Italia
Cercare di immaginare le nostre città in maniera diversa, da come tutti i giorni le viviamo, non è cosa semplice, eppure c’è chi scommette su una nuova idea di urbe: la città intelligente o smart city. Un termine utilizzato per indicare un determinato livello di vivibilità degli ambienti metropolitani in cui infrastrutture di comunicazione, integranti le più avanzate tecnologie in fibra e wireless, si combinano a device mobili e portatili, servizi e applicazioni di avanguardia, allo scopo di semplificare il quotidiano dei cittadini e delle imprese, a partire dalle abitazioni, dagli uffici e dai luoghi pubblici. Di questi e altri argomenti si è occupato il Seminario Bordoni dedicato a “Città intelligenti per uno sviluppo sostenibile“, organizzato dalla Fondazione Ugo Bordoni e tenutosi a Roma, sui quali si sono confrontati professori universitari, ricercatori, telcos e fornitori di soluzioni tecnologiche avanzate.
D’altronde, è stata la stessa Commissione Europea, nella sua Agenda Digitale, a richiedere un’attenzione speciale per il tema della città intelligenti, come presupposto per una crescita dell’economia della conoscenza, dell’inclusione sociale, del turismo, della cultura e di un ambiente più vivibile. L’evoluzione delle realtà urbane verso città intelligenti è considerata un fattore strategico per mantenere, se non per rilanciare, competitività a livello mondiale. Sono, infatti, innumerevoli, non solo in Europa, le iniziative di ricerca, i gruppi di sperimentazione, i progetti dimostrativi e le realizzazioni pilota sul territorio.
Come ha spiegato Enrico Manca, presidente della Fondazione Ugo Bordoni, le città moderne e soprattutto post-globalizzazione, sono luoghi in cui convergono tensioni di varia natura: “Le sfide dei mercati internazionali, la crisi economica, quella energetica, la necessità di uno sviluppo sostenibile, i conflitti politici e sociali, la sete di conoscenza e i grandi hub delle reti di telecomunicazione e di trasporto, nonché i processi di dematerializzazione”. In qualche modo è qui che si gioca il futuro stesso della nostra civiltà: “Quello delle smart city è un concetto multidimensionale – ha precisato Manca – che ruota intorno a sei elementi cardine, quali l’economica, la crescita della popolazione, i sistemi di governance, la mobilità, l’ambiente e la qualità della vita”.
La stessa FUB ha dedicato uno specifico piano di ricerca per individuare soluzioni innovative in termini di gestione della mobilità, di infrastrutture di trasporto, di sistemi informativi e monitoraggio. All’interno di questo progetto, ha annunciato Manca, ha preso vita un gruppo di ricerca sul tema “Modelli di business per i servizi di Infomobilità”, con il compito di studiare i possibili modelli operativi fondati sul ricorso a servizi evoluti di comunicazione per la gestione del traffico e della mobilità, per l’informazione al cittadino o per la gestione dei parcheggi. Attorno a questi temi si è tenuto recentemente un workshop, in cui si è discusso anche di mobile payment (o mPayment), al fine di approfondire, alla presenza di rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico, della Banca d’Italia, dell’Agcom e dell’Antitrust, la possibilità per gli operatori di telecomunicazioni di entrare nel mercato dei pagamenti tramite device mobile.
Temi di estrema attualità che non devono essere discussi solamente da un punto di vista tecnico o tecnologico, ma anche culturale. Non c’è sviluppo sostenibile senza trasferimento di conoscenza tra centri di ricerca, Università, Pubblica Amministrazione e mondo dell’impresa, nonchè senza governo dei processi evolutivi, a cui ogni città è sottoposta nel tempo. Nei secoli, ha affermato Enzo Pontarollo, dell’Università Cattolica di Milano e membro del CdA FUB: “Si sono sostituite le architetture delle città, i modelli di urbanistica, la composizione della popolazione e a determinare tali cambiamenti anche radicali sono stati i diversi sistemi di trasporto che si sono succeduti e che hanno alimentato i centri urbani di nuove genti e modelli di economica“. Urbe come incrocio, carrefour e cerniera tra culture e popoli diversi, tra universi di significato e di senso a volte moto distanti gli uni dagli altri.
Città come complesse reti di scambi che consentono ai cittadini di sopravvivere, aumentando al contempo la complessità dei sistemi che sottostanno a tali processi. Reti interne e reti esterne, fatte di strade, condutture per gas e acqua, infrastrutture per l’energia elettrica, le telecomunicazioni, le comunicazioni elettroniche. Reti di sicurezza, di trasporto, di sorveglianza, a cui si devono aggiungere i grandi spazi per lo scambio e lo smistamento di merci, servizi e persone, come porti, aeroporti, stazioni ferroviarie. Per questo è necessario che le città oggi e soprattutto un domani siano sempre più intelligenti, ‘smart’, perché per gestire, organizzare e far funzionare tale complesso organismo materiale e immateriale, la ‘hybrid city‘, serve una rete di comunicazione estesa e capillare su cui far viaggiare i flussi di dati, ma anche accessibile e inclusiva, gestibile in loco e da remoto.
Nella relazione di base del Seminario, affidata a Norbert Streitz del Fraunhofer Institute, esperto riconosciuto a livello mondiale nel settore delle città intelligenti e ideatore della Smart Future Initiative, si sono esplorati i diversi approcci all’idea di città intelligente. Partendo proprio dalla storia, dalle molteplici immagini che la letteratura e il cinema hanno fornito nel tempo delle città del futuro, spesso fuorvianti o troppo apocalittiche, ma in alcuni casi molto vicine a ciò che già oggi esiste. “Nel 2050 saremo 9,5 miliardi di esseri umani ad abitare la terra e il 70% sarà concentrato in aree metropolitane -ha detto il professore tedesco – ciò significa che tali aggregazioni umane e architettoniche saranno di dimensioni tali da necessitare sistemi intelligenti di gestione delle risorse e della mobilità. Qualcosa che già possiamo vedere in città come Singapore, Tokyo, Città del Messico, New York, Shanghai“. “A tal proposito – ha portato come esempio Streitz – proprio in Giappone, si parla ormai apertamente di u-Japan e non più di e-Japan, ovvero di Ubiquitous Network Society, andando oltre il concetto di nazione elettronica o digitale. Un nuovo paradigma tecnologico, sociale ed economico in cui le persone vivono in ambienti ibridi, sia fisici, sia virtuali, e possono ottenere e scambiare informazioni liberamente, in qualunque momento, da qualunque luogo e con qualunque mezzo. Grazie alla diffusione della banda larga e delle tecnologie mobili, fino ai più recenti sviluppi della domotica e delle tecnologie RFID“.
Non si tratta di città e società dominate dalla tecnologia, ma piuttosto di ‘human city’, luoghi che dovrebbero porre al centro le relazioni umane, le esigenze fisiche e mentali dell’essere umano, a cui si offrono strumenti e servizi avanzati provenienti dal mondo dell’ICT. L’aggettivo ‘smart’ deriva infatti dalla capacità delle persone di immaginare nuovi mondi, significati, modi di utilizzare gli oggetti, di disporli nello spazio, come sempre le comunità degli uomini hanno fatto nei millenni. Da questa impostazione neo-umanista e cooperativa (denominata i-Land, spazio dell’interazione, della creatività e dell’innovazione) deriva la possibilità di realizzare le nuove città del XXI secolo, ricche di tecnologia, ma attente alla dimensione umana, del singolo e del gruppo, costruite su reti di sensori, di pannelli digitali, di piattaforme touch screen diffuse, di led luminosi da indossare, di device portatili di connessione a reti wireless di piccole dimensioni, in cui la componente elettronica perderà la sua visibilità (‘disappearing computer’) per guadagnare in diffusione totale. I computer così come li conosciamo oggi scompariranno, ma non saranno gettati via, piuttosto si fonderanno ai nuovi panorami urbani, saranno inglobati e integrati nelle strutture (roomware) e negli oggetti a noi più famigliari: pareti, sedie, tavoli, automobili, muri, vetri, porte, frigoriferi, scarpe, outdoor e molto altro.
Esempi concreti di città intelligenti sono alcuni progetti a cui l’istituto tedesco sta lavorando, tra cui ‘Ambient Agoras’ e ‘Interlink’. Ovviamente, in questi scenari fantasmagorici delle ‘hybrid cities’, in cui un flusso costante di dati ci avvolge giorno e notte, la questione della privacy assume un rilievo del tutto particolare, come ha sottolineato Streitz: “Ci saranno dati in uscita, che sono i nostri, quelli che mettiamo in circolo nel sistema – ha commentato Streitz – e quelli che ci arriveranno addosso, dall’esterno, come oggi accade con lo spamming, i virus e intrusioni continue nella nostra sfera privata”. Un ambiente in cui i livelli di sicurezza saranno centrali per la tutela e la riservatezza dei dati sensibili e identificativi le persone. La nostra interazione costante con sistemi di codifica dei dati, sensibili ad ogni nostro input e a quelli provenienti dagli stessi oggetti che ci circondano, amplificano dubbi e stimolano l’immaginazione degli addetti ai lavori e dei curiosi. Un mondo come set mediatico, in cui si mettono in scena in maniera permanente manifestazioni del potere e della comunicazione, dell’economia e della cultura, questo sono e saranno le città intelligenti. A sostenerlo è stato Ruggero Eugeni dell’università Cattolica di Milano, che vede in tale ambiente densamente sensoriale, comunicativo e proattivo, un luogo di appropriazione e negoziazione continua tra istanze politiche, sociali ed economiche: “I media sono e saranno il territorio e il territorio diventerà medium. La smart city sarà il new media del potere globale”.
A portare il punto di vista del mondo della politica è stato invece Luigi Vimercati, Segretario Commissione Lavori Pubblici, Comunicazioni del Senato della Repubblica, che nel suo intervento ha posto l’accento sul ruolo della politica in un discorso prettamente tecnologico e culturale: “Un ruolo di guida e uno strumento valido per raggiungere obiettivi concreti. Concetti e termini come digitale, banda larga, virtuale, connessione, servizi avanzati, devono entrare con più forza nelle agende degli uomini politici e il Parlamento se ne deve occupare di più”. Le nuove tecnologie, ha specificato Vimercati, “Sono la leva per un nuovo rinascimento culturale e una più incisiva ripresa economica a livello globale. L’ICT – ha sottolineato Vimercati – può garantirci, come anche l’Agenda digitale Europea ha sancito, un aumento del PIL almeno del 4% in pochi anni. A garantirci questo ci sono i servizi ad alto valore aggiunto, l’eGovernmente, l’eHealth, l’eLearning, la telemedicina, il telelavoro, la banda larga. Una serie di strumenti che sono già oggi alla portata di mano di tutti noi e che presto ci permetteranno di andare oltre al concetto di città intelligente, per abbracciare quello di Nazione intelligente, perché tali sistemi non devono lasciare indietro nessuno, ma essere inclusivi di ogni individuo o comunità, urbana quanto rurale”.
Nella consueta Tavola Rotonda pomeridiana dei Seminari Bordoni, dal titolo “Ricerca e sperimentazione in Italia in tema di città intelligenti“, introdotta e moderata da Mario Frullone della FUB, si è voluto focalizzare il confronto su argomenti più pertinenti il mondo dell’economia e della user experience riferita al cittadino, che è anche consumatore, cliente finale e portatore di diritti. Ad aprire gli interventi è stato Alessandro Neri dell’Università di Roma Tre, che ha posto alcuni quesiti concernenti il grado di sostenibilità delle smart city: “Siamo così sicuri che le città intelligenti siano sostenibili da un punto di vista squisitamente economico? Quali sono i modelli di business applicabili? I cittadini sono davvero pronti ad entrare in un nuovo sistema di relazioni tra persone, oggetti e servizi di nuova generazione?”. Provocazioni, non certo critiche, ha tenuto ha sottolineare il professore della terza Università capitolina, perché le città intelligenti: “Sono sistemi complessi, che vanno dal microscopico a macroscopico, coinvolgendo Pubblica Amministrazione, abitazioni, aziende, distretti industriali e interporti. Luoghi in cui si crea il futuro”. Strutture articolate che necessitano di competenze professionali molto elevate, che mettono in gioco un fattore umano fondamentale come il lavoro, l’occupazione, parametri rilevanti in termini di coesione sociale. Quando si parla di rete non si guarda solo ad Internet, alla Rete delle Reti, ma soprattutto ad un luogo in cui si creano ambienti collaborativi, si muovono collettivi intelligenti in grado di lavorare e condividere conoscenza e strumenti. Qualcosa che ha a che fare con l’Internet delle cose e delle persone: “Come nel caso di Roma Tre – ha illustrato Neri – in cui esistono degli ambienti smart, fatti di library digitali, connessioni wireless, network di condivisione aperti, media per la produzione di contenuti audiovideo in rete e molto altro”.
Per arrivare a determinati risultati, che in alcuni casi rappresentano veri e propri pezzi di città intelligenti sparsi sul territorio metropolitano, serve però un grande lavoro di pianificazione degli interventi, nel tempo e su scala globale. Bisogna pensare che un utente, quando entra in un ambiente smart, non deve aver problemi a connettersi col suo device portatile ad esempio. Il luogo in questione deve sostenere e stimolare la proattività degli individui. Le piattaforme devono essere uniche per tutti, interoperabili e neutrali. Solo così il mercato sarà facilitato nel generare modelli di business sostenibili. E di pianificazione ha parlato anche Alessandra Rosa Ammaturo di Ericsson, che porta alcuni esempi concreti a sostegno di questo argomento: “Singapore investe in IT dal 1980 e ora parlare di smart city non è così difficile nell’isola asiatica. Ma c’è anche il caso di Erodion, con 64 chilometri di fibra ottica e diversi milioni di euro investiti”. Situazioni ambientali favorevoli alle città intelligenti, dove i servizi avanzati sono una realtà, con la possibilità per i cittadini, le famiglie e i professionisti di accedere all’eGovernment, l’ePayment o mPayment, l’ultra banda larga e gli innovativi servizi di eHealth e telemedicina, come nel caso dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, di cui Ericsson è partner tecnologico in alcuni progetti ad alto contenuto innovativo. “In tutti questi casi – ha specificato Ammaturo – è stata la Pubblica Amministrazione ad aver gestito e coordinato, assieme agli operatori privati del settore, gli interventi in fase di progettazione e messa in opera delle infrastrutture”.
Quindi ambienti collaborativi, anche da un punto di vista del reperimento delle risorse e nel rapporto di competenze tra pubblico e privato. Ma è sul ‘come’ ci si arriva alla realizzazione delle città intelligenti, che non tutti sono d’accordo, aprendo una discussione intorno a modalità e mezzi. Roberto Bisiani, dell’Università di Milano Bicocca, ha sostenuto che per ottenere una città innovativa serve una città cablata, sostenuta da una rete a banda larga efficiente in grado di sostenere la domanda di servizi e il traffico di dati e contenuti in costante aumento. “Oltre alla questione tecnologica non bisogna dimenticare altre variabili – ha commentato Bisiani – come il progressivo invecchiamento della popolazione, la presenza esagerata di device elettronici o di gadget elettronici. Per realizzare la smart city, forse, bisogna partire proprio dal concerto di smart home, di casa intelligente, perché sono i luoghi in cui gli utenti vivono la loro quotidianità e dove possono familiarizzare con questa nuova dimensione dello ‘smart way of life'”.
Sulla progettualità e il sostegno della Pubblica Amministrazione ai processi di cablatura della city è d’accordo anche Pier Paolo Marchese di TILab, perché se non ci sono standard e normative di riferimento condivise da tutti : “Sarà difficile pensare ad un passaggio rapido e semplice dalle città digitali a quelle intelligenti. Si tratta di infrastrutture innovative, che necessitano di una spinta culturale forte alla base, che solo il legislatore può stimolare”. Telecom Italia, ad esempio, ha messo in piedi un progetto che coinvolgerà ben 13 grandi città italiane, tra cui Roma, Napoli e Milano, con la realizzazione di spazi multisensoriali, ambienti multi-bearer (MBN), l’impiego di soluzioni IT per l’Energy Management, l’infomobility, il telelavoro, la telemedicina, soluzioni di pagamento elettroniche sul web e su reti mobili, fino alla smart school e allo smart commerce. Tutte soluzioni tecnologiche che garantiscono, secondo il rappresentante di TILab, nuovi ed efficienti modelli di business assolutamente sostenibili.
Ma le infrastrutture per una città intelligente sono costose e se gli utenti finali non ne percepiscono i vantaggi e la portata rivoluzionaria, in termini di sistema e di miglioramento della vita quotidiana, si rischia che gli investimenti non saranno mai remunerativi. “Il successo del web 2.0 e delle reti elettroniche – ha spiegato Maria Rita Spada di Wind – passa necessariamente per la condivisione e la cooperazione tra utenti e player, solo così il sistema potrà essere considerato sostenibile”. In tal senso, Wind Telecomunicazioni punta a sistemi intelligenti di gestione delle risorse energetiche, ottimizzandone i consumi, abbassandone i costi, stimolando l’adozione di soluzioni di eLearning, eHealth, di mobilità sostenibile, in un contesto di pieno rispetto della privacy. Un esempio pratico, ha indicato Spada, è quello di Roma a Collina Fleming (quartiere a Nord della Capitale), dove 7.400 unità abitative, in 525 edifici residenziali, saranno serviti da una rete a banda larga di 180 chilometri di fibra ottica per 26 chilometri di tracciato. Tramite questa mega infrastruttura, realizzata assieme a Fastweb e Vodafone Italia, saranno offerti ai cittadini servizi ad alto valore aggiunto, come eGovernment, eHealth e formazione a distanza, per citarne solo alcuni.
Anche a livello europeo si stanno portando avanti progetti comunitari dedicati alle città intelligenti, tra cui lo European Energy Research Area (EERA). Ne ha parlato al Seminario, in un breve intervento, Mauro Annunziata dell’ENEA, per rendere pubblica l’iniziativa che verrà lanciata a novembre prossimo in sede europea e che vede coinvolte le principali agenzie continentali, impegnate nello sviluppo di Green Technology, con l’obiettivo di mappare le principali iniziative in termini di smart city europee. Obiettivo del progetto è valutare l’impatto ambientale delle smart city e comprendere in che modo cittadini, aziende ed enti pubblici si relazionano con i nuovi assetti urbani e con una diversa concezione dell’ambiente in cui viviamo. E su quest’ultimo punto, prima della conclusione del Seminario e dei saluti finali, affidati da Frullone al keynote speaker tedesco, Norbert Streitz, ha dato il suo contributo il rappresentante di Atelier Studio Associato, Jesse Marsh, portando all’attenzione del pubblico il progetto ‘Living Lab Arenas’, in cui è previsto il coinvolgimento diretto di 5 città pilota. “Per arrivare alle smart city – ha affermato Marsh a chiusura dell’incontro – bisogna cambiare il nostro stile di vita. Le città sono intelligenti lì dove le persone cooperano e utilizzano la creatività per risolvere problemi, che riguardano il singolo e il gruppo. Bisogna dare spazio e priorità ai luoghi di condivisione delle esperienze e di pensiero collettivo, per dar forma e sostanza all’idea stessa di smart city, verso la quale, al momento, non c’è una vera coscienza collettiva”.