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Diversi studi sono stati condotti negli ultimi anni sugli effetti della pirateria online sulle vendite di musica. I risultati sono stati contrastanti: c’è chi dice che non ci sarebbero effetti negativi, anzi; chi sostiene che sia riscontrabile una relazione ‘moderatamente negativa’; chi, ancora, sostiene che la pirateria sia la causa principale del crollo delle vendite di musica. Ma un nuovo studio suggerisce che anche YouTube potrebbe essere chiamato in causa.
Scott Hiller della Fairfield University e Jin-Hyuk Kim della University of Colorado Boulder hanno esaminato l’impatto sulle vendite di musica dei siti di video-sharing come YouTube e della disponibilità di musica gratuita on-demand attraverso piattaforme legali.
I due ricercatori usano come punto di partenza un evento del dicembre del 2008, ossia la decisione di Time Warner di ritirare i video dei suoi artisti da YouTube e giungono alla conclusione che il portale di video-sharing costa alle major circa 40 milioni di dollari l’anno.
I risultati del confronto tra le vendite di 40 album Warner presenti nella classifica Billboard Album 200 e gli artisti di etichette ancora presenti su YouTube sono quanto meno curiosi: dopo aver analizzato diverse variabili – come il genere musicale e le caratteristiche specifiche dell’album – i ricercatori sono giunti alla conclusione che i principali artisti Warner hanno venduto di più nel corso del blackout dei loro video su YouTube, durato circa nove mesi.
“Abbiamo dimostrato che la rimozione dei contenuti da YouTube ha avuto un impatto causale sulle vendite di album, con una crescita di 10.000 unità in media a settimana per i migliori album”, riferisce lo studio, che stima in quasi 1 milione di dollari l’anno il danno economico per i ‘top album’ della Warner. Una percentuale significativa dei ricavi totali della major.
La ricerca indica altresì che non sempre, come molti sostengono, YouTube serve come strumento promozionale, non certo per gli artisti da top ten.
È difficile però quantificare il danno complessivo provocato da YouTube, visto che i ricavi pubblicitari ricevuti dal sito portano nelle casse delle major somme importanti.
Sebbene lo studio non riesca a provare che YouTube costi all’industria musicale più di quanto gli restituisca sotto forma di ricavi pubblicitari, i risultati sono comunque interessanti perché mostrano che non è soltanto la pirateria ad aver causato il calo delle vendite di musica, ma vi sono anche altri fattori, del tutto legali, da prendere in considerazione.