Cresce in Italia il mercato degli sviluppatori di videogiochi (game developer), un settore in fermento che nel nostro paese genera un giro d’affari di 40 milioni di euro. Cifre contenute, ma signifcative in termini di crescita, raddoppiate rispetto all’ultimo censimento disponibile realizzato nel 2014. E’ quanto emerge dal terzo censimento dei game developer italiani 2016 presentato oggi a Roma da AESVI (Associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia), in occasione del Games Industry Day, al quale hanno risposto 120 studi di sviluppo (nella foto, il Presidente Paolo Chisari). In generale, cresce il numero di studi operanti sul territorio, sempre più giovani sia per età degli imprenditori (l’età media è di 33 anni) sia per età delle imprese (il 62% delle imprese ha meno di tre anni, contro il 45% della rilevazione precedente).
La mancanza di fonti finanziarie, tanto esterne quanto interne, è ritenuta in assoluto il principale ostacolo allo sviluppo, coerentemente con la ridotta patrimonializzazione e con il ridotto intervento di soggetti finanziari esterni.
Il fatturato generato dagli studi di sviluppo di videogiochi rientra nel 30% dei casi nella fascia tra i 10.000 e i 100.000 euro. Nel 44% dei casi il fatturato non supera invece i 10.000 euro. Solo un quarto circa dei casi considerati si colloca nelle classi di fatturato superiore (da 100.000 fino a 5 milioni di euro), con una maggiore concentrazione nella fascia tra i 100.000 e i 250.000 euro (15%). Rispetto alla precedente rilevazione, la percentuale di imprese con un fatturato elevato (oltre il milione di euro) è cresciuta del 5%.
La maggioranza degli studi di sviluppo di videogiochi che operano in Italia sono costituiti sotto forma di società di capitali (55%). Il settore è composto tuttavia anche da una percentuale significativa di liberi professionisti (40%). Oltre il 20% degli studi sono iscritti nel registro delle start up innovative.
La metà circa del campione (47%) ha una struttura costituita da uno a cinque collaboratori stabili. Il 42% degli studi di sviluppo di videogiochi ha invece più di cinque addetti. Il numero delle persone che lavorano in questo settore oggi – poco più di 1000 – è maggiore rispetto alla precedente rilevazione del 2014 (700 persone).
Rispetto al 2014 si osserva una maggiore organizzazione all’interno degli studi di sviluppo, con una distribuzione dei ruoli tra più persone e una ripartizione delle figure professionali in tre aree principali di competenza: management, competenze tecniche e competenze artistiche. Solo uno studio su cinque può essere definito una “one-man company”, dove un singolo ricopre tutte le funzioni produttive.
I videogiochi Made in Italy vengono esportati nella quasi totalità in tutta Europa (93%), in larga maggioranza nel Nord America (83%), e anche in Asia (64%) e in Sud America (58%).
Il Nord Italia ospita circa due terzi degli studi di sviluppo italiani (61%), seguito dal Centro Italia (22%) e dal Sud Italia e dalle isole (16%).
Il 44% degli studi ha prodotto fino a cinque videogiochi negli ultimi tre anni, con una particolare concentrazione su alcuni generi come avventura, azione, arcade e puzzle. La produzione di videogiochi si concentra in particolar modo sulle piattaforme PC, con il 37% dei titoli e in crescita rispetto alla rilevazione precedente, e quelle mobile, che registrano una contrazione e coprono il 35% dei prodotti nostrani, a cui seguono quelle console, con il 14% di titoli, e quelle online, che coprono il 13% della produzione Made in Italy.
Gli studi di sviluppo di videogiochi in Italia operano in larga maggioranza sulla base di autofinanziamenti (56%). Rispetto alle rilevazioni precedenti si rileva una tendenza, anche se per il momento non del tutto robusta, alla variazione delle fonti di finanziamento, con un’integrazione dell’autofinanziamento attraverso il supporto finanziario da parte di publisher (17% circa) o con meno frequenza di private equity (8% circa). Sostanzialmente assente il finanziamento da parte di istituzioni pubbliche e di istituti di credito (3%), mentre si segnala il crescente ricorso al crowdfunding (oltre il 7%).
Per far diventare il gaming italiano più competitivo serve un considerevole sostegno pubblico. Come ad esempio investimenti pubblici e privati. Formazione delle imprese, già costituite e ancora da costituire, in ambito business e marketing. Rafforzamento delle iniziative per favorire l’accesso degli operatori del settore al mercato internazionale. Sviluppo della committenza pubblica e privata di videogiochi non strettamente legati a finalità di mero intrattenimento (come la formazione, l’educazione, il marketing, la promozione e altro). Inclusione dei videogiochi nelle politiche culturali e diffusione di una più ampia conoscenza del mezzo a tutti i livelli.