Nell’ormai crescente contrapposizione tra operatori e AGCom, con la sentenza n.600/2015, relativa ai contributi annuali versati dagli operatori all’Autorità delle Comunicazioni, ci troviamo di fronte all’ennesimo giudizio di fronte al Consiglio di Stato.
Si tratta di un prelievo forzoso e più precisamente di una tassa di scopo che finanzia non già̀ l’AGCom in sé o per l’universo delle funzioni che assolve, ma per il servizio che rende agli operatori nella parte che afferisce ai mercati che necessitano di regolazione ex-ante.
Senza scendere troppo nel dettaglio, oggetto del contendere era la destinazione di questi contributi: destinati alle sole attività di regolazione relative agli operatori o da impiegare anche a copertura del complesso delle attività di AGCom, anche estranee alle dinamiche competitive e regolatorie del mercato (si pensi alla Par Condicio, ad esempio)?
L’Avvocatura generale dello Stato – per difendere AGCom – ha inopinatamente attaccato il TAR con l’accusa di infondatezza e di illogicità di alcune parti della sentenza di primo grado oltre che l’erroneità nella disapplicazione di alcune norme.
Ma a nulla sono valse le precisazioni e le critiche alle valutazioni del TAR.
Sia chiaro che ormai AGCom è vittima di un vero e proprio tiro al piccione, perché tutti i più grandi operatori hanno uffici legali e studi esterni la cui missione è quella di impugnare le delibere: quelle avverse più rilevanti vengono attaccate per definizione, e talvolta perfino quelle minori sono avversate qualora dal ricorso possa derivare un qualsiasi effetto migliorativo, fosse pure un ritardo applicativo delle norme medesime. Tanto per fare un esempio, la richiesta di sospensiva è la prima pallottola che si spara in alto quando si apre un ricorso.
Ma il conto chi lo paga?
Non sono solo i grandi operatori ad adottare queste strategie di attacco giudiziario. A volte anche i “pesi piuma” riescono a formare delle cooperative di acquisto per condividere le spese legali necessarie a sostenere un giudizio di fronte al Giudice Amministrativo. A questo punto, siccome AGCom è chiamata sistematicamente a difendere le sue delibere al TAR è come se il procedimento amministrativo non terminasse con la pubblicazione della delibera finale, ma con la sentenza del Consiglio di Stato passata in giudicato.
Questo comporta anche un altro effetto, quello di indebolire il ruolo dell’Autorità, spostando il ruolo delle decisioni regolatorie dalla sede del Consiglio AGCom alle aule dei tribunali del TAR e del Consiglio di Stato. Una situazione che non sembra essere presente con queste modalità in nessun paese europeo, dove si registrano tassi di conflittualità giudiziaria ben al di sotto di una soglia fisiologica. Tutto ciò considerato sarebbe forse opportuno che anche ad AGCom venisse riconosciuto il diritto di essere ben assistita in giudizio, scegliendosi caso per caso il miglior specialista della materia.
In questo caso, anziché la compensazione delle spese si dovrebbe adottare il modello per cui chi perde in giudizio paga anche le spese della controparte (in questo caso pubblica) e così si indebolirebbe finalmente la vocazione in molti casi ricattatoria dei ricorsi, che spesso servono solo a creare margini di contrattazione tra gli assegnatari e gli esclusi.
Come tutelare AGCom?
Impegnare il TAR e il Consiglio di Stato per i ricorsi nei settori regolamentati è un colossale sperpero di denaro pubblico, privato e di tempo. Se ormai il ricorso al Giudice Amministrativo è diventato un atto endoprocedimentale che abilita la delibera finale a produrre effetti erga omnes, quasi fosse un parere necessario per il controllo di legittimità, allora varrebbe la pena applicare la stessa ratio della norma dei contributi annuali: siano gli operatori a sostenere le spese della difesa dell’AGCom.
A loro pertiene una “better regulation”, dunque è importante che AGCOM sia libera di scegliersi caso per caso gli avvocati che vuole – scelti di volta in volta intuitu personae – e di sostenersi in giudizio pagando le spese legali con i contributi stessi degli operatori.
Una possibile via d’uscita
Ora, AGCom potrebbe rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea. In questo caso potrebbe non essere escluso un giudizio a favore dell’Autorità italiana. Difficilmente, si può ben intuire, la Commissione potrebbe accettare un precedente così vistoso che potrebbe alterare l’intero sistema di finanziamento delle autorità indipendenti di regolazione delle Tlc e dei media.
Ma in termini euristici il problema si risolverebbe molto velocemente se tutto il contenzioso tra Operatori ed AGcom si consegnasse nelle mani di un collegio arbitrale ultra-specialistico che in trenta giorni è chiamato a decidere se accogliere il ricorso e modificare direttamente la delibera con una sentenza costitutiva, oppure rigettare il ricorso irrogando una sanzione dissuasiva al ricorrente, magari in proporzione al fatturato.
Chiediamo troppo?