Europa
L’abolizione del roaming e le nuove misure sulla net neutrality votate dal Parlamento europeo nell’ambito delle votazioni sul pacchetto ‘Connected Continent‘ servono davvero a raggiungere l’obiettivo di un’Europa più digitale e competitiva?
L’obiettivo originale della proposta del Commissario Neelie Kroes era infatti quello di “sfruttare tutte le fonti di crescita per uscire dalla crisi, creare nuovi posti di lavoro e riguadagnare competitività”, ma difficilmente questi target potranno essere raggiunti con misure che andranno a indebolire le telco, già alle prese con 5 anni consecutivi di calo dei ricavi.
Come sostenuto già da diversi analisti, le nuove regole sul roaming andranno a creare le basi per il cosiddetto ‘arbitraggio mobile’, consentendo, cioè, agli utenti di acquistare schede sim e servizi nei paesi in cui costano di meno – come la Lituania – e usarli dove i prezzi sono più alti, come la Gran Bretagna. Prezzi più alti dovuti però al fatto che le tasse e i costi dello spettro in UK sono considerevolmente più alti.
Le nuove regole sul roaming, quindi, sono una manna…ma per gli speculatori finanziari, dice un nuovo report di Strand Consult.
La Ue, consapevole del pasticcio, ha cercato di minimizzare sostenendo che comunque il piano è soggetto a condizioni di ‘uso ragionevole’. Clausole che sono però ancora tutte da definire e che potrebbero trasformare i viaggiatori abituali europei in trasgressori inconsapevoli delle nuove regole, oltre che dare il via in un sistema di monitoraggio delle comunicazioni che altro che la NSA americana, peraltro ferocemente criticata dalla Commissione.
Questo esito grottesco delle nuove regole sul roaming fa il paio, ed evidenzia ulteriormente i problemi della net neutrality in Europa, spiega Strand Consult: “se, infatti, le nuove regole proteggono il traffico web da pratiche di blocco e monitoraggio, creano, però, un nuovo regime di blocco e monitoraggio dei cittadini e impediscono agli operatori di gestire al meglio le reti di loro proprietà per garantire a tutti gli utenti un’esperienza ottimale”, dicono gli analisti.
Per non parlare delle oscure definizioni di ‘managed service’ “che minacciano di ridurre la capacità degli innovatori di stipulare contratti con gli operatori di rete per ottimizzare la distribuzione di servizi con una migliore qualità”.
Il risultato inevitabile di queste regole? “servizi di minore qualità per tutti”, spiega ancora Strand che prevede anche in questo caso un forte rischio di pratiche di arbitraggio, con gli imprenditori del digitale che sceglieranno di offrire i loro servizi nei paesi o nelle regioni in cui sarà possibile stipulare accordi che li mettano nelle condizioni di offrire i servizi che gli utenti domandano.
Sembrano passati secoli (e non 10 anni) da quando l’Europa era una potenza digitale in grado di impensierire gli Usa, da quando, cioè, i sei principali produttori di cellulari erano europei e il GSM, sviluppato in Europa, era lo standard globale per le comunicazioni mobili.
Oggi, invece, l’Europa arranca: i principali player del settore digitale – da Apple a Google, da Facebook ad Amazon – sono americani (15 delle prime 25 web company mondiali sono nate negli Usa, solo una è europea), i maggiori produttori di device sono asiatici o americani, gli investimenti nelle reti sono crollati da un terzo a meno di un quinto del totale mondiale. Solo il 26% degli europei è raggiunto dall’LTE (contro il 97% negli Usa) mentre la fibra ottica resta ancora un miraggio per la gran parte dei cittadini, nonostante gli ambiziosi obiettivi dell’Agenda digitale.
Ecco perché è ancora più sorprendente che un pacchetto di riforme partito per creare un ‘continente connesso’ e competitivo, si sia trasformato in un mega spot elettorale che a nulla servirà per recuperare il gap nel digitale.