L’adolescenza, la terra di mezzo tra il non essere più bambini e il non essere ancora adulti, è segnata dalla sfida più grande in assoluto quella di crescere, di diventare grandi, di cavalcare la vita e superare con coraggio e determinazione le innumerevoli challenge che spesso senza nessuna prevedibilità ci troviamo dinnanzi.
Si cresce nell’era digitale con una velocità fulminea che tiene il passo con l’avanzare della tecnologia e permette di avere quel tutto e subito tanto agognato dalle menti giovanile in tutte le varie contestualizzazioni storiche. Fa paura crescere, e allora non ci penso, agisco, resetto, vado avanti, mi muovo velocemente in un nuovo e magico debutto in società in cui posso vedere e avere tutto, posso confrontarmi in modo perenne con gli altri, posso segnare il mio spazio, esserci, il mio essere rappresentato, diretto testimone e spettatore dell’impresa evolutiva più difficile in assoluto: definire la mia vita e definire quelle scelte, le mie scelte, che mi permetteranno di darle un senso compiuto senza l’incertezza di un presente che spaventa e nel contempo, nell’indecifrabilità di un astratto futuro, attrae.
Affronto la sfida estrema di dare forma valoriale alla mia identità, in un nuovo fare quello digitale, che nella costante interazione tra sono qui e digito lì, mi distrae, mi da indicazioni, mi sorregge, mi indica la strada e il percorso da seguire in una sorta di Google map mentale fatto di confronti, like, osservazioni, commenti, video, che scorrono veloci e mi fanno andare avanti in modo accelerato verso la definizione del mio essere finalmente grande.
E sono illusoriamente grande se non mi perdo, se sono sempre in contatto con i miei amici che dovrebbero sorreggermi e spesso si trasformano in follower-controllori che spiano i miei profili in cerca di rassicurazioni delle loro, nostre insicurezze.
Sono grande se ho la fidanzatina o il fidanzatino sempre in contatto con me e controllo a che ora si alza, dove va, con chi esce e cosa fa nella costante direttiva delle nuove relazioni affettive che da forma digitale a contenuti ancora da costruire, conoscere e vivere pienamente nell’intimità di un qui ed ora relazionale.
Sono grande se mi diverto, non mi annoio mai, ottengo consensi con facilità esprimendo in rete i miei errori di crescita in modo caricaturale, così da coprire timidezze, incertezze, paure con il velo di quella derisione contagiosa e quel plauso corale che allontana il vissuto dell’ansia di crescere e il timore di fallire, di cadere e non trovare la mano di nessuno per rialzarsi.
Digito, allargo, scrollo immagini per sfidare e colpire il mondo con i like alla base della mia nuova crescita esponenziale. Sfido, provoco, agisco istintivamente sotto la spinta di leve dopaminergiche suscitate dalle condivisioni digitali, che sommano ma poco legano, e dalla mancanza del freno inibitorio della mia corteccia prefrontale che terminerà la sua maturazione a 30 anni, e a volte drammaticamente quando mi fermo sono perduto.
Non ho aggiunto pezzetti di me, non mi sono fortificato, non ho sedimentato consapevolezza e riflessività per attuare scelte consone alla mia ricerca di valore, ma mi sono perso, mi sono allontanato dalla terra conosciuta, amata, protetta, sicura della mia infanzia e spesso tradendo me stesso ho tranciato i legami per dissolvermi in contatti che dallo schermo mi promettevano sicurezza, protezione, cogliendo nella presenza digitale la chiave per entrare nella mia quotidianità, per conoscere le mie abitudini, per sfidarmi e sfidare il mondo.
E allora, nello sfidare il mondo digitale, nell’accettare le imprese estreme che fortificano la mia nuova struttura identitaria rendendomi visibile agli occhi del mondo, nello sfidare la noia, l’anonimato, il non brillare nel villaggio globale, scelgo di sorprendere, di intimorire, di mettere paura, di emulare chi mi ha messo paura anche solo essendo personaggio di un film, e agisco nel mondo reale per dare testimonianza di un mio sé in frantumi che vuole frantumare la mia difficoltà e precarietà nell’affrontare la challenge più difficile e temeraria in assoluto.
Ho perso, e come adulti abbiamo perso, in partenza se non ci uniamo nella definizione e nella spiegazione agli occhi dei bambini e dei giovani di quelle che veramente sono le sfide più grandi che nel corso della vita si debbono e si dovranno affrontare. Una di queste oggi è l’educazione digitale.