paesi membri un documento con le “linee guida”, diviso in tre parti: la dichiarazione di unita’, l’atto di ritiro e il quadro della futura cooperazione. Le linee guida saranno discusse l’11, il 24 e il 25 aprile a livello di diplomazia. Il 29 aprile i leader europei si riuniranno a Bruxelles per il primo vertice ufficiale sulla Brexit. Il negoziato dovrebbe cominciare tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. Il 22 giugno i leader, inclusa Theresa May, si incontreranno per un primo confronto. Le condizioni del divorzio, costi inclusi, dovrebbero essere definite il 19 ottobre. Nell’ottobre del 2018 l’accordo finale dovrebbe essere pronto per la ratifica. Il 30 marzo 2019 sara’ il giorno della Brexit. Su questo percorso si frappongono numerosi ostacoli: i punti piu’ critici delle trattative riguarderanno gli obblighi finanziari, i diritti dei cittadini comunitari, l’unione doganale, il mercato unico, l’immigrazione, le agenzie e la burocrazia, l’Irlanda del Nord e Gibilterra. Secondo il “Financial Times”, la posta in gioco e’ piu’ alta per la Gran Bretagna che per l’Ue, perche’ quest’ultima ha il tempo dalla sua parte. Un esito senza un accordo sarebbe negativo per entrambe le parti, ma le equivalenze finiscono qui. Per il Regno Unito la Brexit significhera’ ricostruire decine di agenzie di regolamentazione e replicare tutte le norme interne e internazionali oggi in vigore in virtu’ del diritto comunitario. Di contro l’Ue avra’ la possibilita’ di avanzare in diversi campi, come la finanza o la regolamentazione dei farmaci, per i quali oggi conta sulla cooperazione della Gran Bretagna. Dal punto di vista tattico, inoltre, la scelta europea di pubblicita’ e trasparenza dei negoziati potrebbe rendere piu’ facile la difesa della propria linea. Tuttavia, la Brexit costringera’ l’Ue a riflettere sul suo futuro. L’Unione ha una lunga storia di integrazione e cooperazione, le cui ragioni restano valide, ma persisteranno anche diverse difficolta’. La difesa, il commercio, l’allargamento, la politica fiscale e bancaria, il bilancio comunitario sono i temi cruciali.

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Germania, ministro Interno De Maizie’re: “Lo spionaggio turco non sara’ tollerato”

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maizie’re (Cdu), ha commentato con durezza lo spionaggio dei presunti seguaci residenti in Germania dell’oppositore del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il predicatore Fethullah Gulen, da parte dei servizi segreti di Ankara: “L’attivita’ di spionaggio sul territorio tedesco e’ punibile dalla legge, e non sara’ tollerata”. Una lista dei soggetti sottoposti a spionaggio era stata consegnata dal servizio segreto turco “Mti”, a quello tedesco “Bnd”, con allegata una richiesta di assistenza alle attivita’ di sorveglianza. Il ministro dell’Interno della Bassa Sassonia, Boris Pistorius, ha riferito che la lista include “300 organizzazioni e individui in tutta la Germania”. Il dossier sarebbe corredato da documenti personali, foto, registrazioni video: tutto materiale unilateralmente raccolto dai servizi turchi in Germania. Le autorita’ della Bassa Sassonia hanno deciso di informare gli individui vittime di spionaggio. La documentazione era stata consegnata al capo del Bnd Bruno Kahl durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, lo sorso febbraio. Il ministro de Maizie’re ha dichiarato ieri che “indipendentemente da come ci si rapporti al movimento di Gulen, va applica la legge tedesca, e in questo caso sono stati spiati in un paese straniero cittadini non residenti. Cio’ puo’ compromettere le relazioni turco-tedesche”. Anche il ministro Pistorius ha definito l’attivita’ di spionaggio “totalmente inaccettabile e intollerabile”. Il deputato della Linke, Sevim Dagdelen, ha chiesto al governo di “distruggere la rete degli informatori di Erdogan in Germania” e il ministro regionale per gli Interni, Armin Schuster (Cdu), ha definito l’accaduto “un grave incidente diplomatico”.

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Usa, il fallimento della riforma della sanita’ ha salvato i Repubblicani da se stessi

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Il tentativo fallito dei Repubblicani statunitensi di revocare unilateralmente l’Affordable Care Act e sostituirlo con un sistema alternativo e’ stato generalmente presentato dalla stampa Usa come una sconfitta quasi fatale per i conservatori, che rischia di condannarli a una cocente sconfitta alle elezioni di medio termine del 2018. Secondo Kenneth S. Baer, ex direttore associato dell’Ufficio per la direzione del bilancio sotto l’amministrazione Obama, e autore di un editoriale sulla “Washington Post”, e’ vero piuttosto il contrario: “La storia recente – scrive Baer – dimostra che i repubblicani alla Camera avrebbero corso un maggior rischio di perdere la maggioranza approvando la riforma, e non rigettandola”. Gli elettori statunitensi, sostiene l’autore dell’editoriale, “sono stanchi dello stallo delle istituzioni rappresentative a Washington, ma lo sono altrettanto dei tentativi dei partiti di esercitare su di esse un controllo unilaterale”. Dal momento che entrambi i partiti ritengono di poter vincere la successiva tornata elettorale, il partito all’opposizione “e’ fortemente incentivato ad esercitare l’ostruzionismo, e quello al potere non resiste alla tentazione di forzare una legislazione dalla forte connotazione partigiana”. E’ esattamente quanto pare accadere a Washington dopo le elezioni presidenziali dello scorso novembre, che hanno relegato i Democratici all’opposizione in entrambe le Camere del Congresso federale. A dispetto delle accuse dei Democratici secondo cui i collegi elettorali della Camera sono disegnati a vantaggio dei Repubblicani, e questi ultimi godrebbero del sostegno di grandi capitali non regolamentati, “non esiste alcuna maggioranza repubblicana precostituita, e lo stesso vale per i Democratici”. E’ vero piuttosto il contrario, scrive Baer: la politica statunitense vive un’epoca che ha per carattere fondamentale la volatilita’. In un contesto simile, spiega l’autore dell’editoriale, l’alternanza dei partiti alla guida delle camere e’ agevolata, e cio’ “lascia al partito di maggioranza una finestra estremamente limitata per massimizzare i vantaggi della propria posizione”. Purtroppo, questo sistema si traduce anche nell’incentivo alle forze di opposizione ad esercitare una linea ostracista, come esibito dai Democratici sul fronte delle nomine presidenziali, ma anche dai Repubblicani lo scorso anno, col rifiuto di prendere in esame la nomina dell’ex presidente Obama alla Corte Suprema. Il rifiuto delle opposizioni di partecipare costruttivamente alle maggiori iniziative di riforma legislativa, scrive Baer nella sua analisi, e’ una tendenza delineatasi con chiarezza sin dalle amministrazioni Clinton, quando l’Omnibus Deficit Reduction Act sconto’ l’opposizione compatta e unanime dei Repubblicani; nel 2001, i tagli alla pressione fiscale promossi dall’amministrazione Bush ottennero appena 20 voti da parte dei Democratici alla Camera, mentre i sussidi della stessa amministrazione per l’acquisto di farmaci su prescrizione nell’ambito del programma Medicaid – un’iniziativa che pure era stata promossa a lungo dagli stessi Democratici – ottenne un sostegno ancor piu’ risicato da parte di questi ultimi: appena 16 deputati e 11 senatori. Gli otto anni dell’amministrazione Obama, e i primi mesi di quella Trump, hanno visto un’ulteriore intensificazione di questa tendenza, come esibito dalla netta divisione tra partiti di fronte a importanti progetti di riforma come il Recovery Act e la legge Dodd-Frank per la regolamentazione di Wall Street. Queste riforme di alto profilo, conclude Baer, sono esempi del perche’ gli elettori non apprezzino le iniziative politiche unilaterali che non tengono conto delle loro istanze, o che lo fanno soltanto a parole. Lo prova ad esempio il fatto che i legislatori democratici che hanno votato a favore della riforma della sanita’ di Obama – l’Affordable Care Act – sono stati i piu’ puniti dagli elettori alle elezioni di medio termine del 2010. In conclusione, l’esito delle prossime elezioni di medio termine dipendera’ per i Repubblicani dalla loro capacita’ di superare un approccio unilaterale, e non tanto, come erroneamente ritenuto da molti, dalla capacita’ di rimettere forzosamente in riga le loro correnti “dissidenti”.

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Le Americhe non prendono impegni, ma aumenta il fronte dei “nemici” di Maduro

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Una mozione di vera e propria condanna per il regime di Nicolas Maduro ancora non c’e’, e tanto meno l’appoggio alla richiesta avanzata dal segretario generale Luis Almagro di sospendere il Venezuela dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa). Ma il fronte dei paesi critici con Caracas si amplia. La sessione straordinaria del Consiglio permanente dell’Osa, che riunisce gli ambasciatori dei 34 paesi membri, si e’ chiusa con l’impegno di mettere in campo un road map per la restaurazione della democrazia in Venezuela. Un impegno senza vincoli e non posto ufficialmente ai voti, ma che ha comunque raccolto l’appoggio di venti paesi, due in piu’ di quelli che avevano accompagnato l’offensiva di Almagro alla vigilia dell’incontro. La “situazione e’ peggiorata” e “la regione e’ sempre piu’ preoccupata”, spiegavano alla stampa fonti del Dipartimento di Stato Usa, paese sempre piu’ deciso a combattere l’erede di Hugo Chavez. Sullo stesso fronte il Messico che ha chiesto di trasformare la dichiarazione in una risoluzione, strumento piu’ impegnativo per l’organismo e per lo stesso Venezuela. Nel frattempo il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) di Caracas ha aumentato la pressione sul parlamento nazionale. I deputati dell’opposizione, in maggioranza nella Assemblea, avevano votato una dichiarazione di sostegno all’iniziativa di Almagro chiedendo il rilascio dei prigionieri politici e il ripristino delle “condizioni di democrazia” nel paese. Un gesto che secondo il Tsj spinge il Parlamento ancora piu’ lontano dai confini costituzionali, riservandosi di decidere sui “limiti dell’immunita’” concessa ai deputati. In pratica, denuncia il quotidiano spagnolo “El Mundo”, “i deputati democratici potranno essere mandati a processo e incarcerati in qualsiasi momento, accusati di terrorismo o ribellione da giudici militari”. Lo stesso quotidiano conservatore attacca poi l’ex presidente spagnolo Jose’ Luis Rodriguez Zapatero che, in qualita’ del terzetto di ex capi di Stato nominati dall’Unasur (unione delle nazioni sudamericane) per risolvere la crisi, ha inviato una lettera all’Osa tornando a perorare il dialogo tra governo e opposizione: “preservare la pace e mettere fine a un conflitto cosi’ profondo non permette scorciatoie” e i risultati si possono avere solo con perseveranza e pazienza. Lettera accolta “con giubilo” da Caracas ma posizione non piu’ appoggiata dal Vaticano, che rimprovera a Maduro di aver abbandonato la strada del dialogo con le opposizioni.

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Messico, ancora un “incidente” dietro le sbarre: aumenta il peso dell’insicurezza nelle carceri

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – L’ultimo bollettino ufficiale parla chiaro: la protesta che si e’ scatenata all’interno del carcere di Cadereyeta, nello Stato messicano di Nueva Leon, si e’ chiusa con 2 morti e 13 persone ferite. Per sedare “l’incidente”, assicurano le autorita’, sono dovuti intervenire decine di agenti della polizia statale – due dei quali feriti -, uomini della Difesa e pompieri, impegnati sui vari principi di incendio accesi dai detenuti. La protesta nasce dal veto opposto dai carcerati a nuove misure di sicurezza, ma si parla anche di una sommossa nata dall’invasione della farmacia interna da parte di detenuti in crisi d’astinenza, episodio che avrebbe causato anche gravi intossicazioni. Il dato di fondo, sottolinea il quotidiano spagnolo “El Pais”, e’ la condizione di sostanziale caos nel quale versano le carceri messicane. Una legge approvata a meta’ del 2016 per cercare di mettere ordine nel comparto e nella vita dei detenuti non ha ancora impedito il moltiplicarsi di problemi. Anzi. Lunedi’ circa 600 carcerati si sono ammutinati in una prigione di Nuevo Leon e sei di loro sono rimasti feriti. Giovedi’ scorso 29 detenuti sono scappati da un penitenziario di Ciudad Victoria attraverso un tunnel, con la stessa tecnica adottata da El Chapo Guzman nel 2015. Due giorni dopo, nello stesso carcere, una rissa si e’ chiusa con tre morti e un ferito grave. Venerdi’ a Cancun un prigioniero e’ morto e altri tre sono rimasti feriti dopo uno scontro interno. A meta’ mese Juan Jose’ Esparragoza Monzon, figlio di uno dei fondatori del Cartello di Sinaloa e altri quattro detenuti sono scappati da un carcere di Culiacan. Scoperta la fuga si sono scoperte anche le condizioni di privilegio nelle quali viveva dietro le sbarre. Solo a gennaio di quest’anno le carceri federali hanno registrato 204 segnalazioni di disturbo, in gran parte risse ma anche aggressioni, scioperi della fame, morti e suicidi. Il 60 per cento delle strutture e’ governato dai suoi carcerati, scrive la testata dando voce a Guillermo Zepeda Lacuona, “specialista” sul tema. Il controllo dei gruppi piu’ forti, che impedisce alla polizia di intervenire nella vita quotidiana oltre le sbarre, mette a rischio il resto della popolazione carceraria. D’altro canto, osserva il ricercatore dell’Istituto nazionale delle scienze penali Martin Barron, la dura azione militare intrapresa dalle autorita’ messicane contro i cartelli del narcotraffico ha finito per assegnare agli elementi della delinquenza organizzata una supremazia numerica nei penitenziari. Che dal 2005 al 2016 sono anche calati di numero, passando da 455 a 389. Il tutto in una condizione di sovraffollamento e di carenza di condizioni igieniche certificata dall’ultimo rapporto stilato dalla Commissione nazionale dei diritti umani.

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Difesa, Parigi e Londra avranno un futuro comune nei missili strategici

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Nonostante la Brexit, la Gran Bretagna ha fatto un passo senza precedenti per riavvicinarsi alla Francia nel settore degli armamenti: lo scrive il quotidiano economico francese “Les Echos” commentando l’accordo raggiunto dai governi di Londra e Parigi per lo sviluppo della prossima generazione di missili. Ieri martedi’ 28 marzo la sottosegretaria britannica alle Forniture per la Difesa, Harriet Baldwin, ed il direttore francese degli Armamenti, Laurent Collet-Billon, hanno firmato a Londra il protocollo che avviera’ lo studio congiunto dei futuri missili antinave e dei futuri missili di crociera destinati a rimpiazzare quelli attualmente in dotazione alle forze armate dei due paesi. Cio’ significa che verso il 2030 Francia e Gran Bretagna utilizzeranno gli stessi missili strategici a lunga gittata, un settore decisivo nel campo delle politiche della Difesa nel quale i due paesi ormai da molto tempo lavorano a stretto contatto. “Noi abbiamo una lunga storia di cooperazione con la Francia” ha ricordato la britannica Harriet Baldwin: la quale ha anche tenuto a sottolineare solennemente come “il Regno Unito e’ fermamente impegnato nella sicurezza dell’Europa, come dimostra il nostro budget militare che e’ il piu’ alto del Continente; e continueremo a cooperare nei programmi di difesa comune europea”, ha promesso; in barba appunto all’attivazione dell’articolo 50 dello Statuto dell’Unione Europea, con cui proprio oggi 29 marzo la premier Theresa May avviera’ le procedure per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Concretamente, Parigi e Londra con l’accordo firmato ieri incaricano il gruppo industriale europeo specializzato negli armamenti Mbda di condurre uno studio della durata di 3 anni per progettare i missili destinai a sostituire gli antinave francesi Exocet e britannici Harpoon, cosi’ come la futura generazione di missili aria-terra Scalp (versione francese) e Storm Shadow (versione inglese) che sono attualmente utilizzati nella guerra allo Stato islamico in Iraq e Siria (Isis); i due paesi mettono sul tavolo 50 milioni di euro ciascuno ed affidano a Mbda anche il compito di definire i bisogni comuni ed i concetti di impiego comuni dei nuovi missili da parte delle rispettive forze armate.

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Scandali e abusi nelle Forze armate tedesche

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen (Cdu), aveva annunciato all’inizio del 2014 che le Forze armate sarebbero divenute uno dei migliori datori di lavoro della Repubblica federale. La Difesa ha avviato negli ultimi due anni una campagna d’immagine per spronare i giovani ad arruolarsi. Tale campagna d’immagine, pero’, si e’ scontrata con gli scandali delle ultime settimane. Alla fine di gennaio e’ scoppiato il caso delle molestie sessuali nella caserma Hohenstaufen di Pfullendorf. Poche settimane piu’ tardi, il caso del soldato oggetto di maltrattamenti e discriminato a Bad Reichenhall. Il rappresentante militare Hans-Peter Bartels, da ultimo, ha dichiarato alla “Welt” che le Fa hanno un problema di genere. Visto l’alto numero di denunce per molestie sessuali e mobbing sorgono spontanee alcune domande: Da quanto tempo i vertici della Difesa erano a conoscenza di questi problemi? Quanto erano diffusi questi episodi, e dove sono accaduti piu’ di frequente? Tali domande sono state poste da un gruppo di studio del ministero della Difesa sotto il controllo dell’ispettore generale Volker Wieker. Secondo la relazione stilata dal gruppo di studio, tutti i casi divenuti di pubblico dominio negli ultimi due anni erano gia’ venuti a conoscenza dal Ministero. Sono 7.800 gli episodi caratterizzati da profili di illegalita’ venuti alla luce nelle Forze armate tra il 2015 e il 2017 e 3.600 sono quelli nuovi, di cui 3.100 di una certa rilevanza, anche se non propriamente classificabili come “violenze sessuali compiute”. Le Fa hanno le dimensioni di una citta’ media e su un tale numero di persone sono circa 300 i casi di furti, appropriazione indebita, rapine o estorsioni; sono invece circa 500 gli incidenti con lesioni personali e 250 i crimini legati alla droga, mentre 200 i casi di molestie sessuali. Il 16 per cento di questi ultimi sono legati a coercizione o stupro, mentre circa il 10 per cento alla diffusione di materiale pornografico. Il restante 60 e’ costituito da episodi di molestie e discriminazioni. Cio’ che ci si chiede e’ quanti siano i casi non dichiarati. Sembrerebbe che piu’ coinvolti siano i soldati e gli ufficiali tra i 20 e i 30 anni, secondo quanto si legge nel rapporto della Commissione. La Verde Agnieszka Brugger chiede uno sforzo culturale per “evitare di perdere ancora piu’ giovani menti”.

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Francia, dopo il miglioramento del 2016 l’occupazione stagnera’ nel 2017

29 mar 11:20 – (Agenzia Nova) – I dati piu’ aggiornati sulla disoccupazione in Francia non soltanto rappresentano una delusione per il presidente uscente, il socialista Francois Hollande, che fino all’ultimo aveva sperato in una inversione della congiuntura negativa per ripresentarsi alle elezioni di aprile-maggio, prima di gettare la spugna e rinunciare ad una propria candidatura: costituiscono anche una seria preoccupazione per i candidati in lizza per la presidenza della Repubblica ed il principale grattacapo che dovra’ affrontare colui che uscira’ vincitore dal secondo turno di ballottaggio il del 9 maggio prossimo; lo scrive il quotidiano economico “Les Echos” commentando i dati diffusi dal ministero del Lavoro, gli ultimi in vista del primo turno dello scrutinio del 23 aprile prossimo. A febbraio dunque il numero di coloro che non hanno lavorato del tutto (categoria A) e’ sceso di appena 3.500 unita’, attestandosi a 3.464.400nella Francia metropolitana: si tratta un calo infinitesimale della disoccupazione (- 0,1 per cento), che con il massimo dell’ottimismo puo’ essere visto come una stabilizzazione della situazione occupazionale. E’ vero infatti, nota “Les Echos”, che rispetto allo scorso anno i disoccupati nel paese sono nettamente diminuiti; ma e’ vero anche che nello scorso gennaio l’occupazione ha stagnato e che nel dicembre 2016 si era registrato un aumento di 9.200 disoccupati totali (categoria A): nel trimestre in questione quindi, con un aumento dello 0,2 per cento della disoccupazione, la tendenza positiva dell’ultimo anno sembra essersi arrestata. Prendendo in considerazione tutte le categorie (disoccupazione totale, impieghi saltuari e parziali), i disoccupati a fine febbraio sono stati 5.515.200 nella Francia metropolitana e 5.817.600 prendendo in considerazione anche i Territori d’Oltremare. Quel che e’ peggio e’ che secondo le ultime previsioni dell’Une’dic, l’ente gestito da patronato e sindacati che eroga i sussidi di disoccupazione, il 2017 si prospetta come un anno negativo: i lavoratori in cerca di un impiego qualsiasi dovrebbero aumentare di quasi 50 mila unita’; c’e’ di che preoccupare il prossimo inquilino del palazzo dell’Eliseo.

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