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Nonostante il raggiungimento del primo milione di utenti a pagamento per i suoi contenuti musicali e la consapevolezza di essere una delle piattaforme di music streaming più seguite al mondo, non tutti negli USA sono pronti a scommettere su Spotify. Alla vigilia di un probabile lancio negli Stati Uniti e di una nuova operazione di fund raising da 1 miliardo di dollari (che vede tra gli altri investitori Digital Sky Technologies Global, Kleiner Perkins Caufield e Byers) in pochi, tra le major discografiche, credono che il progetto svedese possa rivelarsi un modello di business sostenibile.
Daniel Ek, chief executive di Spotify, ha dichiarato al Financial Times che: “Un milione di abbonati paganti rappresenta circa il 15% dei 7 milioni di utenti freemium. Un dato eccezionale e una vera e propria affermazione della nostra strategia sul mercato dei contenuti a pagamento, anche rispetto a competitor importanti come Rhapsody e Napster, fermi a circa 760 mila utenti paganti negli USA. Noi potremmo essere gli unici rivali di iTunes“. Euforia giustificata dai numeri o uno spot in vista dello sbarco negli Stati Uniti? Gli analisti di Music Ally sono decisamente più severi e hanno molti dubbi sulle reali possibilità che Spotify possa davvero rappresentare un modello per il mercato americano.
La società svedese, nata nel 2006 e dal 2008 accessibile in tutta Europa, si trova al momento in perdita di diversi milioni di sterline in Gran Bretagna e ha dovuto pagare oltre 30 milioni di euro ai titolari di diritti d’autore fino ad agosto 2010, quando la sua base di utenti pay era ferma a 750 mila abbonati circa.
Anche se i suoi potenziali clienti sono circa 8-10 milioni in tutta Europa, non è detto che questi si trasformino in utenti paganti, neanche sul lungo periodo, mentre le royalties da pagare sono ingenti ogni anno e solo con l’advertising Spotify rischia davvero di rimanere sempre in perdita.
L’azienda svedese al momento non ha comunicato una data esatta per il lancio della piattaforma musicale negli USA e non ha voluto lasciare ulteriori comunicazioni sul giro di finanziamenti che presto porteranno nelle sue casse altri 100 milioni i dollari freschi. Forse si tratta solo di un sasso lanciato nello stagno per vedere quante onde attraverseranno lo specchio d’acqua, ma di sicuro Spotify non sta incontrando il favore delle major americane che, notoriamente poco inclini ad aprire il mercato interno e più sospettose dopo il crack economico di due anni or sono, cercano ormai strutture economiche solide e progetti a lungo termine sostenibili prima di concludere affari in tempi di pericolose speculazioni finanziarie sempre in agguato.