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A che età possiamo dare ai nostri figli il loro primo smartphone?

Positive siblings playing with smartphones on sofa at home

Giulia (10 anni): Sai mamma, Elena non ha il cellulare perché non è cattolica.

Mamma: tesoro, cosa significa me lo potresti spiegare?

Giulia: mamma è semplice non ha fatto la comunione e quindi non ha il cellulare.

È la voce dei bambini con la loro spontaneità a farsi portavoce dell’andamento della media del momento. Le parole di Giulia riportano in modo diretto i risultati dei sondaggi che mettono in evidenza come in Italia i bambini arrivino ad avere in mano il proprio telefonino a circa 10 anni. Come dono, in occasione della prima comunione, o come premio per essere stati promossi e poter finalmente debuttare nella società dei grandi.

Dono, che si trasforma presto con l’avanzare delle varie sperimentazioni, da oggetto transazionale che condensa il mondo affettivo dell’adolescente a oggetto di punizione, di scettro di potere che con il passare dei giorni si sfuma sulla cortina di ferro dell’incomunicabilità tra genitori e figli.

Quando finalmente i bambini possono spalancare il dorso delle loro mani nel mostrare il traguardo raggiunto dei loro primi 10 anni, le loro dita si stringono con la forza del possedere il primo telefonino a rappresentanza dell’appropriazione strutturale di un oggetto che diverrà nel corso del tempo la loro irrinunciabile protesi identitaria. Cambiamento di forma e di contenuto che da questo gesto simbolico porta ad un vero e proprio cambiamento mentale (Greenfield, 2016) sul filo invisibile del confine tra uso consapevole e abuso patologico. Si assoggetta a MIO uno strumento che tuttavia il bambino già conosce, che ha ampiamente visto nella sua duttilità d’utilizzo in famiglia, che ha già preso in mano, in prestito dai suoi genitori, già quando era molto piccolo.

Già ad un anno, due anni molti genitori infatti hanno utilizzato il telefonino come estensione della loro mano per calmare, per addormentare, per distrarre il bambino, per avere del tempo per sé sull’onda dell’etichetta rassicurante di Prensky di nativo digitale che li delegittima dall’abnegazione del loro ruolo educativo. Primi errori dell’educazione digitale che inaugurano un imprinting erroneo che poi in adolescenza diverrà inevitabilmente difficile sradicare.

Ho 10 anni, ho il mio primo smartphone e finalmente posso compiere i primi passi nel mondo digitale per far vedere a tutti quanto è innato il mio essere multitasking e come, ho appreso o non appreso nel mio contesto di crescita, dall’esempio dei miei genitori, ad essere digitalmente connesso con quella consapevolezza, spirito critico e responsabilità che Steve Jobs ipotizzava nel momento in cui ha fornito il mondo in mano al mondo stesso.

Starting point digitale che mi permette di mettermi alla prova e porre in evidenza la traiettoria educativa che ho visto e che ho intrapreso sin dall’infanzia nella mia famiglia, a scuola con gli insegnanti che mi hanno fatto conoscere le potenzialità di uno strumento che “accipicchia” non serve solo per andare su WhatsApp o per postare i vari video su Instagram nella ricerca spasmodica di aumentare il numero di follower. Starting point di vita digitale e nel contempo messa alla prova del versante educativo genitoriale.

L’essere genitori nell’era digitale è al contempo una sfida e un’opportunità e soltanto negli ultimi anni, grazie all’urlo disperato delle voci adolescenziali che ci hanno taggato come testimoni del loro disagio nelle bacheche dei social nelle forme del cyberbulllismo, del cutting, del revenge porn, delle  challenge estreme, stiamo iniziando a riflettere su una ridefinizione della genitorialità che deve ristrutturarsi sul plusvalore della digitalità come parte integrante del percorso di crescita del bambino.

Tra i due poli estremi, delle nuove forme di comunicazione derivate dall’usufruire di uno spazio digitale che ha i suoi contorni e le sue regole ben precise, e della dipendenza vera e propria, con esiti estremi come il ritiro sociale degli Hikikomori, tanti genitori si stanno chiedendo quale sia l’età giusta per inaugurare il debutto dei bambini in chiave digitale propria. Se poi questi genitori, sono icone rappresentative cult degli immigrati digitali, che testimoniano i loro errori nell’aver dato troppo precocemente il telefonino ai propri figli fino a farli assumere colpe di rapporti incrinati, come testimoniato da Madonna, dalle restrizioni di Angelina Jolie o Nicole Kidman, e dai rumors mediatici della Royal Family inglese le cui foto dei pargoli vengono immesse in rete subito dopo la nascita, la necessità di una corretta educazione digitale viene sentita a livello globale.

Necessità che si diffonde in modo epidemico sulla spinta di prassi operative volte alla costruzione di quel benessere digitale che dovrebbe democraticamente e preventivamente soddisfare tutti i genitori e tutte le famiglie, famose e non. Famiglie connesse digitalmente (Volpi, 2017) in cui la tecnologia entra, nei modi e nei tempi opportuni, lungo una traiettoria educativa digitale che tiene conto delle acquisizioni evolutive e dei ritmi di crescita del bambino, senza alterare i processi affettivi e comunicativi alla base delle relazioni primarie di accudimento.

Famiglie che sono consapevoli che educare alla digitalità è un compito primario che i genitori debbono assolvere sin dai primi momenti di scambio con il bambino che deve essere tutelato da un’immissione precoce agli schermi, sia in modo diretto, che indiretto, sullo specchio d’azione di un fare digitale genitoriale ancora poco saggio ed educativo come ad esempio fotografare e postare ogni momento di crescita del bambino. Attenzione perché la messa alla prova di una buona condotta educativa digitale avviene nel momento in cui il ragazzo avrà il suo telefonino e potrà rispecchiare con i suoi agiti la traiettoria di crescita digitale della sua famiglia.

Trampolino di lancio e fase di verifica di un’appropriazione tecnologica che potrà essere attuata in base alle linee guida nazionali i internazionali intorno ai 13 anni, sempre sull’indicazione del come costruire un benessere digitale alla base di un percorso di coerenza e resilienza che potrà mettere il ragazzo al riparo dai pericoli della rete e dal ritorno alla base sicura in caso di malessere connesso all’esplorazione online.  Occorre considerare come dato di ristrutturazione della Famiglia postmoderna che non esistono più spazi vuoti, di noia, di sosta dal gruppo adolescenziale che è onnipresente nelle nostre case rendendo più difficile la messa alla prova della famiglia nello svincolo adolescenziale che si carica di ostracismo e chiusura maggiore laddove la comunicazione affettiva non è stata alimentata nel corso della crescita dell’allora bambino e dell’oggi adolescente. L’età dei 13 anni, come valore medio gaussiano che può modularsi nella considerazione del ritmo di crescita mentale, delle necessità e dei bisogni di ogni singolo bambino e di ogni singola famiglia, può essere uno spartiacque tra un prima insieme e un dopo gradualmente da solo. Passaggio importante in cui la famiglia riesce a verificare se ha tracciato un buon percorso di educazione digitale, in quanto può delineare delle linee di condotta dell’utilizzo in relazione a quanto e come si è co-costruito insieme al ragazzo dalla nascita fino a quel momento.

Il dono in questa accezione diventa un progetto di responsabilizzazione condiviso e concordato insieme e che fino a quel momento si è sperimentato all’interno delle linee di conduzione digitale in famiglia, nel rispetto dei bisogni evolutivi e trasformativi di ciascuno nel Living in Material World che rimane il mondo primario in cui conoscerci, viverci per poi eventualmente riconoscerci e rimanere connessi nel Living in Digital World.

Bibliografia

Greenfield, S., [2015], Mind Change: how digital tecnologies are leaving their mark on our brains, Random House, New York, tr.it.; Cambiamento mentale: come le tecnologie stanno lasciando un’impronta sui nostri cervelli, Giovanni Fioriti Editore, [2016].

Volpi B., (2017), Genitori Digitali, Il Mulino.

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