Brasile
Con lo scioglimento di Telco, che dovrebbe concretizzarsi a partire da questo mese di giugno, e la partita brasiliana ancora tutta da giocare, torna alta l’attenzione su Telecom Italia: la società telefonica ha da poco varato la nuova governance cercando così di avvicinarsi al modello di public company e guarda con attenzione agli investitori cosiddetti ‘attivisti’, ossia – nella definizione del prof. Gianfranco Gianfrate, docente corporate finance all’Università Bocconi – di quei “fondi di investimento, o talvolta di singoli investitori professionali, che acquisiscono quote di minoranza in società quotate e cercano di ottenere elevati ritorni sull’investimento aumentando il valore della società target mediante incisivi cambiamenti nel modo in cui queste sono gestite”.
Questa forma di investimento, molto più diffusa negli Usa che in Europa, non spaventa Telecom Italia, anzi – a detta del presidente Giuseppe Recchi – “può rappresentare una grande opportunità” oltre che uno “stimolo per le grandi società quotate ad esaminare con attenzione diverse soluzioni per creare valore per tutti i soci”.
Recchi, dal canto suo, ha ribadito la necessità di “coinvolgere tutti gli azionisti a favore di un dialogo aperto, trasparente e costruttivo”. Un proposito encomiabile, ma che si scontra con lo scetticismo del numero uno di Findim, Marco Fossati che dopo essersi fatto promotore del cambiamento della Governance, nell’Assemblea dello scorso dicembre, la scorsa settimana ha inviato un esposto alla Consob per denunciare il “controllo di fatto” di Telco su Telecom. “I tempi saranno rapidi” ha fatto sapere il presidente Consob Giuseppe Vegas.
La società, intanto, prova a prendere le misure del proprio futuro: per il consigliere di Laura Cioli (ad di Cartasi) cominciare “da un numero di consiglieri indipendenti così alto può essere un buon punto di partenza”. Ma la situazione appare quanto mai fluida, soprattutto se si guarda al Brasile, dove è in atto una partita cruciale per il gruppo italiano.
Negli ultimi giorni, in concomitanza con il nuovo viaggio in Sud America del Ceo Marco Patuano, si sono registrate nuove prese di posizione sul dossier, con GVT che è scesa in campo per frenare il presunto progetto di suddividere Tim Brasil tra gli operatori attivi sul mercato mobile locale, ossia Oi (Portugal Telecom), Claro (Carlos Slim) e Vivo (Telefonica). Lo spezzatino, tornato in auge dopo i rumors circolati ad aprile, sarebbe servito subito dopo le prossime elezioni di ottobre, secondo alcune fonti di stampa. In questo modo, Telefonica potrebbe aggirare l’ultimatum dell’antitrust brasiliano, che ha intimato al gruppo di diluire la propria quota in Vivo o di abbandonare ogni interesse in Tim Brasil. Il valore della controllata brasiliana, che conta 74 milioni di utenti mobili e 75 mila clienti a banda larga, si aggira intorno ai 13 miliardi di euro e Marco Patuano ha più volte ribadito l’importanza strategica per Telecom Italia, sottolineando, invece, la ‘complementarietà’ del business con quello della controllata di Vivendi.
Lo ha fatto anche oggi, confermando che “Tim Brasil per noi è un core asset quindi come tale lo stiamo gestendo”.
Il fatto nuovo è che ora anche GVT si è schierata apertamente contro lo spezzatino di Tim Brasil, chiedendo alle autorità di bloccarlo e dicendosi pronta a collaborare perché il piano non venga portato a termine, per il bene dei consumatori.
“L’idea di spezzettare Tim e di venderla ai tre principali operatori mobili sul mercato è impensabile nell’attuale” perché, secondo GVT, questo porterà inevitabilmente a un “aumento dei prezzi, a un abbassamento delle qualità del servizio e sarà un freno per gli investimenti in un settore che risulta già arretrato rispetto agli standard internazionali”.
Contro la vendita di Tim Brasil si sono schierati anche Marco Fossati e l’associazione dei piccoli azionisti Asati.