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Net neutrality? Gli accordi tra telco e ISP ci sono sempre stati

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L’accordo negli Usa tra Netflix e Comcast per garantire alla prima una maggiore qualità di connessione è stato definito come ‘senza precedenti’, ma un’analisi effettuata Dan Rayburn, analista e consulente del blog streamingmedia.com, dimostra che non è affatto così: sono infatti almeno un centinaio gli accordi di interconnessione a pagamento già in essere tra ISP  e fornitori di contenuti.

Viene, insomma, meno il principale argomento dei sostenitori della net neutrality, ossia che l’approvazione di accordi a pagamento tra le telco e aziende come Google, Amazon o Facebook – verso i quali si sta muovendo la FCC – sarebbe un pericolo per l’internet come lo conosciamo ora.

 

Dalla tabella realizzata da Rayburn, sfruttando dati pubblici degli ISP (basta solo sapere dove andarli a cercare) si evince abbastanza chiaramente chi paga chi, ed è evidente che questo tipo di contratti è in essere oltreoceano da tanto tempo e che alcuni ISP americani hanno dozzine di accordi operativi.

 

 

I dati, certo, non chiariscono la portata degli accordi, le dimensioni economiche o altri dettagli ma a questo punto, nessuno potrà più dire che si tratta di intese che stravolgeranno la natura di internet. Perché è così che internet funziona da almeno due decenni.

 

Nella sua analisi, Rayburn sottolinea altresì che non è affatto vero che agli ISP non costa quasi nulla aggiungere porte alle loro reti o che la loro capacità è pressoché illimitata: si tratta di resoconti inaccurati perché “aggiungere porte e connessioni cablate alla loro infrastruttura comporta un costo diretto per gli ISP” e neanche tanto economico.

Sostenere il contrario sarebbe come dire che il corriere che sta portando un pacco nel mio quartiere potrebbe consegnarmi il mio gratis perché tanto è già nelle vicinanze. Una tesi un po’ fallace, diciamo.

 

“Mettiamola in un altro modo: che succederebbe se Google, Apple, Netflix, Facebook, Ebay e Microsoft chiedessero tutti allo stesso ISP accordi di peering con capacità illimitata in diverse città? Qualcuno penserebbe che gli ISP dovrebbero offrire ai fornitori di contenuti quel servizio gratis? E se in ogni caso questo avvenisse, non sarebbe comunque un trattamento di favore accordato ai grandi provider a discapito dei competitor più piccoli?”, si chiede Rayburn

“Penso – aggiunge – che tutti concorderebbero che non sarebbe corretto, eppure è quello che tutti stanno suggerendo dovrebbe accadere”.

Anche la tesi secondo cui gli ISP fanno già pagare gli utenti per l’accesso a internet non è così valido come si potrebbe pensare perché “la connessione degli utenti riguarda la banda larga, non i costi dell’infrastruttura per le terze parti”.

 

“Storicamente le aziende come Netflix hanno sempre pagato per i servizi di transito” che corrispondono più o meno alle spese di spedizione di Internet.

“Il 60% dei clienti broadband che non usano Netflix – conclude Rayburn – non dovrebbe pagare per i costi di transito/interconnessione degli altri perché Netflix ha deciso che i suoi costi dovrebbero ricadere su tutti i clienti dell’ISP”.

Se, insomma, qualcuno vuole usare Hulu o Amazon ha il sacrosanto diritto di farlo ma i costi che questi fornitori di contenuti devono pagare per sostenere i loro servizi non devono ricadere sugli utenti che i video non li guardano ed è per questo che esistono e sono in essere gli accordi di interconnessione.

“Questi costi – conclude Rayburn – stanno dove sono sempre stati, inclusi, cioè, nel servizio specifico. Dire che si tratta di una novità senza precedenti è semplicemente falso”.

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