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‘La Rai è un lusso e va privatizzata’. Intervista al giornalista William Ward

Italia


La Rai sta attraversando forse uno dei momenti più difficili della sua storia. Oggi i dipendenti sono scesi in piazza per protestare contro i tagli da 150 milioni di euro imposti dal governo Renzi con il DL Irpef, il Cda sta procedendo con il piano per la quotazione in Borsa della società delle torri RaiWay, c’è da trovare un urgente soluzione per l’evasione del canone che, secondo le ultime stime, è a quota 450 milioni.

A maggio 2016 scadrà, inoltre, la Convenzione Stato-Rai per la concessione del servizio pubblico per la quale proprio ieri il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli ha annunciato un’ampia consultazione che, ispirandosi al modello britannico, interroghi i cittadini sulla “idea di servizio pubblico“.

Da tanto tempo ormai si parla di riforma della Rai e spesso si cita come esempio proprio la BBC. Ne abbiamo parlato con William Ward, corrispondente londinese del Il Foglio e di Panorama e collaboratore fisso di Radio Tre Mondo che lavora per la Rai da più di trenta anni.

Key4biz. Spesso, parlando di riforma della Rai, si cita la BBC. Che cosa hanno in comune e in cosa differiscono queste due grandi tv pubbliche?

William Ward. Tra Rai e BBC ci sono moltissime differenze sia strutturali sia etiche e politiche. Hanno in comune solo il fatto d’essere due sistemi radiotelevisivi e internettiani nazionali, pagati in gran parte con i soldi degli abbonati: la BBC al 100% perché non prevede la pubblicità mentre per la Rai attraverso un sistema misto.

Le diversità sono tante. La prima è sicuramente che in Italia c’è una costante interferenza sulla Rai dell’establishment politico. Mi viene da citare la metafora di Enrico Mattei, (il grande signore del petrolio italiano di mezzo secolo, ndr) per dire che la Rai è come un taxi da dove i politici salgono e scendono. E’ un mega carrozzone ed evidente non solo per chi come me conosce profondamente le strutture interne, ma anche per chi guarda i programmi che vanno in onda. In Inghilterra questo non esiste per nulla, anzi non è neanche minimamente pensabile. Qui vale la meritocrazia.

Key4biz. Qualcuno già parla di privatizzazione della Rai. Come la vedrebbe?

 

William Ward. Rispondendo in modo teorico e idealistico la privatizzazione della Rai sarebbe un’ottima cosa, lo Stato italiano così indebitato non può più permettersi questo lusso.

Il problema è che ne privatizzarla, cosa che sarebbe auspicabile, la difficoltà oggettiva in Italia sarebbe di assicurare quello che noi inglese chiamiamo level playing field, per garantire un accesso equo a tutti in Rai e sappiamo che questo sarebbe difficilissimo da garantire. Come spesso accade nel vostro Paese, infatti, invece di trovare l’esprit de corps si finirebbe per remare contro e questo sicuramente andrebbe a vantaggio di Mediaset.

Il mio modesto suggerimento sarebbe che ci fosse un riassetto globale di tutti i sistemi radiotelevisivi e di internet per rivedere tutto alla luce dello sviluppo tecnologico degli ultimi 20 anni aggiornandolo alla realtà di oggi.

In Inghilterra si farà tra due anni quando si rinnoverà la famosa Charter costituzionale della BBC, che sarà riscritta tra le forti pressioni delle lobby nel 2016 e si prospetta, se saranno i conservatori attualmente al governo a vincere le elezioni del prossimo maggio, un riassetto molto radicale.

Ovviamente ci saranno forti opposizioni ma, a differenza di quanto accade in Italia, le deliberazioni del governo vengono alla fine accettate e non succede, come da voi, che le note lobby scendano in piazza e paralizzino tutto.

 

Key4biz. Parliamo della crisi della Rai. Quali sono secondo lei le ragioni?

William Ward. Il dissesto della Rai è decennale. Matteo Renzi è stato il primo leader politico ad aver avuto il coraggio, probabilmente dettato dall’estrema necessità del problema, ad affrontare la crisi economica della Rai.

Gli impiegati oggi pagano anni di errori accumulati dai propri predecessori e dai capi che hanno gestito male l’azienda.

Lo spreco all’interno della Rai, non è un mistero, è notevole. Ci ho lavorato per trenta anni, tuttora come collaboratore esterno, e ho sempre notato quanto gli impiegati – sia amministrativi che “creativi”, facessero poco o niente, perché il lavoro veniva sdoppiato da/con collaboratori esterni. Chi lavorava di più era il personale a tempo determinato.

Si è sempre agito così: si triplicavano le risorse e c’era sempre una persona esterna chiamata a fare il lavoro affidato a due o tre impiegati interni, con qualifiche stratosferiche, che passavano il tempo a girarsi i pollici. Queste sono ormai informazioni di dominio pubblico. A un certo punto è arrivato Renzi e…ha chiuso le danze.

Key4biz. In Inghilterra non è così?

William Ward. Assolutamente no. La BBC ha un’organizzazione elefantiaca, dove lavorano tutti. Il problema è semmai un altro. La Tv pubblica ha un impero al pari delle multinazionali di internet come Google o Amazon. L’organizzazione è così efficiente da battere la concorrenza al punto da creare quasi un monopolio nell’informazione.

La BBC ha saputo sfruttare bene anche l’exploit di internet. Oggi BBC News è uno dei portali più seguiti nel mondo, anche se a discapito di altre player che cercano di lavorare in questo campo. La BBC ha una posizione privilegiata e a volte ne abusa, ma del resto è anche vero che di fronte ai grandi broadcaster internazionali è un bene per la Gran Bretagna poter essere rappresentata da un ente prestigioso e High Profile.

Key4biz. Come si spiega che in Italia ci sia un’evasione del canone così elevata?

William Ward. Fra gli italiani o comunque tra la maggior parte di loro c’è una totale mancanza di senso dello Stato.

Da 35 anni mi divido tra Italia e Inghilterra e mi sento cittadino di entrambi i Paesi. Posso quindi dire con cognizione di causa che un inglese, ma anche uno straniero che vive in Inghilterra, si sente uno stakeholder della Res Publica mentre in Italia, a parte la bellissima Costituzione e tutta la retorica democratica repubblicana, manca del tutto questa concezione.

Ovviamente anche per un inglese pagare un canone annuo di 148 sterline (170-175 euro circa) è abbastanza oneroso, ma si paga perché le sanzioni previste per gli evasori sono altissime e poi perché in una cultura protestante come la nostra la ‘furbizia’ non viene tollerata mentre invece viene guardata con più indulgenza in società con una matrice cattolica come l’Italia.

A questo bisogna poi aggiungere anche l’insoddisfazione del telespettatore per la programmazione Rai che non corrisponde evidentemente alle esigenze maggiormente sentite. Trovare una soluzione contro l’evasione non è quindi una cosa così ovvia.

Key4biz. Che ruolo viene riservato agli abbonati della BBC?

William Ward. Alla BBC c’è molta attenzione nei confronti delle esigenze dell’utente e non solo per fare audience ma anche per rispettare un preciso codice deontologico del contenuto. La BBC fu fondata da John Reith nel 1922 e i suoi tre comandamenti ‘to educate, to inform and to entertain’ (Istruire, Informare e Divertire) sono ancora il suo punto di riferimento. Qualsiasi dibattito rispetto ai contenuti si riconduce sempre a quel paradigma dei cosidetti “Reithian values” – i valori etici “reithiani”.

Key4biz. In che modo internet sta influenzando il servizio radiotelevisivo pubblico?

 

William Ward. Si parla sempre più spesso in Inghilterra del modello della Tv, perché quella tradizionale via etere, così come i giornali su carta stampata, sta per morire. Ormai tutto passa in internet e da noi in maniera molto più decisa rispetto a quanto sta avvenendo in Italia.

C’è molta gente ormai che non ha più un televisore in casa perché guarda via web e in diretta le trasmissione della BBC e delle reti commerciali private su laptop o tablet.

Al centro del dibattitto odierno c’è appunto la possibilità di estendere il canone anche a chi guarda la BBC sui dispositivi mobili e intorno alla volontà di trasformare il modello classico di abbonamento alla BBC in un subscription service si sta consumando un grosso dibattito sia etico che politico.

Al centro della discussione anche il servizio i-Player della BBC che permette di scaricare un’app, per seguire in tutto il mondo, trasmissioni radiofoniche gratuitamente e parte della programmazione tv. L’intenzione sarebbe di far pagare il servizio anche all’estero. Alla fine anche la BBC dovrà aggiornarsi alla rivoluzione avviata da internet.

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