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Call center: lavoratori in piazza il 4 giugno per salvare il settore

Italia


Il popolo dei call center lascia le cuffie per un giorno per fare sentire la sua voce in Piazza. È prevista una massiccia adesione allo sciopero indetto il prossimo 4 giugno a Roma dai sindacati per dire basta alle delocalizzazioni selvagge, alle gare al massimo ribasso, ai cambi di appalto senza nessuna garanzia per i lavoratori, in difesa di un comparto che impiega circa 80 mila persone in prevalenza al Sud e che rischia di collassare.

Il settore è in crisi da molti anni ma non tanto perché manca la domanda di servizi (sono sempre più numerose le aziende e gli enti pubblici che affidano i rapporti con i clienti e col pubblico ai call center), quanto perché non ci sono regole certe e quelle che ci sono per lo più non vengono applicate. Una situazione desolante se si pensa che i call center sono sbarcati in massa in alcune regioni, le più svantaggiate, sfruttando agevolazioni statali e locali per offrire occupazione soprattutto alle donne a ai giovani, molto spesso con in tasca una laurea.

Ma la conquista si sta rivelando effimera e amara, perché il più delle volte, una volta finiti i fondi le aziende chiudono o delocalizzano, ed è per questo che assume particolare importanza l’apertura, nei giorni scorsi, di un tavolo di confronto con le parti sociali al Mise, da cui è emersa la disponibilità delle istituzioni a porre le basi di un nuovo percorso, finalmente costruttivo.

Il 4 giugno, solo dalla Calabria arriveranno a Roma 10 autobus, ma da Milano a Palermo la mobilitazione è altissima.

 

Ma cosa chiedono i lavoratori dei call center?

Come ci ha spiegato il segretario nazionale della Uilcom-Uil, Salvo Ugliarolo, “Al governo chiediamo di fissare regole certe, di porre fine alle gare al ribasso che spingono alla delocalizzazione selvaggia e alle agevolazioni che dopano il mercato; di regolamentare i cambi di appalto per meglio tutelare i lavoratori; di far rispettare quelle poche regole attualmente in vigore ma che troppo spesso vengono ignorate; di ridurre l’Irap, che attualmente incide per l’80%”.

Una realtà paradossale quella dei call center, in cui i committenti – molto spesso enti pubblici – indicono gare al massimo ribasso, insostenibili economicamente per chi le vince se non portando il lavoro all’estero, nei paesi in cui la manodopera costa la metà: se, ad esempio, un lavoratore in Italia costa circa 18 euro l’ora (a cui vanno aggiunti svariati altri costi, come l’affitto dei locali), in Albania costa 5 euro. I consumatori italiani, tra l’altro, avrebbero il diritto di sapere se l’operatore a cui si rivolgono sta rispondendo dall’Italia o dall’estero, in base alle disposizioni dell’art.24 del decreto sviluppo, ma questo non avviene

 

La manifestazione del 4 giugno (su Facebook la pagina ‘No Delocalizzazioni Day’) assume quindi particolare importanza anche per ribadire che lo Stato “non può più permettersi di fare gare al ribasso al di sotto dei minimi contrattuali” e avallare un sistema le cui incongruenze si ripercuotono non solo sui lavoratori che vivono il dramma del licenziamento, ma anche sulla collettività, su cui ricadono i costi degli ammortizzatori sociali. Oltre al danno, insomma, anche la beffa.

“L’aspettativa verso questo governo è molto alta – ci ha detto ancora Ugliarolo – perché abbiamo rilevato una sensibilità nuova dopo anni di estraneità alle istanze dei lavoratori del comparto”.

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