Call center, nuovo richiamo dei sindacati: modificare le norme sugli appalti per evitare il collasso

di Alessandra Talarico |

L’attuale normativa sugli appalti, sommata a un sistema d’incentivi economici insensato, sta determinando gravi disfunzioni e continue crisi aziendali che si scaricano solo sui lavoratori, vittime di un sistema che non ha uguali in Europa.

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Call Center

Modificare la legge sugli appalti ai call center, una disciplina iniqua e non conforme alle norme Ue, per salvare il settore dei call center. È quanto chiedono i sindacati di categoria Slc-Cgil,  Fistel-Cisl e Uilcom-Uil in una lettera unitaria al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Ministero dello Sviluppo Economico ed alla XI Commissione – Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati.

Le rappresentanze sindacali chiedono l’intervento urgente delle istituzioni e sottolineano ancora una volta, dopo aver portato i diversi problemi dei sindacati in piazza lo scorso 4 giugno, come la normativa sugli appalti abbia “creato uno spazio aperto all’arbitrio e alla corruzione che impedisce l’applicazione delle tutele previste dall’art. 4 l.n. 428/90 e le garanzie previste dall’articolo 2112 c.c.” , contravvenendo a quanto previsto dalla Direttiva Europea 2001/23/CE che prevede il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.

“Tale vuoto normativo – sottolineano i sindacati – che si somma a un sistema d’incentivi economici insensato, sta determinando gravi disfunzioni, compromettendo e condizionando negativamente la politica industriale del Paese, con continue crisi aziendali che si scaricano unicamente sui lavoratori, vittime ignare di un sistema che non ha uguali in Europa”.

 

Esemplificativi dello stato del settore, i casi di Accenture, che si è vista revocare   anticipatamente l’appalto commissionato da British Telecom (fornitore del servizio di telefonia del Ministero del Lavoro). Appalto spostato su un altro fornitore che non assumerà i 280 dipendenti di Palermo. C’è poi il caso Voice Care che ha licenziato da un giorno all’altro i 200 dipendenti spostando la commessa di Seat Pagine Gialle su un’altra azienda controllata da Contacta, la stessa che controllava Voice Care, provvedendo ad assumere nuovo personale e spostando i costi dell’operazione sui lavoratori e i contribuenti.

E ancora, il caso Infocontact, che in Calabria (tra Lamezia Terme e Rende) occupava 1.500 persone su commesse di Wind, Poste Italiane ed Enel e ha avviato la procedura fallimentare. I committenti stanno negoziando l’entrata di nuovi fornitori, lasciando i lavoratori nel limbo dell’incertezza riguardo il loro futuro.

 

Nel mirino dei sindacati anche il ‘dumping’ generato dalle agevolazioni statali e regionali, finite le quali le aziende chiudono per riaprire magari nella città o nella regione accanto: un esempio eloquente di quest’andazzo è quello della Phonemedia-OmiaNetwork, che nella sola regione Calabria aveva ottenuto oltre 11 milioni di euro di FSE per l’occupazione allo scadere dei quali hanno perso il posto oltre 12.000 lavoratori (tra il 2009 e il 2011).

 

Un gioco sporco, insomma, sulla pelle dei lavoratori e dei contribuenti, che si fanno carico dei costi legati agli ammortizzatori sociali, e che fiorisce grazie anche a pratiche come le gare al massimo ribasso, diffuse e utilizzate anche dagli enti pubblici che appaltano i loro servizi ad aziende esterne e che premiano imprenditori senza scrupoli che puntano tutto sul profitto.

 

Questi esempi, denunciano ancora i sindacati, non sono che la punta dell’iceberg.

E il peggio deve ancora venire perché se non si interverrà con  urgenza, nelle prossime settimane più di un migliaio i lavoratori potrebbero restare a casa e, paradossalmente, non perché il lavoro non esiste più ma perché magari verrà  spostato nella Regione accanto (per approfittare di nuovi incentivi) o al di fuori dei confini nazionali per avvantaggiarsi dei minori costi. E così, in nome delle famigeratedelocalizzazioni selvagge, mentre il principale operatore di call center italiano, Almaviva contact, ha attivato la solidarietà al 25% per i suoi 10.000 dipendenti e continua a perdere volumi e commesse, in Romania e Albania lavorano, per conto di aziende italiane, almeno 7 mila persone.

 

È tempo, insomma, di intervenire, apportando delle semplici modifiche normative così da applicare correttamente la normativa europea, come hanno fatto la maggior parte degli altri paesi: per fare in modo che all’atto della cessione di un ramo d’azienda, i lavoratori mantengono diritti e tutele e non perdano il lavoro, sarebbe sufficiente applicare anche al settore dei call center le procedure dell’art. 2112 del codice civile.

 

La sollecitazione arriva mentre i sindacati attendono ancora la convocazione del secondo incontro col Governo, che doveva essere fissato per la metà di questo mese: un impegno che sembra caduto nel dimenticatoio, mentre le vertenze aperte – senza un rapido intervento – rischiano di sfociare in una nuova, ennesima, emergenza sociale.

Ricordiamo che il settore dei call center – tra inbound e outbound  – occupa sono circa 80.000 persone (il 63% dei quali al Sud) per un giro di affari di 1,3 miliardi di euro.

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