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Diritto all’oblio. Giuseppe Busia (Garante Privacy): ‘Sentenza Ue, Google vincolata alle leggi degli Stati membri’

Europa


“Con la sentenza della Corte di Giustizia Europea si stabilisce un importante principio sulla competenza territoriale nei confronti di giganti come Google”. Così il Segretario Generale del Garante Privacy, Giuseppe Busia ha commentato la sentenza con la quale la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che un motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali da esso effettuato anche se gli stessi appaiono su pagine di terzi.

Il dibattito sugli scenari aperti dalla sentenza sono stati al centro del dibattito della puntata del 18 maggio di “Presi per il Web“, trasmissione di Radio Radicale condotta da Marco PerducaMarco Scialdone e Fulvio Sarzana con la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi e che ha visto anche la partecipazione di Alberto Gambino, Ordinario di Diritto Privato presso l’Università Europea di Roma e Direttore Scientifico di Dimt.

 

Entrando nel merito del ruolo del Garante privacy nella gestione degli effetti immediati della sentenza, Busia ha poi spiegato che “…noi siamo il soggetto che, nel caso in cui Google o altri motori di ricerca non soddisfino le richieste di rettifica, cancellazione o aggiornamento dei dati che arrivano dagli utenti, potrà essere interpellato per far sì che le norme vengano rispettate. La nostra competenza – ha aggiunto Busia – deriva dal fatto che la Corte ha riconosciuto come, nonostante la compagnia abbia sede al di fuori dell’Unione Europea, essa ha una divisione nazionale che si occupa della vendita di pubblicità ai soggetti economici italiani, e che questa attività sia strettamente legata a quella del motore di ricerca. In Italia, così come in tutti i Paesi dell’Unione, è questo un dato sufficiente a obbligare Google a rispettare le leggi di ogni Stato membro nel quale opera”.

E sulla funzione svolta dal Garante durante il percorso che ha portato alla decisione della Corte di Giustizia, Busia ha dichiarato: “Noi a suo tempo abbiamo mandato una memoria e l’avvocatura dello Stato, e quindi il Governo, l’ha fatta sua, e quindi come nella sentenza è dichiarato chiaramente noi siamo di fianco agli spagnoli nel sostenere le tesi che poi la Corte ha certificato nella sentenza”.

 

Per il Prof Alberto Gambino, “La richiesta di rimozione dei link ai motori di ricerca è una tutela estrema e subordinata, andrebbe in realtà aggredita la fonte originaria dell’informazione”.

“Occorre tenere in considerazione il caso specifico dal quale ha avuto origine la sentenza della Corte”, ha spiegato il giurista, secondo cui, però, non si può negare che “…in una dinamica più generale la deindicizzazione pone nuove criticità”.

La prima riguarda il potere che in tal modo si conferisce ai motori di ricerca, sui quali ricadrà “un’ampia discrezionalità che qualcuno ha giustamente definito ‘para-costituzionale’, perché non ci sono automatismi e quindi essi dovranno valutare se dare seguito o no alle richieste di rimozione sulla base dei principi di pertinenza delle informazioni, adeguatezza, eccessività e tempo”.

Secondo Gambino, inoltre, è essenziale che nella fase applicativa della sentenza venga  aggredita “la pagina originaria che contiene i dati”, considerando “la rimozione dei link dai search engine si configura come una tutela estrema e subordinata”.

Positive sarebbe invece, secondo Gambino, le ricadute della sentenza sulla tutela dei soggetti più deboli, come i ragazzi vittime di stalking o episodi di bullismo, le cui tracce, spesso molto imbarazzanti, restano all’interno dei vari social (uno fra tutti il famigerato Ask.com) e vengono indicizzate dai motori di ricerca.

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