VINCITORI
Quante e quali sono le lingue del web? Qual è il loro stato di salute? Che rapporto hanno con i new media? Sono solo alcune delle domande a cui ha dato risposta il nuovo rapporto ‘La lingua italiana nell’era digitale‘ dell’Istituto di linguistica computazionale del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ilc-Cnr) e dalla Fondazione Bruno Kessler, parte della ricerca Meta-Net cui hanno lavorato più di 200 esperti.
Dalle pagine del documento emerge un’Italia sul web molto interessante e ricca di sorprese: “La percentuale di pagine web in italiano a livello mondiale è raddoppiata passando dall’1,5% nel 1998 al 3,05% nel 2005“, ha illustrato Nicoletta Calzolari dell’Ilc-Cnr. “È stato stimato che nel 2004 in tutto il mondo ci fossero 30,4 milioni di parlanti italiani online” e, secondo la ricercatrice, sempre osservando la rete, “al di fuori dei confini dell’Unione Europea, parlano italiano 520.000 americani, 200.000 svizzeri e 100.000 australiani“.
Eppure il quadro prospettato dal Rapporto non è del tutto positivo, anzi, “il numero di navigatori italiani negli ultimi cinque anni è rimasto stabile“, contrariamente al numero di quelli dei paesi in via di sviluppo che aumenta notevolmente, “cosicché la proporzione di coloro che parlano la nostra lingua subirà una forte diminuzione e potremmo andare incontro a un rischio di sotto-rappresentazione, specialmente in confronto all’inglese“.
Secondo i dati raccolti dai ricercatori, la penetrazione del web in Italia si attesta al 51,7%, con 30 milioni di internauti (circa il 6,3% di quelli dell’Ue) su 58 milioni di cittadini: la loro crescita è stata del 127,5% tra il 2000 e il 2010.
“Il dato è preoccupante“, prosegue Claudia Soria dell’Ilc-Cnr, “perché dal momento che le tecnologie linguistiche usate in Internet si basano su approcci statistici, se i dati messi a disposizione in una lingua sono pochi, si innesta un circolo vizioso: pochi dati, tecnologie di bassa qualità, ulteriore limitazione dell’uso di quella lingua“.
“21 lingue su 30 analizzate si collocano al livello più basso, con un supporto digitale ‘debole o assente’ in almeno una delle aree tecnologiche prese in esame (correttori ortografici e grammaticali, assistenti personali interattivi su smartphones, sistemi di traduzione automatica, motori di ricerca, etc.)”, ha spiega Soria. “L’islandese, il lituano, il lettone e il maltese ottengono questo voto per tutte le aree. Anche basco, bulgaro, catalano, greco, ungherese e polacco, con ‘supporto frammentario’, si collocano tra le lingue ad alto rischio. All’estremo opposto si trova l’inglese, seguito da olandese, francese, tedesco, italiano e spagnolo, con ‘supporto modesto’. Nessuna lingua, però, ottiene ‘supporto eccellente’“.