Nel silenzio più assoluto, mercoledì della scorsa settimana, 3 agosto, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha pubblicato sul proprio sito web la delibera assunta il 19 luglio 2022, la n. 266/22, con la quale ha approvato le “linee-guida” sul “contratto di servizio” per il quinquennio 2023-2028 in gestazione tra Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) e Rai, ovvero, più esattamente le linee-guida “sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale”.
Premesso che non si comprende perché, dal 19 luglio, si sia dovuto attendere 2 settimane due per la pubblicazione della delibera… Premesso che non si comprende come sia possibile che l’Ufficio Stampa dell’Agcom non abbia ritenuto di diramare due righe di comunicato in relazione all’importante documento… è un dato oggettivo che la notizia ha registrato una ricaduta mediatica nulla. Nessuno ne ha scritto, se non il sempre vigile Redattore Anonimo sul sito web più accurato e specialistico che ci sia sulla Rai, ovvero il tante volte qui citato “BloggoRai” (alias “La Rai prossima ventura”).
Naturale sorge il quesito: qualcuno ha forse deciso di attivare la sordina, su un simile delicato argomento?!
Forse per evitare che, nella gestazione dei programmi elettorali dei partiti qualcuno… si ricordi del servizio pubblico radiotelevisivo?! In Italia, il motto latino “Quieta non movere et mota quietare” è purtroppo spesso una regola sacra per alcune istituzioni votate alla conservazione dell’esistente.
Affronteremo presto le “linee-guida” di Agcom, per comprendere se aggiungono qualcosa di realmente significativo a quel che il Governo ha tratteggiato (vedi “Key4biz” del 18 luglio 2022, “Rai, ancora misteri sul ‘contratto di servizio’ (2023-2028) in gestazione”), o se si permane su testi generico-fuffologici…
Ci sarà il tema “Rai” nei programmi elettorali per il 25 settembre 2022?!
Sarà molto interessante scoprire, nei prossimi giorni, se nei programmi del centro-destra e del centro-sinistra (e della possibile alleanza “centrista” tra Matteo Renzi e Carlo Calenda) qualcuno dei saggi consulenti dedicherà attenzione ai futuri possibili della Rai.
Qualcosa “in materia” si attende certamente dal Partito Democratico, che ad oggi risulta essere l’unico partito ad aver dedicato attenzione a Viale Mazzini nelle ultime settimane, almeno in una delle sue anime: venerdì 22 luglio 2022, ha promosso l’incontro dal titolo ultimativo “Rai, ora o mai più”, ovvero è stata la corrente interna del Pd che è guidata da Matteo Orfini, a promuovere il dibattito, che è stato coordinato dal senatore Francesco Verducci, che è peraltro anche componente della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai (in occasione della Nona Festa di Left Wing, intitolata “Tutto questo futuro”, al Parco Nemorense a Roma). Anche in questo caso, rassegna stampa e mediale… zero o quasi (fatto salvo il sempre vigile sito “VigilanzaTv” – e naturalmente “BloggoRai” – ed un trafiletto critico sul quotidiano “Libero”), ma sicuramente una presa di posizione a favore del servizio pubblico, e del suo rafforzamento.
Mine vaganti si scorgono invece nelle lande del centro-destra.
Convegno del Corecom del Veneto: “regionalizzare la Rai si può, basta volerlo”
Una settimana prima rispetto all’iniziativa di Left Wing/Pd, in quel di Venezia si è tenuto un altro convegno promosso dal Corecom del Veneto: è stata l’occasione per proporre ardite tesi, ovvero una “regionalizzazione” della Rai. Si ricorda che i Corecom svolgono funzioni di governo e controllo del sistema delle comunicazioni sul territorio regionale e indirizzano la propria attività alla comunità regionale, in particolare cittadini, associazioni e imprese, operatori delle telecomunicazioni e al sistema dei media locali: sono al contempo organi regionali, organi che svolgono funzioni delegate dall’Agcom e organi che svolgono funzioni amministrative per conto del Ministero dello Sviluppo Economico…
Stefano Cuppi, Presidente del Corecom dell’Emilia Romagna, non ha avuto dubbi: “basta volerlo: la Regionalizzazione del servizio pubblico si può fare. Tocca alla politica prendere una decisione”. Secondo Cuppi, “la regionalizzazione dei servizi di telecomunicazione e radiotelevisivi è possibile: esistono non solo le basi giuridiche, come abbiamo visto nell’analisi approfondita del professor Jacopo Bercelli dell’Università di Verona, ma ci sono i presupposti tecnici e tecnologici”.
Il convegno ospitato il 15 luglio a Palazzo Franchetti a Venezia era stato introdotto dal presidente del Consiglio Regionale del Veneto, il leghista Roberto Ciambetti: “la regionalizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo è stata un obiettivo perseguito sin dalla metà degli anni Settanta e ha rappresentato, fino ad oggi, una occasione culturale, innanzitutto, mancata. Essa è stata attuata parzialmente solo nelle provincie autonome di Trento e Bolzano, e nelle regioni a statuto speciale, ma esiste un patrimonio anche di professionalità oltre alle tecnologie avanzate per cui diciamo che è possibile immaginare un sistema radiotelevisivo e multimediale pubblico gestito su base regionale sostenuto, ad esempio, con parte della quota del gettito del canone televisivo pagato dai cittadini veneti. So che alcuni consigli regionali, la Lombardia ad esempio, si sta già elaborando una legge specifica e credo che il Veneto, a maggior ragione dopo il convegno odierno, possa affrontare un analogo percorso perché una occasione mancata può ancora trasformarsi in servizio reale offerto al cittadino e a tutto il Paese”.
Secondo Marianna Sala, Presidente del Corecom Lombardia e Coordinatrice nazionale dei Presidenti Corecom l’occasione per avviare una svolta decisiva è data dal “prossimo contratto di servizio Rai 2023-2028, la cui firma è prevista per la fine dell’estate. I Corecom hanno già richiamato la necessità di garantire spazi adeguati all’informazione, all’approfondimento e alla programmazione culturale regionale nel prossimo contratto RAI, sia sulla terza rete televisiva che sulla piattaforma Rai Play. Del resto, è noto che i programmi regionali riscuotono un grande successo, con indici di ascolto molto alti. Dai dati di ascolto si evince uno share molto alto sia per Buongiorno Regione, sia per i Tgr”.
La ricerca dell’Università di Verona: “i presupposti giuridici per regionalizzare la Rai ci sono”
Al centro del dibattito veneziano, la presentazione del report elaborato dal professor Jacopo Bercelli, del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona, commissionato dal Corecom del Veneto: “devo l’avvio del progetto che oggi presentiamo – ha spiegato Marco Mazzoni Nicoletti, Presidente del Corecom del Veneto – al mio predecessore Gualtiero Mazzi che ebbe l’intuizione di avviare la collaborazione con l’Università scaligera per approfondire le basi giuridiche della regionalizzazione di un servizio pubblico attraverso la Rai. Lo scopo dello studio dunque indaga, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, i margini di intervento affidati alle Regioni con l’obiettivo di giungere a una effettiva e sostanziale regionalizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale”.
Secondo Jacopo Bercelli, le basi giuridiche ci sono tutte: “sappiamo che la Rai è un ente pubblico, per quanto organizzato come una società per azioni. In secondo luogo, la telecomunicazione assolve a un servizio pubblico. Da ultimo, le Regioni possono attivare stante la normativa vigente contratti di servizio con la Rai. Nella storia, dal 1975 ad oggi, la regionalizzazione del sistema radiotelevisivo è stata una costante che ha affiancato il processo devolutivo e l’applicazione della sussidiarietà, sebbene non abbia trovato applicazione concreta eccezion fatta per le Regioni e provincie a statuto speciale. I presupposti giuridici, comunque, ci sono e ciò che serve è la volontà di affrontare, anche attraverso la stesura di leggi regionali ad hoc, l’argomento”. La ricerca si intitola “La regionalizzazione dei servizi di telecomunicazione e radiotelevisione nel quadro del vigente testo unico dei servizi di media audiovisivi”. Torneremo presto sulla questione.
Nell’economia del convegno, si è anche prospettata la possibilità di “regionalizzare” anche il flusso del canone Rai. Secondo questa ipotesi, il canone Rai potrebbe essere trasformato in un’imposta gestita direttamente e finanche autonomamente da ciascuna Regione, non passando più dalle casse dello Stato… In sintesi, una televisione pubblica “nazionale”, ma alimentata da un tributo “regionale”: si tratterebbe quindi di canone Rai gestito direttamente dalle Regioni.
Si ricordi che dal 2023, il canone Rai non dovrà essere più inserito nella bolletta della luce…
E nel mentre la Francia di Macron abolisce il canone…
Sull’argomento “canone”, va segnalato che in Francia si sta completando la procedura per la sua eliminazione, come a suo tempo promesso da Emmanuel Macron durante la campagna presidenziale. All’importante notizia hanno dedicato modesta attenzione i media italiani, se non il quotidiano “la Repubblica” nell’edizione del 25 luglio scorso, in una corrispondenza firmata da Anais Ginori. Si tratta di una delle prime decisioni assunte da Macron all’inizio del suo secondo mandato, per comprenderne l’importanza (anche in termini di immagine). L’abolizione è stata votata dai deputati con 157 voti favorevoli, 57 contrari, ed un alto tasso di astensione (su 577 deputati). La Ministra della Cultura Rima Abdul Malak ha presentato l’abolizione del canone tv come una misura di aiuto per il potere d’acquisto dei francesi, definendo la tassa “obsoleta e inadatta”…
Da segnalare che al convegno veneziano ha preso parte anche un membro del Consiglio di Amministrazione Rai, Igor Di Biasio (“in quota” Lega) nonché il Presidente della Commissione di Vigilanza Alberto Barachini (Forza Italia). Il consigliere “in quota” Lega Salvini ha confermato il proprio impegno personale per un forte coinvolgimento delle Regioni nel prossimo “contratto di servizio” Mise-Rai: “i dati di ascolto lo dimostrano: esiste una forte domanda, c’è un forte interesse tra i cittadini, per cui io credo che le Regioni debbano essere sempre più coinvolte”.
Sarebbe interessante conoscere, sull’offerta e sulla domanda di programmazione “regionale”, il parere di un analista qualificato quanto indipendente qual è Francesco Siliato e del suo Studio Frasi, per conoscere la vera verità su queste tematiche.
Immaginiamo quindi che nel programma elettorale del centro-destra emergerà questa tesi della “regionalizzazione” della Rai, che francamente ci sembra estremamente pericolosa, rispetto all’esigenza di un servizio pubblico forte, solido, organico. È latente il rischio di una “divisione” strutturale che finisce per indebolire il senso stesso del servizio pubblico nazionale.
Peppino Ortoleva (Università di Torino): “la regionalizzazione della Rai è uno spezzatino folle”
Un mediologo del livello di Peppino Ortoleva – docente di Storia e Teoria dei Media all’Università di Torino – ha criticato l’idea senza mezzi termini, sostenendo, sulle colonne di “Tag24” (il quotidiano online dell’Ateneo Niccolò Cusano di Roma), che “il progetto di regionalizzazione è folle in un’Italia senza governo”. E così argomenta la sua tesi sulla “follia” della proposta: “devo confessarle la mia desolazione rispetto al modo improvvisato con cui viene gestita dalla politica regionale e nazionale. Col progetto di regionalizzazione, aumenterebbe il potere di ricatto e la propaganda, sarebbe un passo in avanti verso a catastrofe aziendale. Così com’è adesso la Rai è ingovernabile, ma proporre vari spezzatini regionali vuol dire andare verso un sistema folle, l’introduzione del canone in bolletta è stato un passaggio che ha rafforzato l’azienda, ma che gli italiani pensano come un sopruso. Adesso si rischia un canone più alto, e, se passasse questo perverso modello, spezzettato. La novità viene soprattutto dalla Lega, da Regioni a guida leghista, dove la logica è ancora più pesantemente in contrapposizione al quadro nazionale”.
Infine, a proposito di ascolti – ma in questo caso a livello aggregato nazionale – va segnalato che un qualche problema, per Rai, c’è veramente, anche se nessuno o quasi, se non un osservatore attento come Marco Mele (giornalista e mediologo) ha messo il dito nella piaga di Viale Mazzini, in relazione al calo di ascolti della televisione pubblica: in un documentato articolo pubblicato su “Il Quotidiano del Sud” sabato 6 agosto, intitolato “Perderai”, il già inviato del confindustriale “Il Sole 24 Ore” unisce una lettura di dati della stessa Agcom ad alcune elaborazioni dello Studio Frasi di Francesco Siliato per stilare un rapporto che dovrebbe stimolare profonde riflessioni a Viale Mazzini. Scrive Mele: “la Rai perde il triplo rispetto a Mediaset. Calano gli ascolti della televisione nei primi sette mesi dell’anno ma la Rai cala più del triplo di Mediaset. Una tendenza che conferma i dati dell’Osservatorio sulle Comunicazioni dell’Agcom, relativo ai primi tre mesi dell’anno in corso”. Più precisamente: “le elaborazioni dello Studio Frasi sui dati Auditel sono impietose. Tra gennaio e luglio, gli ascolti tv nel giorno medio scendono dai 10,4 milioni del 2021 a 9,1 milioni… Il dato più rilevante è che, nel giorno medio, la Rai perda 521mila ascolti sul periodo precedente, di cui 428mila sui suoi canali generalisti e 142 sui canali digitali”.
Ci si domanda anche se nei programmi elettorali in gestazione, a proposito di Rai, qualcuno coglierà lo stimolo a fare in modo che nel servizio pubblico radiotelevisivo e mediale “che verrà” ci sia un maggiore e migliore coinvolgimento dell’anima creativa del nostro Paese: come abbiamo sostenuto tante volte anche su queste colonne, riteniamo che il ruolo dell’azionista “di minoranza” della Rai, qual è la Società Italiana degli Autori ed Editori debba essere elevato, consentendo a Siae di esprimere almeno un componente del Consiglio di Amministrazione. Non in forza della quota poco più che simbolica nell’azionariato in Rai Radiotelevisione Italiana spa (Siae ha soltanto dello 0,44 % delle azioni, a fronte del 99,56 % del Mise), ma in funzione della rappresentatività di gran parte degli autori e dei creativi del nostro Paese, considerando che Siae vanta oltre 106mila soci. Immaginiamo che il tema emergerà anche in occasione delle prossime elezioni della stessa Siae, in programma per il prossimo 5 settembre 2022.