Italia
Salvaguardare il patrimonio tecnologico del nostro paese, superare il gap e i ritardi endemici di digitalizzazione che affliggono l’Italia, creare un ponte fra mondo della ricerca e imprese per lo sviluppo di soluzioni ICT. E’ questo l’obiettivo della FUB (Fondazione Ugo Bordoni) che oggi a Roma nella sede del CNR ha organizzato la seconda giornata di confronto tra istituzioni della ricerca e aziende ICT per la fertilizzazione dell’ecosistema dell’innovazione. All’evento “Ricerca Scientifica e sviluppo competitivo dell’ICT” – sotto l’altro patronato del Presidente della Repubblica – hanno partecipato Alessandro Luciano, presidente FUB, Angelo Marcello Cardani, presidente Agcom, Mario Frullone, direttore Ricerche della FUB, Luigi Nicolais, presidente CNR, Gabriele Falciasecca, Professore Università di Bologna, Ruben Razzante, Professore Università Cattolica di Milano, Licia Califano, Commissario Autorità garante per la protezione dei dati personali, Elio Catania, presidente Confindustria Digitale, Flavio Corradini, Rettore Università di Camerino, Rita Forsi, direttore Istituto Superiore delle Comunicazioni e dell’Informazione (Mise), Livio Gallo, Direttore Infrastrutture e Reti Enel, Stefano Besseghini, amministratore delegato RSE, Paolo Riccardi, Presidente Aubay Italia, Agostino Ragosa, Direttore AGID (Agenzia Italia Digitale).
Superare il gap della ricerca
“Il nostro obiettivo è aprire un tavolo che coinvolga la Pubblica Amministrazione, gli operatori, la politica e il mondo della ricerca scientifica per recuperare i ritardi dell’Italia nell’ICT – ha detto Alessandro Luciano, presidente della FUB – Basti pensare che l’European Research Counsel ha erogato doni in ricerca per 575 milioni di euro complessivi a livello europeo, e che ben 46 ricercatori italiani hanno ottenuto un totale di 80 milioni per i loro progetti, soltanto due milioni in meno dei colleghi tedeschi e più degli inglesi e dei francesi. Di questi 46 ricercatori italiani, però soltanto 20 lavorano in Italia. E’ sconfortante che 50 milioni di euro assegnati a ricercatori italiani finiscano all’estero”. Il problema dell’Italia rispetto alla Germania, leader europeo nel mondo della ricerca, è che a fronte di una consistente fuga di cervelli, non si registra “l’arrivo di ricercatori stranieri in casa nostra – aggiunge Luciano – fra i motivi di questo fenomeno, la scarsa attenzione della politica nei confronti della ricerca”. Nel 2011 l’Italia ha investito appena l’1,25% del PIL in ricerca a fronte di una media europea del 2,35%. Non stupisce quindi che il numero di start up e spin off nel nostro paese sia insufficiente.
Ritardi inspiegabili
“Ci sono ritardi nell’ICT in Italia che sono inspiegabili, a meno che non si faccia una deduzione di buon senso. Le cose capitano per accidente, ma non continuano per accidente”. Lo ha detto il presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, aggiungendo che. “c’è una serie di resistenze” rintracciabili nella “struttura burocratica italiana” visto che “l’Ict è nemico dell’inciucio, della burocrazia che perde tempo”. La burocrazia ha mille strumenti per intervenire, ma un’azione di questo tipo “frega l’intero sistema” e “l’ostacolo all’agenda digitale contribuisce a mantenere lento lo Stato”.
Cardani ha ammesso come in Italia “l’incidenza della spesa della ricerca sul PIL sia inferiore alla media europea, ma non è talmente inferiore da spiegare i ritardi” riscontrati.
Cardani ha poi detto che “la quantità di enti che si occupano di ricerca in Italia è biblica – ha detto – la ricerca sta diventando una greppia potenziale alla quale tutti vogliono sfamarsi, senza porsi il problema del raggiungimento di risultati”.
ICT, Italia priva di un piano industriale
Detto questo, in Italia non c’è carenza di enti enti di ricerca, anzi. “Enti universitari e di ricerca ce ne sono diversi nel nostro paese – dice Mario Frullone, Direttore Ricerche della FUB – la difficoltà è quella del tessuto industriale del nostro paese, incapace di assorbire i suoi contributi. Nella lettera del presidente Renzi e del ministro Madia ai dipendenti pubblici, al punto 16, si parla della necessità di riorganizzare la ricerca pubblica, aggregando i 20 enti pubblici. Quello che colpisce è che fra questi enti non ve ne sia nemmeno uno che si occupa soltanto di ICT. Un altro punto riguarda il fatto che il Piano nazionale delle ricerca (PNR) sia stilato dal MIUR, senza il contributo del MISE nella sua fase di definizione”.
Una situazione, quella della ricerca in Italia, su cui pesa la mancanza di una “presenza forte delle aziende manifatturiere (ad esempio Telecom Italia e Rai), che in passato invece era fortissima, nella definizione delle politiche industriali del paese – aggiunge Frullone – In passato, anche Confindustria era un cardine per indirizzare le politiche industriali. Oggi invece decide l’Europa, con i rischio per l’Italia di essere colonizzati nelle nostre scelte di politica industriale”.
E mentre in altri settori, ad esempio, quello energetico, esiste un ecosistema forte, basato sulla collaborazione fra enti di ricerca come Enea, grandi player come Enel e Eni, con la vigilanza del MISE, nel settore dell’ICT “manca un intervento forte di indirizzo del MISE – dice Frullone – Si può dire che ci pensa l’Europa con i 70 miliardi di fondi nel quadro di Horizon 2020. Ma ogni paese ha una storia diversa, ad esempio in Italia non c’è la TV via cavo. L’Italia nell’ICT ha una sua storia, che non si può delegare all’Europa. Manca in Italia un luogo di confronto istituzionale dove discutere temi importanti come ad esempio il futuro della banda a 700 Mhz, la banda ultra larga, il futuro della tv o i ponti radio. Non si può più andare avanti con tavoli emergenziali, serve un luogo deputato a discutere la politica industriale dell’ICT, secondo me dovrebbe essere il MISE”.
Agenda Digitale
Sull’intero programma nazionale dell’Agenda digitale “stiamo procedendo in velocità con il premier Matteo Renzi”. Lo ha detto il direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid), Agostino Ragosa, rassicurando sui processi del programma di digitalizzazione del Paese a margine del convegno. “Stiamo andando velocemente e molto importante sarà l’impulso che arriverà dal ‘Digital Venice’ a luglio prossimo”, assicura ancora Ragosa riferendosi al summit che si terrà a Venezia i primi di luglio prossimo, fortemente voluto dal premier Renzi.
Ragosa ha aggiunto che “bisogna far capire ai decisori del Governo quanto sia importante l’ICT, in questa partita è importante che ci sia anche il MISE – ha aggiunto – il digitale è la chiave dell’economia, non può restare soltanto a Palazzo Chigi e alla Funzione Pubblica”.
Ricerca e Università
“In passato la ricerca in Italia era sostenuta da grosse aziende e da centri di ricerca di grandi multinazionali, come ad esempio IBM ed Ericsson – ha detto Gabriele Falciasecca, Professore Università di Bologna – adesso invece le grandi aziende multinazionali o non ci sono più o non hanno più centri di ricerca”.
I ricercatori, inoltre, sono in fuga dall’Italia: “Il nostro paese è uno di quelli che spendono meno per singolo studente”.
Una tendenza che va invertita, “perché la ricerca è centrale per lo sviluppo del paese e per essere competitivi – dice Luigi Nicolais, presidente CNR – Abbiamo assoluto bisogno di innovare nella PA e nelle aziende, l’ICT è fondamentale e implica un cambio profondo di mentalità nell’ottica della digitalizzazione della PA e della condivisione del dato”.
Tanto più che l’ICT “ha un ruolo trasversale che investe tutti i settori dell’Università – dice Flavio Corradini, Retto Università Camerino – ingegneria, economia, medicina, giurisprudenza, economia sono tutti ambiti in cui il peso dell’ICT è molto sentito. Il problema della ricerca accademica, semmai, è che essa ha troppo spesso un impatto troppo scarso sullo sviluppo di soluzioni sul mercato”.
Regia nazionale
Sulla stessa linea , Ruben Razzante, Professore Università Cattolica di Milano: “le aziende hanno delle aspettative rispetto al mondo della ricerca – dice – c’è una sottovalutazione dei decisori rispetto al ruolo della ricerca per la crescita. C’è troppa burocrazia. Le aziende lamentano la frammentazione delle diverse iniziative di ricerca e la mancanza di un ecosistema nell’ICT e nelle Tlc; manca una regia nazionale. L’Italia non riesce a mostrare efficacia di investimenti in ricerca applicata. Secondo le azie3nde, serve anche una cabina di regia istituzionale per mettere a sistema i finanziamenti europei”.
Sul fronte della privacy
“Il Garante non vuole assolutamente porsi in contrasto alle nuove tecnologie, che però non devono violare i diritti fondamentali delle persone – ha detto Licia Califano, commissario Commissario Autorità garante per la protezione dei dati personali – certo, le potenziali esigenze di condivisione dei dati impongono nuove frontiere al Garante”.
“Un contributo alla ricerca in Italia può arrivare dall’Istituto Superiore delle Comunicazioni e dell’Informazione del MISE – ha detto il Direttore Rita Forsi – i laboratori dell’istituto sono il nostro perno. Siamo concentrati sul settore wired, wireless e sulla certificazione di sicurezza e qualità dei servizi. Il nostro obiettivo è coordinarci con altri enti di ricerca e far sì che i fondi pubblici non giacciano inutilizzati”.
Le aziende
“Ricerca e sviluppo di nuove soluzioni sono anelli importanti della catena dell’innovazione nell’ICT – dice Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale – Ma nell’ICT si investe soltanto il 22% dei fondi complessivi dedicati alla ricerca e si è impoverita la presenza di centri di ricerca e multinazionali. Ci sono 25 miliardi di euro che il paese non investe in ICT. Questo gap si è creato negli ultimi 12 anni, paradossalmente con l’ingresso di Internet nel nostro paese, dove mancano le condizioni per lo sviluppo: mancano le grandi aziende e manca anche il venture capital”.
Internet of Things
“La digitalizzazione sta cambiando l’economia, con la capillare diffusione di sensori – ha detto Livio Gallo, Direttore Infrastrutture e Reti Enel – in questo settore dell’Internet of Things la ricerca è importantissima anche in ottica smart city. I fondi europei per questi progetti sono consistenti, 95 milioni di euro per le smart city”.
Ma oggi per le aziende “sostenere la ricerca ICT è arduo – dice Paolo Riccardi, presidente Aubay Italia – gli asset intangibili oggi non sono percepiti come un valore. Tanto più che la mole burocratica per accedere ai fondi è enorme. I progetti di ricerca, inoltre, sono lontani dallo sviluppo di soluzioni concrete, mentre le start up nel nostro paese scontano il deficit di credibilità da parte delle banche”.
Infine, una testimonianza che arriva dal settore dell’energia. “Il mondo dell’energia è stato ristrutturato dalla privatizzazione dell’Enel – dice Stefano Besseghini, amministratore delegato RSE – è vero che per quanto riguarda il mondo della ricerca è necessario un referente industriale per lo sviluppo di soluzioni applicative ben definite”.