Stati Uniti
Si riaccende la polemica sulla net neutrality negli Stati Uniti. Stavolta ad aprire un nuovo fronte di dibattito, tra fornitori di contenuti online e Isp, è YouTube, la piattaforma di video streaming di Google.
Ricordiamo che negli Stati Uniti, la sentenza Verizon-Netflix ha aperto una nuova via, quella dell’accordo tra content provider ed ISP per garantire la qualità dei servizi di video streraming specie nelle ore di punta per il traffico online.
In questo senso, Netflix, che è un gran divoratore di banda, ha siglato intese con Comcast e Verizon, per assicurarsi una buona qualità del suo servizio e lo ha fatto senza nascondere una forte protesta per il fatto che, a suo dire, i costi ricadono sui fornitori di streaming.
Adesso che il governo americano è al lavoro per predisporre nuove regole sulla net neutrality.
Le posizioni a riguardo sono diverse e contrapposte: da un lato ci sono i fornitori di servizi come Netflix, Amazon o Google e dall’altro lato gli Isp che devono potenziare le loro reti per fronteggiare l’urgenza dell’aumentato traffico e soprattutto garantire servizi di qualità.
Tutto questo però ha un costo. Chi lo pagherà? I fornitori di contenuti finora si sono sempre defilati mentre gli ISP vorrebbero che contribuissero ai costi delle infrastrutture di cui si servono.
YouTube e Netflix hanno evitato di andare allo scontro diretto e stanno seguendo altre vie.
Un chiaro esempio di questa ‘strategia’ potrebbero essere gli avvisi che stanno apparendo sui monitor degli utenti quando lo streaming si blocca o subisce rallentamenti.
Nel messaggio di Netflix si legge chiaramente: ‘La rete di Verizon è affollata in questo momento’.
Apparentemente potrebbe sembrare un innocuo avviso di servizio, ma secondo alcuni, è strumentale e servirebbe ai content provider per scrollarsi di dosso la responsabilità e far capire agli utenti che la ‘colpa’ del disservizio è degli Isp. Verizon lo ha definito ‘fuorviante’ e ha minacciato azioni legali, spingendo Netflix a fare un passo indietro.
Google è andata anche oltre e ha creato un apposito sito dove gli utenti possono avere informazioni sulla qualità dei servizi internet dei provider per zona. Il gruppo fa insomma una sorta di pagella agli Isp.
Dalla loro gli internet provider sostengono che l’affollamento delle reti è inevitabile e i servizi video dovrebbero trovare strade meno congestionate per la trasmissione dati, compresi i collegamenti diretti con gli Isp, per i quali devono ovviamente pagare.
Se in passato, quando la Federal Communications Commission ha predisposto le regole sulla net neutrality, le web company si sono apertamente schierate, partecipando attivamente al dibattito, adesso preferiscono seguire le vie secondarie, ma l’intento resta lo stesso: evitare di partecipare ai costi delle infrastrutture.
Sulla questione, Luigi Gambardella, presidente di ETNO, l’Associazione europea che rappresenta i principali operatori di telecomunicazioni, ha osservato, c’è un “equivoco di fondo: condivido il principio di Open Internet ma non posso accettarne l’interpretazione ‘free Internet, free lunch’. I costi per il potenziamento delle infrastrutture di rete devono essere pagati”.
Jim Cicconi di AT&T parte dall’assunto che il consumo di banda da parte dei servizi di video streaming ha raggiunto livelli record. Questo richiede interventi da parte degli operatori per potenziare le loro reti.
Per gestire questo traffico, ha aggiunto Cicconi, le aziende devono dotarsi di maggiore capacità di banda. Se Netflix ha bisogno di maggiore banda, ha spiegato il manager di AT&T, il provider dovrà fornire la capacità necessaria che risponda alle nuove richieste. E questo significa anche che Netflix avrà maggiori visualizzazioni e allargherà la propria base utenti.Come conseguenza, ha precisato Cicconi, AT&T dovrà essere pronta a offrire capacità di trasporto tali da supportare il nuovo traffico di Netflix.
“Non è giusto – ha ribadito Cicconi – che Netflix chieda che gli Isp lo forniscano senza alcuna spesa, gratis”.