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MYSPACE: in saldo a partire da 100 mln di dollari

VINTI

MySpace è in vendita, per intero o a pezzi, al prezzo base di 100 milioni di dollari. Queste le intenzioni di News Corp, secondo fonti ben informate, che attende già entro il prossimo fine settimana cinque o sei offerte molto rilevanti. Una svendita, più che un’asta al miglior offerente, anche considerando che Rupert Murdoch aveva comprato MySpace nel 2005 per ben 580 milioni di dollari. Una cifra considerevole per i tempi, in confronto alla quale il prezzo di vendita odierno appare più un saldo di fine stagione che un colpo di mercato.

L’affare, semmai, lo potrebbe fare chi se lo compra MySpace che, nonostante lo stato di decadenza in cui versa, rimane sempre un brand popolare e una piattaforma abitata da circa 95 milioni di iscritti, anche se poi gli utilizzatori sono molti di meno. Tra le aziende interessate all’acquisto, anche se in via ufficiosa, troviamo: società di private equity come THL Partners e Redscout Ventures, Criterion Capital (già proprietaria di Bebo.com) e la cinese Tencent.

Nel giro di circa 4 anni, la News Corp del magnate dei media australiano è riuscita a distruggere quello che era considerato, a ragione, il social network più frequentato al mondo, con circa 125 milioni di utenti e il maggior volume di tempo speso per singolo utilizzatore. Soprattutto gli artisti e i gruppi musicali consideravano MySpace una piattaforma ricca di opportunità per farsi conoscere. Molte band, anche italiane, grazie alla rete sociale americana sono riuscite ad emergere e farsi apprezzare da migliaia di fan sparsi in tutto il mondo.

Nonostante il recente restyling grafico del sito e qualche applicazioni in più, la verità è che MySpace, a partire più o meno dal 2009, non ha saputo più competere con rivali agguerriti come Facebook e Twitter, rinunciando a rinnovarsi e a riproporsi leader in un settore in cui l’innovazione tecnologica è sempre più veloce. Per molti la parabola discendente di MySpace rimane un mistero, per altri il risultato evidente di una gestione irrazionale e tesa al profitto immediato (advertising) più che alla ricerca di strategie sostenibili di crescita, mentre spetta ora al mercato stabilire il destino di una piattaforma a suo tempo (ma parliamo di soli 3 anni fa) salutata da tutti come pioniera del social web.
 

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