L’Agenda Digitale è morta! Ora tutti aspettiamo il ‘salto di rana’

di di Raffaele Barberio |

Nel digitale si gioca una partita della vita, che deciderà se resteremo un Paese competitivo o no. Se saremo un Paese moderno o no. Se saremo un Paese proiettato verso il futuro o insabbiato nel passato.

Italia


Raffaele Barberio

L’Agenda Digitale italiana è morta o forse non è mai nata.

Non parliamo di base installata di computer negli uffici della PA o nelle abitazioni o nelle scuole.

Parliamo di procedure.

Parliamo, sul versante del fare, di tagli drastici agli innumerevoli passaggi burocratici inutili che hanno gemmato nel corso dei decenni per assicurare rendite di posizione o strumenti di deterrenza e condizionamento di questo o quel funzionario.

Parliamo, sul versante del non fare o del non far fare, del blocco posto da tutti coloro che non amano la trasparenza amministrativa, la tracciabilità di ogni finanziamento pubblico, la cristallina assegnazione di gare pubbliche e il controllo in tempo reale dello stato di avanzamento lavori.

Del resto un Paese come il nostro, che di fronte alle piccole problematiche (spesso appositamente costruite) che sorgono in ogni ufficio pubblico ha sviluppato e legittimato un’intera struttura di potere sulla solita frasetta: “…c’è purtroppo qualche problema sulla tua pratica, ma se vai nella stanza in fondo al corridoio c’è una persona che può darti una mano, presentati a mio nome…”.

Vai a parlare di digitale in questo contesto.

Ma lungi dal ridurre il tutto alle resistenze di un singolo dipendente, va sottolineato che l’intero sistema si è patologicamente sviluppato nei decenni in questa direzione.

Basta addentrarsi in uno dei tanti uffici delle regioni italiane (specialmente in alcune di esse), dove prevale su tutto la giungla delle relazioni legate alle strutture di potere locali, per avere riscontri tangibili di questo stato mentale.

Ora provate a parlare di Agenda Digitale in questi uffici!

Un altro grande equivoco è stato quello della presunta insensibilità della classe politica italiana.

“I politici – hanno ripetuto molti tecnofan di casa nostra – devono sforzarsi di capire quanto può essere importante per il Paese la modernizzazione digitale...”, convinti di dover rivestire il ruolo di evangelizzatori di una classe politica incapace di prendere coscienza delle potenzialità taumaturgiche del digitale.

Nulla di vero.

A chi di voi non è capitato di assistere a battute di questo o quell’assessore che rivolto al proprio Presidente o al proprio Sindaco non abbia (furbescamente) detto: “…ma lasciamo giocare i ragazzi su internet, noi purtroppo abbiamo altre priorità, abbiamo i lavoratori fuori con tamburi e fischietti…”.

La classe politica italiana, o buona parte di essa, sa invece bene quale sia la portata del digitale nella modernizzazione del Paese.

Sa bene che lo sviluppo del digitale potrebbe drasticamente assicurare efficienza alla macchina amministrativa del Paese (cosa che alcuni politici non vogliono, perché questo scardinerebbe il loro sistema di potere) e sa ancor meglio che potrebbe drasticamente ridurre quelle spese sanitarie che oggi coprono tra il 60% e l’80% della spesa regionale italiana.

Un’enormità fatta di sprechi, ma siamo certi che la classe politica locale, o buona parte di essa, voglia effettivamente ottimizzare la spesa sanitaria?

Ora, per avviare la modernizzazione digitale del Paese, avremmo dovuto mettere in atto una serie di misure, anche piccole, per aggredire ciascuno dei settori della vita organizzata, al servizio dei cittadini, delle imprese e dei consumatori.

Nel giugno 2010, al lancio dell’Agenda Digitale europea avrebbe dovuto seguire l’impegno dei singoli Paesi, in direzione dei nuovi servizi previsti dai pilastri lanciati dal Commissario Neelie Kroes.

L’Italia è rimasta al palo, con le sole cose, pur rilevanti fatte nel decennio precedente, segnato dai ministri Lucio Stanca, Luigi Nicolais e Renato Brunetta.

Abbiamo aspettato due anni per nominare, non senza uno strascico di polemiche, un manager di provata esperienza come Agostino Ragosa alla guida dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID), ma lo abbiamo bloccato prima con la mancata approvazione dello Statuto che gli riconoscesse i poteri e poi con la presenza di un commissario presso la Presidenza del Consiglio, con pieni poteri, ma con un mandato a tempo per 9 mesi, comprensivi di una pausa estiva, che poco hanno prodotto (dal momento che i tre progetti citati come avvio della digitalizzazione del Paese – fatturazione elettronica, anagrafe digitale, identità digitale –  erano stati già avviati precedentemente).

Ora c’è stato un cambio di governo.

Abbiamo da un anno un Parlamento ampiamente rinnovato e con un abbassamento significativo dell’età media dei parlamentari.

Ma tutto ciò è valso a poco.

E ben poco hanno fatto gli ultimi due governi.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi (che twitta già in prima mattinata) ha promesso scintille e ci aspettiamo da lui un cambio di passo.

Ma nel frattempo, va ricordato, è cambiato lo scenario di contesto europeo.

L’Europa sta andando al voto e l’avvio della nuova legislatura e della Commissione Europea che subentrerà lasciano prevedere una nuova iniziativa di settore e una riformulazione della filosofia che la sostiene.

Quasi certamente non sentiremo parlare più di Agenda Digitale (fatevi avanti per il lancio del nuovo nome), almeno così come l’abbiamo sino ad ora conosciuta.

Assisteremo ad una rimodulazione degli obiettivi continentali e conseguentemente nazionali, orientati al rilancio di competitività dell’Europa.

Insomma un nuovo nome, un nuovo scadenzario di marcia.

E’ di sicuro un nuovo inizio.

L’Italia potrebbe fare quel “Salto di Rana“, il Leap Frog di cui parlano gli esperti di sviluppo, nel quale a volte siamo straordinari interpreti, passando da posizioni di arretratezza a posizioni di avanguardia.

Abbiamo in un certo senso la cultura della “zona Cesarini” e sappiamo dare il meglio di noi nelle condizioni di difficoltà o di sofferenza (in questo il calcio, dove abbiamo raggiunto obiettivi straordinari nell’incredulità generale, è una metafora meravigliosa).

Sappiamo dare il meglio di noi anche dopo la catastrofe, da Piazzale Loreto a Tangentopoli.

Tiriamo fuori carattere e personalità nelle condizioni di difficoltà.

Nel digitale si gioca una partita della vita, che deciderà se resteremo un Paese competitivo o no. Se saremo un Paese moderno o no. Se saremo un Paese proiettato verso il futuro o insabbiato nel passato.

Siamo quasi a fine corsa o, ancora una volta, in “zona Cesarini”.

Ci sono tutte le condizioni per perire. Ma ci sono anche tutte le condizioni per rinascere.

Il ruolo del governo sarà indispensabile. Non dovrà fermarsi di fronte alle resistenza, che saranno tante e dovrà stanare i nemici della modernizzazione.

Se saprà cogliere il momento, potrà far partire un’onda sulla cui cresta possono porsi imprese, cittadini e l’intero Paese.

Ce lo auguriamo.

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