Il sistema delle licenze genera una perdita di 705mila posti di lavoro
Le abilitazioni professionali, quelle che si ottengono dopo un esame di Stato, sono indispensabili per lavorare come avvocato, medico, ingegnere: lo sappiamo tutti. Meno noto è invece il numero delle professioni, in Europa, per le quali è necessaria l’abilitazione all’esercizio: 5.500. E’ questo il numero dei lavori che l’Europa riconosce come appartenente alle “professioni regolamentate”.
Non solo medici, infermieri e insegnanti, a essere soggetti a regolamentazione ci sono anche agenti immobiliari, guide turistiche, apicultori, liutai, addetti alla manicure. Esistono grandi differenze tra Paesi: si va dalla Lituania, che ne ha 76, all’Ungheria, che ha ben 545 professioni regolamentate. Complessivamente il 22% dei lavoratori europei, ovvero 47 milioni di persone, è soggetto a regimi di autorizzazione. La percentuale maggiore di persone autorizzate si registra in Germania, 33%; Croazia, 31%; e Irlanda, 29%. Quella minore in Svezia, 15% e Danimarca, 14%. In Italia la percentuale è del 19%, come mostra il grafico in apertura.
Abilitazioni professionali, con requisiti meno severi fino al 9% in più di addetti
Nel mercato del lavoro esistono tre grandi tipi di regolamentazione. Il più restrittivo è quello delle professioni protette, attività che per poter essere esercitate richiedono prima un esame di Stato e poi l’iscrizione in specifici albi o elenchi gestiti dagli ordini professionali, è il caso dei notai, degli avvocati, dei medici. Ci sono poi le professioni regolamentate, anche queste richiedono di superare un esame di Stato (o il superamento di una prova pratica) ma non l’iscrizione a un albo professionale, è il caso degli insegnanti ad esempio, ma anche degli operai abilitati all’uso di una certa tipologia di macchinario.
Infine ci sono le attività per le quali la certificazione è volontaria: il caso più emblematico è quello dei badanti che possono decidere se prendere o meno il patentino di certificazione. Se da una parte la regolamentazione ha effetti positivi, perché è garanzia di qualità, dall’altra è causa di aumenti dei prezzi, minore utilizzo di certi servizi e anche minore occupazione: in Europa la concessione di licenze genera infatti una perdita di 705mila posti di lavoro. Infatti, a seconda dell’occupazione, se i requisiti di accesso venissero resi meno severi, potrebbero esserci tra il 3% e il 9% di persone in più che lavorano in una determinata professione. Non solo, aumenterebbe anche la mobilità dei lavoratori e la concorrenza.
Licenze professionali, il 35% è rappresentato da quelle per usare macchinari
In totale i lavoratori europei che hanno una licenza professionale sono il 22% di tutta la forza lavoro dei Paesi membri. Tra tutte le categorie di lavoratori che necessitano di licenza obbligatorio la fetta più grande è quella degli operatori di impianti e macchinari, 35%. Vengono poi i professionisti, 28%; troviamo quindi i dirigenti egli addetti ad attività culturali (come le guide turistiche) entrambi al 13%. Ma ci sono anche professioni che non necessitano di particolari conoscenze specifiche (naturalmente se paragonate a quelle che servono a un chirurgo) come per i lavoratori degli asili nido e gli operatori della cura alla persona, come ad esempio i badanti: queste tipologie di professioni a “bassa qualifica” rappresentano l’11% del sistema europeo delle licenze. E qui veniamo a uno dei principali problemi delle licenze che abilitano all’esercizio della professione, ovvero la loro validità al di fuori del Paese di origine.
Infatti, la non compatibilità delle licenze e i lunghi (ma anche dispendiosi) processi che bisogna fare per abilitarsi in un altro Paese, sono uno dei principali ostacoli alla mobilità lavorativa in Europa che, oltre a rendere difficile per un professionista lavorare all’estero, contribuisce anche a rafforzare le attività di lobbying che sfruttano la regolamentazione per imporre, di fatto, delle barriere all’ingresso della professione.
Abilitazioni professionali, l’aumento salariale è del 4%
I problemi di armonizzazione delle licenze non riguardano solo la validità oltre frontiera ma anche quella interna. Ad esempio in Italia per insegnare bisogna prendere la laurea magistrale e passare un esame di Stato, tuttavia nulla vieta ai presidi di assumere insegnanti anche non abilitati (addirittura anche non in possesso della laurea) per fare fronte alle carenze di organico. Situazioni come questa contribuiscono ad appiattire l’incremento salariale che dovrebbe essere collegato a maggiori qualifiche: infatti aggregando gli stipendi di tutti i lavoratori europei che hanno una licenza e confrontandoli con quelli di chi svolge la stessa mansione (o una assimilabile) ma senza licenza si scopre che le licenze professionali sono associate a un premio salariale di appena il 4%. Questa percentuale, risultato dell’analisi aggregata di tutte le 5.500 professioni regolamentate, naturalmente cambia sensibilmente da settore a settore. Per alcuni gruppi, come gli artigiani l’aumento è del 19,2%, mentre scende al 10% per le occupazioni elementari. L’aumento è invece dell’8,6% per i lavoratori dei servizi e delle vendite e del 6,3% per i gruppi professionali.