Stati Uniti
Si legge spesso che senza una smart community non si può pensare e immaginare una vera smart city. Lo hanno affermato ricercatori e docenti dei più rinomati centri accademici e di ricerca di tutto il mondo, lo ha ribadito nel suo ultimo Rapporto anche la Banca Mondiale. Sfogliando le pagine di “Turn down the Heat“, uscito a giugno 2013, l’istituto internazionale con sede a Washington e nato per contrastare la povertà e aiutare a livello finanziario i Paesi più poveri, si vede subito che i fattori critici sui cui ci si dovrà concentrare nei prossimi anni, a partire dal 2014, sono in primis l’aumento delle temperature medie, l’impoverimento dei suoli, la perdita di aree verdi, l’inquinamento atmosferico e delle falde acquifere, l’innalzamento dei livelli di mari e oceani, la necessità di un maggiore coinvolgimento delle persone, delle comunità territoriali e urbane.
Proprio alle smart community o all’idea stessa di spazio condiviso in cui scambiare opinioni, rappresentare problemi e bisogni, si rivolge direttamente nell’introduzione allo studio Jim Yong Kim, presidente della Banca mondiale. La smart community può funzionare come stimolo per ricerche e progetti. Si tratta in concreto di mettere a punto, sviluppare e diffondere, le piattaforme tecnologiche che consentono le interazioni tra i soggetti interessati e qui gioca un ruolo centrale il Governo di ogni singolo Paese, o nel nostro caso anche l’Unione europea. “Serve l’azione delle comunità dal basso, oltre che delle Istituzioni centrali e locali, di attori sociali che vivono i territori e conoscono le specifiche culturali ed economiche dei luoghi, delle città, dei quartieri. Il cambiamento climatico è un rischio che corriamo tutti e non tra decenni, ma a brevissimo tempo, con gravissime conseguenze sull’economia globale e sulla nostra vita“, ha scritto Yong Kim.
Tra le problematiche più serie, toccate dal Rapporto, sicuramente le risorse idriche, il livello degli oceani e la gestione delle risorse energetiche. Tre elementi chiave anche nei progetti di smart city che sono oggi al vaglio di enti pubblici, aziende e Governi di tutto il mondo. Entro il 2050 tra il 60 e l’80% della popolazione mondiale si sposterà verso i grandi centri urbani. Oggi la media globale non arriva al 50% (a seconda dei calcoli anche il 55%). Secondo la Banca mondiale i cambiamenti climatici in atto sono alla base dei grandi fenomeni migratori che si stanno affermando negli ultimi tempi e che aumenteranno secondo i trend stimati dai principali centri di studio internazionali.
I centri urbani però, così come li abbiamo conosciuti fino ad oggi, non sono luoghi sicuri e dove meglio sopportare il caldo estremo, le alluvioni o la siccità. Le città sono spazi climatici già di per sé alterati da inquinamento, temperature più elevate del normale, accumulo di umidità e presenza di agenti patogeni particolarmente pericolosi per la salute.
In più, sono davvero numerose le città che sono state costruite in riva al mare e questo pone dei seri dubbi sulla sicurezza delle stesse e dei loro abitanti. Ecco perché le smart city dovranno tenere conto di quest’ultimo fattore e degli altri sopra elencati per migliorare la qualità della vita, la vivibilità dei luoghi e la sicurezza dei cittadini. Una più diretta partecipazione dei cittadini nei processi decisionali e nell’utilizzo dei servizi, compresi quelli di comunicazione ed informazione, garantirebbero una maggiore equità nella distribuzione delle risorse e nell’inclusione social, anche di coloro che spesso sono lasciati ai margini.
(f.f.)