Italia
L’Italia finora ha giocato troppo in difensiva sul contributo straordinario che le donne possono offrire alla ripresa e alla crescita della società, soprattutto in termini economici. In tutto questo gli stereotipi di genere che ci arrivano dalla Tv non aiutano certo a modificare in meglio questo quadro come ho avuto anche modo di evidenziare in qualità di promotrice dell’Appello Donne e Media nell’incontro avuto con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, facendo esplicito riferimento al Contratto di servizio Rai in via di rinnovo.
La direttora (abbiamo il femminile, usiamolo!) del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha dichiarato che siamo “uno dei Paesi della zona euro che incoraggiano meno la partecipazione delle donne al mercato del lavoro; un cambiamento di rotta potrebbe avere effetti benefici sulla produzione di reddito aggiuntivo e, quindi, sull’uscita da un periodo di stagnazione”.
In Giappone, il premier Abe ha attivato una fitta rete di centri per la cura dell’infanzia, aiutando le donne nipponiche a entrare e restare nel mercato del lavoro, dando così una spinta tangibile a un’economia che viene da anni molto difficili. L’Olanda ha dato la possibilità di creare lavori flessibili part-time senza alcuna restrizione. La Corea si sta muovendo in questa direzione.
In Italia, invece, si fa ancora fatica ad affermare i principi di minima difesa, come la lotta alla violenza contro le donne, in drammatica escalation, o il superamento degli stereotipi mediatici che ancora offrono, nella stragrande maggioranza, modelli femminili legati alla dimensione ornamentale della bellezza estetica.
Il risultato?
Le donne italiane sono ancora in forte svantaggio sul lavoro: più istruite, ma meno occupate e meno pagate. I dati resi noti il 7 marzo scorso da Eurostat confermano un gap occupazionale di circa il 20% tra donne e uomini e ciò relega l’Italia, con il 47,1% di donne occupate contro il 66,5% di uomini, in fondo alle classifiche europee sull’occupazione femminile, insieme a Malta e Grecia. I Paesi che mostrano il maggiore equilibrio in Europa sono Lituania, Finlandia, Lettonia e Svezia.
Eppure le motivazioni, soprattutto economiche, ci sarebbero per puntare sul riequilibrio di genere nell’occupazione e le ha quantificate lo studio della Banca d’Italia che, a fine 2011, ha calcolato che se il Paese riuscisse a centrare l’obiettivo di Lisbona dell’occupazione femminile al 60%, il Prodotto interno lordo crescerebbe del 7%.
A questo sommiamo che l’Italia è tra i Paesi con un discreto tasso di laureate in ingegneria, il 33%: (dati Eurostat 2014) ci sono Paesi che fanno meglio, come la Danimarca, che mostra un 38,7%, ma anche altri sotto il 30%, tra i quali la Germania (18,2%). L’Italia ha anche un tasso del 53,9% di donne che studiano nel settore delle scienze, matematica e informatica. Dunque le italiane si stanno orientando verso le lauree più richieste dal mercato. Ciò nonostante non ne sappiamo nulla di queste realtà e qualsiasi ragazza farebbe fatica a prendere come modello da emulare una scienziata, una matematica, una ingegnera, semplicemente perché di queste donne non si parla mai. Il settore più retrogrado del nostro Paese rimane, infatti, il comparto mediatico, vale a dire il cibo quotidiano dei nostri sensori che, alimentati sempre meno dalla lettura tradizionale e sempre di più dai contenuti che viaggiano su diverse piattaforme tecnologiche, sono letteralmente inondati da una narrazione collettiva in cui la logica dell’apparire sembra ormai totalmente sganciata dal merito conseguito e riconosciuto.
Risultato? Processi di emulazione di massa che ambiscono agli standard dilaganti. Diffusione di minorenni che felicemente si prostituiscono per scelta, valutando positivo l’assomigliare alla miriade di ragazze con borse firmate che balzano agli onori delle cronache. Minorenni che violentano e ammazzano loro coetanee. Disoccupazione dilagante tra i giovani, il 45,7% non lavora.
Senza falsi moralismi, ma che futuro stiamo crescendo nelle viscere della nostra società?
Si può continuare ad essere indifferenti? Invece, si può intervenire con una riforma a costo zero, sul lato più reattivo della società, quello culturale?
Quale promotrice dell’Appello Donne e Media, la Rete di associazioni nazionali ed internazionali, degli organismi di parità e rappresentanze professionali che, insieme al quotidiano key4biz, ha varato la prima riforma di genere della Tv pubblica, di questo abbiamo parlato con il Presidente Napolitano, facendo esplicito riferimento al Contratto di servizio in via di rinnovo. Rimettere al centro il merito e offrire una rappresentazione più plurale delle donne che vivono e operano nel nostro Paese possono diventare due obiettivi prioritari del servizio pubblico televisivo, per dare alla società una scossa culturale, il segnale di un cambio di passo per superare la sfiducia che porta alla rassegnazione, un incoraggiamento a credere che migliorare si può, meritandolo.
La Rai, uno dei principali attori della produzione mediatica, finanziata anche con il contributo dei cittadini, può dare un contributo tangibile su questo fronte. Abbiamo lanciato la proposta di un Talent sul merito. Attendiamo dal 7 marzo 2012 che Rai metta in campo la serie di puntate sul Talento delle Donne, come annunciato pubblicamente. Abbiamo presentato una serie di emendamenti al Contratto di Servizio pubblico, che indica i doveri della concessionaria, per rimettere al centro della produzione Rai questi temi. L’auspicio è che tutto il management Rai colga l’urgenza del segnale. Alla Presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, chiediamo di gettare il cuore oltre gli ostacoli.