VINTI
Sono diversi anni ormai che dentro e fuori la Cina si alimentano sempre nuove campagne pro o contro la censura di Internet. La battaglia di Google con le autorità locali, il lancio del famigerato filtro di rete Green Dam, il constante monitoraggio governativo del web alla ricerca di dissidenti e la chiusura di qualsiasi blog o sito antigovernativo, sono tutti esempi di cosa significhi andare contro Pechino. Un caso da ricordare, su tutti, rimane la drammatica vicenda dello Xinjiang.
Eppure, dall’intervista al CEO di Baidu, Robin Li, rilasciata in occasione del Summit Web 2.0 di San Francisco, sembrerebbe che in fondo tale comportamento repressivo nei confronti della rete, portato avanti da parte dei funzionai governativi, altro non è che la normalità per in paese come la Cina. “Per una grande azienda straniera che vuole entrare nel mercato cinese – ha spiegato Li – non c’è altra scelta che accettare e condividere le richieste governative, tra cui ci sono la censura del web e la pesante mano della burocrazia“.
L’amministratore delegato del potente motore di ricerca cinese, che controlla il 99% del mercato delle ricerche, non ha mezzi termini per rendere bene al pubblico americano cosa significa mettere su un’impresa di certe dimensioni nel grande paese asiatico: “Si dice spesso che Baidu sia favorita rispetto ai competitor internazionali, ma non è così. Anche noi siamo soggetti allo stesso trattamento da parte di Pechino. Andare contro il governo cinese significa avere vita difficile, non tutti possono permettersi di affrontare le conseguenze di uno scontro frontale con le Istituzioni“.
Difficile o meno, la vita di Baidu certamente è rosea e ricca di sorprese positive, con la quasi totalità delle ricerche online sotto il suo controllo e un valore di mercato che si aggira attorno ai 40 miliardi di dollari. Appena un anno fa Yahoo!, Microsoft e Google tentarono a più riprese di impossessarsi di Baidu, ma non ci riuscirono mai. A detta del suo CEO Li: “Vendere sarebbe stupido, i nostri margini di guadagno e di crescita sono ancora alti e per quanto riguarda le voci di un nostro interessamento al mercato USA sono tutte parole al vento. È un mercato saturo, non c’è guadagno“.