Italia
Alla vigilia della grande battaglia che si annuncia per il rinnovo della concessione decennale per il servizio pubblico radiotelevisivo, sarebbe forse il caso di capire come il mercato audiovisivo si stia assestando per poi decidere quale soluzione più utile al sistema-Paese adottare per il governo della transizione digitale nel sistema televisivo.
Albert Eistein affermava di non essere in grado di dire con quali terribili armi si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma era certo che la quarta si sarebbe svolta a colpi di clava.
Nel nostro caso qualche sforzo anche per intuire il futuro prossimo venturo andrebbe fatto.
Anche perché alcuni trend sembrano già chiaramente disegnati.
L’annuncio che Amazon abbia messo in produzione una sua serie tv, dopo che Netflix ha collezionato svariati Emmy Awards nel settore, e che Google e Facebook stiano lanciando proprie piattaforme televisive, non lascia dubbi su cosa stia accadendo.
Ormai è maturo il processo per cui i net-provider stanno risalendo come salmoni la corrente, arrivando a produrre contenuti originali, e si propongono come Total-Provider.
I nuovi incumbent dei mercati nazionali europei nei prossimi 3/5 anni saranno proprio i vecchi net-provider della rete.
Del resto il combinato disposto fra l’accesso USB ai nuovi televisori con i proiettori satellitari dei cinema, indica come l’intero sistema audiovisivo non sia altro che una galassia di piattaforme distributive che ruotano attorno allo stesso file digitale del content.
Chi vince?
Vince chi ha più potenza distributiva, chi ha capacità di raggiungere, nella maniera più selettiva e profilata possibile, l’utente che si prefigge.
E’ questa la fase della globalizzazione dei mercati linguistici dell’audiovisivo che rende la TV nazione, ossia i sistemi televisivi che si risolvono in un unico mercato linguistico, come la Rai per capirci, residuali.
In questa fase vincono i net-provider.
Ma il mondo gira e le galassie sono instabili.
Infatti, per la stessa dinamica che rende oggi Amazon o Google vincenti, in virtù del loro primato distributivo, si profilano già i nuovi challenger. Insieme ai net-provider, infatti, sono già all’orizzonte i cosiddetti style-provider, ossia quei brand che coincidono con uno stile di vita e di comportamento, con una delle tante tribù del mondo del consumo: Prada, Slowfood, Eataly, Diesel, Cucinelli, Della Valle.
Sono i marchi della qualità che si stanno avvicinando al mondo della comunicazione audiovisiva. Un mondo sempre più liquido che non richiede infrastrutture, frequenze, centri di produzione, ma solo botteghe d’immagine, broker di talenti, potenza di software.
Primo fra questi style-provider è sicuramente Luxottica.
L’accordo raggiunto con i Google Glass spinge il gruppo di Del Vecchio a porsi il problema di usare i propri occhiali come sistemi utente, come devices, e diventare dunque subito net-provider e, immediatamente dopo, capitalizzare la propria esclusiva presa su platee di grande qualità in tutto il mondo, diffondendo e distribuendo contenuti originali.
Google lo ha capito, e ha cercato di ingabbiare il suo possibile concorrente.
E l’Italia potrà capirlo e sostenerlo?
Siamo ad un giro di boa, dove il decantato Made in Italy potrebbe, esattamente come 50 anni fa con Olivetti, Buzzati Traverso, Ippolito, Natta, diventare non solo geniale artigiano, ma anche grande impresario del nuovo sistema comunicativo.
La concessione del servizio pubblico televisivo potrebbe essere volano e supporto ad una partita in cui una volta tanto l’Italia dispone non solo di fanteria, ma anche di artiglierie d’assalto per vincere la guerra e non solo la prima scaramuccia.