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Intervista a Sergio Bellucci ‘La Rai che vogliamo?…Occorre sbloccare il sistema, la Tv pubblica è una risorsa del Paese’

INTERVISTA


Mentre prosegue il confronto politico per Quirinale e formazione del governo, rimane sempre caldo il dibattito sulla televisione, evidenziato nei giorni scorsi dalla decisione dell’Agcom che ha dichiarato incompatibile Alfredo Meocci con la carica di direttore generale della Rai.

Abbiamo chiesto a Sergio Bellucci, responsabile del Dipartimento Comunicazione del Partito della Rifondazione Comunista, le sue valutazioni sul dibattito in corso.

   

K4B. Bellucci, poche ore prima della votazione parlamentare che lo avrebbe portato alla Presidenza della Camera, Bertinotti ha sintetizzato in una frase la riforma del sistema radiotelevisivo secondo Rifondazione: “Rai pubblica e dimagrimento Mediaset”. Ma in questi termini si ragiona ancora secondo una visione duopolistica o sbaglio?

 

R.      No, è l’esatto contrario. Noi pensiamo che una nuova legge vada fatta, perché la Gasparri sta impedendo lo sviluppo del settore e l’ampliamento del pluralismo, quindi contribuisce a tenere basso il livello democratico di questo Paese. La riforma del sistema radiotelevisivo deve essere prodotta attraverso un meccanismo, che da una parte definisca qual è lo spazio pubblico garantito in termini di comunicazione – perché la comunicazione non è soltanto una merce e quindi ha bisogno di garanzie che vanno al di là della semplice commercializzazione di prodotti – e dall’altro consenta a una pluralità di soggetti di stare sul mercato della comunicazione. La distinzione che ha fatto Bertinotti parte da questo assunto: da un lato c’è il servizio pubblico, che deve avere le sue regole e le sue forme; dall’altro, uno spazio privato che abbia una forma concorrenziale. Per garantire una forma concorrenziale in Italia, vista la posizione dominante del gruppo Mediaset, Mediaset va dimagrita. In qualche modo, per garantire l’apertura del mercato, bisogna fare una legge antitrust vera, e una legge antitrust non si fa in accordo col trust.

 

K4B. Quindi, destini definitivamente separati. Ma come si fa a distinguerli così nettamente, quando la stessa Rai attinge a quel mercato pubblicitario in cui le concorrenti private, Mediaset in primis, fanno man bassa e dettano le regole?

 

R.      E’ vero, il sistema è bloccato ormai da anni, però ci sono delle differenze: da un lato c’è un servizio pubblico che poggia su due gambe, due distinte risorse – canone e pubblicità – che sono definite per legge, sia nei tetti della raccolta pubblicitaria sia nell’entità del canone. Dall’altro un concorrente privato che da solo, con una posizione dominante in frequenze e canali, ha prodotto una distorsione del mercato per la quale il costo della pubblicità viene mantenuto artificialmente basso in modo da impedire la distribuzione di risorse ai gruppi più piccoli, che non sono in grado di stare sul mercato e competere in termini di qualità di programmi.

 

K4B. E allora, che fare?

 

R.      Se noi pensiamo a una apertura del mercato, dobbiamo intervenire qui. Questo significa che, per quanto riguarda il servizio pubblico, si possono pensare anche delle nuove gambe, accanto alle attuali, e quindi la possibilità di rimodulare la quantità di risorse che derivano dalla pubblicità. E per quanto riguarda il ramo privato, un intervento che ridistribuisca a più soggetti, attraverso appunto un’operazione antitrust, la possibilità di utilizzare la risorsa pubblicitaria, che è la risorsa strategica del mercato della comunicazione.

 

K4B. Quindi, separare le strategie dell’impresa editoriale da quelle della concessionaria di pubblicità…

 

R.      Non solo. Quello  è un meccanismo che va garantito, come va garantita la terzietà dell’utilizzo delle Reti. Nel nostro Paese non riusciamo a introdurre una normativa, che l’Europa ci chiede da anni, che dice sostanzialmente che chi è proprietario delle reti non può essere produttore di contenuti. Nel nostro Paese, invece, il principale produttore di contenuti è anche il principale possessore di frequenze, quindi di reti e di canali. Ecco, questo è un meccanismo che va rotto, non basta una semplice separazione societaria e il mantenimento però di un assetto di controllo che è derivante sempre da un solo soggetto, un solo padrone. Quindi, da questo punto di vista, bisogna intervenire per rompere l’equilibrio che si è determinato sino a questo momento e produrre un equilibrio più avanzato, dinamico, dove nuovi soggetti trovino le risorse per stare in campo.

 

K4B. Sembrano chiare le valutazioni su Mediaset…e la Rai? Può il servizio pubblico può continuare a produrre contenuti e al tempo stesso mantenere le infrastrutture?

 

R.      Credo che anche qui bisogna introdurre una discontinuità, non per fare simmetrie con il comparto privato, che non hanno senso, ma perché la risorsa delle frequenze a disposizione oggi del servizio pubblico radiotelevisivo a mio avviso va valorizzata.

 

K4B. E come?

 

R.      La risorse delle frequenze va separata dalla Rai, messa a disposizione di una attività pubblica e dunque non privatizzata, ma posta sotto il controllo dello Stato, affidandole una missione che riguarda la diffusione dei segnali radiotelevisivi della Rai; dei segnali radiotelevisivi di soggetti che oggi vorrebbero produrre contenuti e non possono avere le frequenze per fare questa operazione; e anche altre operazioni di comunicazione sociale come ad esempio quelle che si cominciano a intravedere attraverso l’utilizzo del protocollo di Internet, il protocollo IP, per la diffusione di contenuti e di servizi in maniera mobile, cioè legate alle tecnologie di tipo cellulare. Ecco, io credo che compiendo un’operazione di questa natura nel nostro Paese produrremmo un avanzamento della qualità dell’offerta di contenuti da parte del servizio pubblico, che si concentrerebbe nella gestione dei contenuti, attraverso lo sganciamento di questa rete pubblica e l’affidamento a una società statale della sua gestione. Questo consentirebbe anche il recupero di risorse interessanti per garantire alla Rai una “terza gamba”, diciamo, rispetto a canone e pubblicità, e quindi la possibilità di avere più risorse per la componente pubblica e nel contempo la liberazione di risorse pubblicitarie da affidare al settore privato.

 

K4B. La Rai non è solo una grande azienda editoriale, è anche la memoria storica del Paese, con grandi archivi e teche, audio e video. Come valorizzare questo patrimonio?

 

R.      Qui bisogna produrre un’innovazione. Bisogna fare un salto che significhi non la dispersione, ma anzi la valorizzazione di un patrimonio così importante come quello delle immagini accumulate dal servizio pubblico in questi decenni. E a mio avviso, il segreto sta nell’impostare l’utilizzo dei diritti di queste immagini in modo innovativo, cioè utilizzando quello che in questi anni il dibattito sul diritto d’autore e il copyright ha indicato come una via d’uscita possibile, nella discussione. Quei contenuti sono stati prodotti  e pagati con denaro pubblico, sono quindi già di proprietà della collettività, e dovrebbero essere a disposizione della collettività che li ha prodotti, perché i proprietari in qualche modo sono i soggetti che in questi anni hanno pagato il canone e hanno garantito all’azienda Rai di vivere, di accumulare quelle risorse e quei contenuti. Nel contempo, io credo che non sia giusto l’utilizzo commerciale di quei contenuti: e quindi, bisogna separare l’utilizzo sociale che si può produrre attraverso quei contenuti dall’utilizzo di natura commerciale. L’uso commerciale io credo che debba essere pagato, e pagato bene, in modo da contribuire, attraverso questo meccanismo, al recupero delle risorse che servono per il funzionamento del servizio pubblico di domani.

 

K4B. E allora come si potrebbe procedere?

 

R.      Le modalità possono essere molteplici, dal punto di vista tecnico, ma se sia assume questa dimensione di scelta politica strategica, possiamo produrre un doppio binario: uno che riguarda l’utilizzo sociale del patrimonio culturale, l’altro rappresentato dall’uso commerciale, in sintonia con quella che a nostro avviso deve essere la sistemazione del settore. Da una parte il servizio pubblico, che svolge una funzione generale e complessiva di natura varia – non solo informativa, culturale, ma anche di divertimento, di intrattenimento, cioè un servizio pubblico largo – e dall’altra parte il servizio di natura commerciale, che risponde a logiche puramente dirette dal mercato della risorsa pubblicitaria. Da questo punto di vista, la riforma può contenere caratteristiche molto interessanti di innovazione, e aprire anche fasi di sperimentazione per l’utilizzo delle nuove tecnologie legate al digitale, fare da apripista a nuove forme di relazioni di contenuti e pubblicazione/gestione/”sfruttamento” di questa risorsa strategica che è la cultura e la comunicazione.

 

K4B. L’utilizzo “non commerciale” mi pare riferito a terzi o la stessa Rai ne è vincolata?

 

R.      La commercializzazione da parte della Rai può servire a recuperare risorse. Credo però che ci possano essere mille fattori, mille necessità da parte del corpo sociale, di associazioni gruppi individui che vogliono produrre un racconto, un reportage, un documentario, non per scopi commerciali, ma semplicemente per raccontare una storia attraverso la penna della multimedialità – e quindi l’utilizzo di una risorsa di immagini è fondamentale per quel tipo di scrittura  – e che a mio avviso hanno il diritto utilizzare questi archivi per garantire la possibilità di comunicare una loro necessità. Ma questo senza scopo di natura commerciale, senza cioè dopo voler vendere quel prodotto sul mercato.

 

K4B. Mi verrebbe voglia richiederle chi decide, a quel punto, la natura culturale o commerciale di un’operazione?

 

R.      Ci sono esperienze che cominciano a prodursi a livello mondiale in questo senso. Faccio riferimento per esempio ai codici dei “Creative Commons“: prevedono veri e propri contratti con caratteristiche specifiche. Ad esempio, se la produzione, la distribuzione di un prodotto, vengono fatte in maniera non commerciale,  l’uso dei materiali è di tipo gratuito; se invece quel prodotto entra nel circuito commerciale, ha il dovere di pagare a caduta i diritti che derivano dall’utilizzo delle fonti, ecc.

 

K4B. Ma crede veramente che alla Rai si possa applicare la cultura dei “Creative Commons”?

 

R.      Sono degli esperimenti, anche di natura legale, molto interessanti, e credo che noi dovremmo cominciare a sperimentarli, perché nei prossimi anni il confine dei prodotti di natura culturale collocati fra il commerciale e il non commerciale si allargherà. Tra l’altro, questo porterebbe una ventata di innovazione nella sperimentazione dei linguaggi e dei contenuti, che oggi è bloccata dal fatto che è difficile avere a disposizione delle banche di dati e immagini, degli archivi di filmati, e quindi la gente ha difficoltà ad esprimere alcuni contenuti. Invece, se noi aprissimo a questa sperimentazione il servizio pubblico, produrremmo da un lato una grande quantità di materiale “non profit“, di cui qualcosa diventerebbe “profit”, e nel momento in cui quel prodotto assumesse la forma della commercializzazione produrrebbe a caduta una ricchezza per tutta la filiera, sia per chi l’ha prodotto, sia per chi ha fornito i materiali d’archivio, per chi ci ha lavorato e così via. Questa dei “Creative Commons” è un’ipotesi che si comincia ad affacciare nel mondo proprio per la necessità di mettere una regola all’utilizzo delle tecnologie digitali: non aspettiamo che siano altri a sperimentarla e a imporcela, proviamo noi a definirne i contenuti e le modalità, sperimentiamo le forme, e apriremo le porte a una nuova fase.

 

K4B. In questi giorni sono state poste sul piatto della nuova maggioranza di governo diverse ipotesi sul futuro della Rai, vogliamo vederle sinteticamente? Comincerei con la questione della privatizzazione. Lasciare due Reti alla Rai e venderne la rimanente, quella per così dire più di natura “commerciale”?

 

R.      Noi siamo assolutamente contrari alla privatizzazione di un pezzo della Rai. Il servizio pubblico è già, rispetto all’offerta di natura commerciale, un piccolo pezzo. Va semmai riorganizzato, ripensato, rimodulato, ma sicuramente non ridotto.

 

K4B. E la pubblicità? L’idea di un canale depurato dalla pubblicità è sempre valida?

 

R.      Può essere una delle forme di sperimentazione. Noi nella precedente legislatura di Prodi del ’96-’98 trovammo un accordo su una sperimentazione di questa natura. Possiamo provare a sperimentare un canale della Rai senza pubblicità oppure una modulazione diversa tra i canali, che consenta di testare forme nuove di produzione di contenuti.

 

K4B. Allora, passiamo alla radio: calano degli ascolti, manca un piano editoriale e delle frequenze. Il mezzo è sempre grande, ma sembra in difficoltà. Come rilanciare la radio? E’ un settore strategico o un ramo secco da tagliare?

 

R.      La radiofonia sta dimostrando in questi anni una vitalità che qualcuno aveva sottovalutato. Addirittura per qualcuno la crescita del settore è stata una cosa imprevista. Io credo invece che la radio sia una ricchezza profonda, sia per facilità d’utilizzo sia per capacità di contatto. La Rai deve ripensare completamente la radiofonia, perché in questi anni invece la radiofonia è stata lasciata a se stessa, e questo meccanismo ha prodotto un abbassamento qualitativo, e quindi anche del livello degli ascolti.

 

K4B. Intanto i processi di innovazione tecnologica incalzano, anche nei confronti della radio….

 

R.      L’innovazione nella radio è un aspetto fondamentale, dovremmo avere il coraggio di portare anche la radiofonia sul digitale rapidamente, per garantire a una forma più alta di soggetti di fare contenuti radiofonici e anche di mettere accanto dei servizi che possono essere gestiti attraverso dei terminali molto più leggeri di quelli televisivi.

 

K4B. Vorrei concludere riportandola sul tema della proprietà della Rai. Il progetto di una holding, previsto anche dal programma dell’Unione, con due società, una finanziata dal canone e l’altra dalla pubblicità, è sempre valido?

 

R.      L’ipotesi della struttura ad holding della società, che è contenuta nel documento del programma dell’Unione, è una delle ipotesi di lavoro, ovviamente. Ma questo non significa che dentro il programma ci sia scritto di aprire al capitale privato questa holding, che invece può e deve restare interamente pubblica. Dall’altra parte, credo vada assolutamente respinta l’ipotesi di separazione, in termini societari, tra una parte sostenuta dalla pubblicità e pezzi che vivono con il canone. Quello che l’Europa ci chiede è una separazione contabile, io credo che su questo bisogna stare con i piedi per terra e garantire quello che ci viene richiesto, cioè la separazione contabile, non certo la separazione societaria.

 

K4B. Rinunciare al canone o anche parzialmente alla pubblicità….si potrà fare a meno dell’uno o dell’altra?

 

R.      Al canone non si può rinunciare, alla pubblicità neanche, si può rimodulare la risorsa pubblicitaria, trovare un’altra risorsa integrativa e rimodulare quindi i contributi che consentono all’azienda di vivere. Certo non bisogna ipotizzare, da questo punto di vista, una riduzione delle risorse complessive che vanno oggi al servizio pubblico.

 

A cura di Raffaele Barberio

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